Ordinanza n. 40 del 2002

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ORDINANZA N. 40

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 276, comma 1-ter, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 31 marzo 2001 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Aosta nel procedimento penale a carico di B. E. H. T. b. H., iscritta al n. 481 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2001 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Aosta, con ordinanza del 31 marzo 2001, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 276, comma 1-ter, del codice di procedura penale, introdotto dall’art. 16, comma 3, del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (Disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'Amministrazione della giustizia), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, "nella parte in cui prevede la obbligatoria ed automatica sostituzione della misura degli arresti domiciliari con la custodia cautelare in carcere, in caso di trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, senza alcuna possibilità di valutare l'entità, i motivi e le circostanze della trasgressione";

che la questione - osserva il giudice a quo - é rilevante poichè egli é chiamato, su richiesta del pubblico ministero, a fare applicazione della disposizione in relazione a un accertamento di polizia giudiziaria che ha identificato l'imputato, sottoposto agli arresti domiciliari, in prossimità della sua abitazione;

che, secondo un primo profilo di censura, la disposizione impugnata determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra chi sia sottoposto a una misura cautelare personale - sia essa coercitiva o interdittiva - diversa dagli arresti domiciliari e chi invece sia sottoposto a quest’ultima misura: per il primo, la trasgressione a una delle prescrizioni imposte con la misura non comporta necessariamente la sostituzione o il cumulo con altra misura maggiormente afflittiva, essendo rimessa al giudice la facoltà di disporre in tal senso "tenuto conto dell'entità, dei motivi e delle circostanze della violazione" (comma 1 dell’art. 276 cod. proc. pen.); per il secondo, in caso di trasgressione al divieto di allontanarsi dalla propria abitazione, non essendo riconosciuto alcun margine di apprezzamento al giudice, é prevista solo l’automatica sostituzione degli arresti domiciliari con la custodia cautelare in carcere;

che, sotto un secondo profilo, la disposizione censurata, privando irragionevolmente il giudice del potere-dovere di adeguare sempre la misura cautelare alle esigenze che la sorreggono nel caso concreto (art. 275, comma 1, cod. proc. pen.) e di rispettare la costante proporzione tra misura e gravità del fatto (art. 275, comma 2, cod. proc. pen.), e prevedendo un'automatica sostituzione in peius della misura cautelare, rappresenterebbe un meccanismo ispirato a meri connotati sanzionatori della "disobbedienza" posta in essere da parte dell’imputato, assoggettato a un surplus di sacrificio della libertà personale che potrebbe non risultare giustificato, sia rispetto a una corretta considerazione delle esigenze cautelari del caso concreto, sia alla luce del criterio di proporzionalità in rapporto al reato per il quale si procede;

che nel giudizio così promosso é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione.

Considerato che il rimettente Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Aosta dubita, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 276, comma 1-ter, del codice di procedura penale, che impone al giudice di revocare la misura degli arresti domiciliari e di sostituirla con la custodia cautelare in carcere in caso di trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione, sotto due profili: (a) l'ingiustificato differente trattamento che si viene a determinare rispetto a coloro che sono sottoposti ad altra misura cautelare personale diversa dagli arresti domiciliari, per i quali il giudice può, non deve, disporre la sostituzione o il cumulo con altra misura più grave, secondo l'entità, i motivi e le circostanze della violazione (art. 276, comma 1, cod. proc. pen.); (b) l'irragionevole privazione del potere-dovere del giudice di adeguare sempre la misura cautelare alle esigenze che la sorreggono nel caso concreto (art. 275, comma 1, cod. proc. pen.), e di garantirne la costante proporzione rispetto alla gravità del fatto (art. 275, comma 2, cod. proc. pen.);

che, relativamente al primo motivo di censura, occorre ribadire quanto già affermato da questa Corte circa la differente condizione in cui versa colui che é sottoposto alla misura coercitiva degli arresti domiciliari, che si trova pur sempre in uno stato di custodia e pertanto di "non libertà", rispetto a colui nei confronti del quale é stata applicata altra meno grave misura cautelare personale - sia essa coercitiva o (a maggior ragione) interdittiva -, che é invece "libero" di muoversi in più o meno ampio ambito territoriale, pur nel rispetto delle prescrizioni che la misura adottata dal giudice disponga (ordinanza n. 215 del 1999), e che tale differenza é coessenziale alla natura delle anzidette diverse categorie;

che, pertanto, una volta esclusa la pretesa assimilazione delle misure prospettata dal giudice a quo, non può ravvisarsi violazione del principio di uguaglianza nella differente disciplina dettata per casi non utilmente comparabili tra loro alla stregua dell'art. 3 della Costituzione;

che, relativamente al secondo motivo di censura, mentre la sussistenza in concreto di una o più delle esigenze cautelari prefigurate dalla legge (l'an della cautela) non può, per definizione, prescindere dall'accertamento - di volta in volta - della loro effettiva ricorrenza, non può invece ritenersi soluzione costituzionalmente obbligata quella di affidare sempre e comunque al giudice l'apprezzamento del tipo di misura in concreto rilevata come necessaria (il quomodo della cautela), ben potendo tale scelta essere effettuata in termini generali dal legislatore, nel rispetto del limite della ragionevolezza e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti (ordinanze n. 450 e n. 339 del 1995; sentenze n. 1 del 1980 e n. 64 del 1970);

che, alla luce delle precedenti osservazioni, la norma impugnata - lungi dall'assolvere a finalità sanzionatorie estranee alle misure di custodia preventiva, le quali non possono soddisfare altro che esigenze di carattere cautelare o comunque strettamente inerenti al processo (sentenze n. 1 del 1980 e n. 64 del 1970) - integra un caso di presunzione di inadeguatezza di ogni misura coercitiva diversa dalla custodia cautelare in carcere una volta che la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari si sia rivelata insufficiente allo scopo, per la trasgressione al suo contenuto essenziale;

che non appare irragionevole ritenere che il volontario allontanamento dalla propria abitazione costituisca pertanto l'indice di una radicale insofferenza alle prescrizioni da parte della persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari, tale da incidere sulla valutazione circa l’adeguatezza di questa specifica misura cautelare, cui é connaturato un maggior grado di affidamento nel comportamento di chi vi é assoggettato, rispetto a ogni altra misura (sentenza n. 406 del 1997; ordinanza n. 332 del 1995);

che, peraltro, una volta che alla nozione di allontanamento dalla propria abitazione si riconosca tale valenza rivelatrice in ordine alla sopravvenuta inadeguatezza degli arresti domiciliari, non é escluso che il fatto idoneo a giustificare la sostituzione della misura, tipizzato dal legislatore nella anzidetta formula normativa, possa essere apprezzato dal giudice in tutte le sue connotazioni strutturali e finalistiche, per verificare se la condotta di trasgressione in concreto realizzata presenti quei caratteri di effettiva lesività alla cui stregua ritenere integrata la "violazione" che la norma impugnata assume a presupposto della sostituzione;

che la questione proposta deve quindi essere dichiarata manifestamente infondata sotto ogni profilo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 276, comma 1-ter, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Aosta con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2002.