Ordinanza n. 332 del 1995

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ORDINANZA N. 332

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 385, terzo comma, del codice penale, promossi con due ordinanze emesse entrambe l'11 ottobre 1994 dal Pretore di Catania nei procedi menti penali rispettivamente a carico di Maimone Baronello Antonino e di Spampinato Roberto, iscritte ai nn. 70 e 77 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7 ed 8, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 giugno 1995 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

RITENUTO che il Pretore di Catania, con due ordinanze di identico contenuto emesse entrambe l'11 ottobre 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 385, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui - richiamando la sanzione relativa all'evasione dal carcere anche per chi essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo se ne allontana - prevede una pena minima edittale di sei mesi di reclusione; che il giudice rimettente fa presente che la Corte ha dichiarato manifestamente inammissibile, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, analogo dubbio di legittimità costituzionale concernente la stessa disposizione normativa (ordinanza n. 425 del 1988), ma sollecita una nuova valutazione che tenga conto della successiva giurisprudenza costituzionale, secondo la quale, se appartiene alla discrezionalità del legislatore determinare la quantità e qualità della sanzione penale, rientra tra i compiti del giudice delle leggi verificare che l'uso della discrezionalità legislativa in materia di trattamento punitivo rispetti il limite della ragionevolezza, che esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia ad un tempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali (sentenza n. 341 del 1994); che ad avviso del giudice rimettente l'art. 385, terzo comma, del codice penale equiparerebbe nella sanzione fatti di diversa gravità, giacchè l'evasione dal carcere postulerebbe la fuga o l'allontanamento definitivo, mentre l'allontanamento dell'imputato dal luogo degli arresti domiciliari raramente rivestirebbe carattere di definitività, sicchè l'identità di previsione sanzionatoria sarebbe irragionevole e comporterebbe una palese sproporzione del sacrificio della libertà personale rispetto al disvalore dell'illecito, tale da vanificare il fine rieducativo della pena, in contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione; che in entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.

CONSIDERATO che i due giudizi, prospettando questioni identiche, relative alla stessa disposizione legislativa, vanno riuniti per essere decisi congiuntamente; che le ordinanze di rimessione tendono ad una disciplina sanzionatoria dell'allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari diversa da quella prevista per l'evasione e di minor rigore nel minimo edittale; che la configurazione di fattispecie criminose e la determinazione della quantità e qualità della sanzione penale appartengono alla discrezionalità del legislatore, e non spetta alla Corte intervenire e modificare le scelte punitive effettuate dal legislatore, a meno che sia evidente e del tutto irragionevole la sproporzione tra sanzione e disvalore concreto del fatto, non sorretta dalla minima giustificazione (sentenza n. 341 del 1994; ordinanza n. 520 del 1991); che la scelta compiuta dal legislatore nella definizione del reato e nella previsione di una eguale sanzione minima per il delitto di evasione dal luogo degli arresti domiciliari e per quello di evasione dal carcere non è palesemente irragionevole, apparendo fondata sulla valutazione di condotte egualmente lesive del dovere di rispettare analoghi provvedimenti restrittivi della libertà personale, tanto più che l'osservanza del dovere di non allontanarsi, nel caso degli arresti domiciliari, è in maggior misura affidata al responsabile comportamento di chi vi è sottoposto; che, pertanto, le questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 385, terzo comma, del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Pretore di Catania con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 17 luglio 1995.