Ordinanza n. 319/2001

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.319

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), dell'art. 18, comma 8-quinquies, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma dell'articolo 3, comma 1, lettera v), della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nel testo introdotto dall'art. 15, comma 5, della legge 8 agosto 1995 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), nonchè dell'art. 59, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), promossi con le ordinanze emesse il 2 maggio 2000 dalla Corte d'appello di Venezia, il 24 maggio 2000 dal Tribunale di Genova e il 9 maggio 2000 dal Tribunale di Treviso, rispettivamente iscritte ai nn. 495, 501 e 516 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 39 e 40, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visti gli atti di costituzione di Cordero Vittoriangela, di Atalmi Giorgio ed altro, della Cassa di risparmio di Torino S.p.A. ed altro, della Banca CARIGE S.p.A. e del Fondo di previdenza "G. Caccianiga", nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell'udienza pubblica del 22 maggio 2001 il Giudice relatore Massimo Vari;

  uditi gli avvocati Riccardo Cinti per Cordero Vittoriangela, Paolo Catalano per la Cassa di risparmio di Torino S.p.A. ed altro, Federico Sorrentino per la Banca CARIGE S.p.A., Francesco Galgano per il Fondo di previdenza "G. Caccianiga" e l'avvocato dello Stato Gian Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, nel corso del giudizio di appello promosso da una dipendente della Cassa di risparmio di Torino, al fine di ottenere l'accertamento del diritto "a fruire della pensione sostitutiva o integrativa prevista" dal Fondo pensioni per il personale di detta Cassa, la Corte d'appello di Venezia, con ordinanza del 2 maggio 2000 (r.o. n. 495 del 2000), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 39 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nonchè dell'art. 18, comma 8-quinquies, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma dell'articolo 3, comma 1, lettera v), della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nel testo introdotto dall'art. 15, comma 5, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), "in relazione" all'art. 59, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica);

che, come evidenzia l'ordinanza, la domanda della ricorrente, dimessasi dal servizio con decorrenza 31 gennaio 1995, é stata respinta in primo grado per difetto dei requisiti utili per accedere al pensionamento anticipato, quale diritto, inizialmente, oggetto della sospensione disposta dai decreti-legge n. 553 e n. 654 del 1994, non convertiti, e prorogata, sino al 30 giugno 1995, dal comma 1 dell'art. 13 della legge n. 724 del 1994, nonchè, successivamente, disciplinato, anche per i regimi pensionistici integrativi di cui al decreto legislativo n. 357 del 1990, dalla legge di riforma n. 335 del 1995;

che, tanto premesso, il giudice a quo sostiene che sia l'art. 13, comma 1, della legge n. 724 del 1994 ¾ il quale sospende "l'applicazione di ogni disposizione di legge, di regolamento, di accordi collettivi che preveda il diritto a trattamenti pensionistici anticipati rispetto all'età stabilita per il pensionamento di vecchiaia" ¾ sia l'art. 18, comma 8-quinquies, del decreto legislativo n. 124 del 1993, introdotto dall'art. 15, comma 5, della legge n. 335 del 1995 ¾ che "ha previsto il diritto alla pensione di anzianità a carico dei Fondi integrativi solo se il richiedente ha diritto al trattamento pensionistico obbligatorio" ¾ contrastino:

- con l'art. 41 della Costituzione, giacchè verrebbe compromessa l'"autonomia organizzativa e gestionale dei fondi che ne consentono l'incentivazione e l'espansione";

- con l'art. 3 della Costituzione, atteso che sarebbe "irragionevole una regolamentazione legislativa ulteriore che leda le aspettative prossime a diventare diritti poichè l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto";

- con l'art. 39 della Costituzione, in quanto, "avendo la contrattazione collettiva rappresentato un ineludibile momento di definizione delle contribuzioni e delle prestazioni del Fondo pensioni, come elemento rilevante del complessivo trattamento economico e normativo dei dipendenti Cariplo (recte: Cassa di risparmio di Torino) ... avrebbe dovuto spettare alle parti, attraverso lo strumento della negoziazione contrattuale, la valutazione dell'opportunità di una revisione delle prestazioni previdenziali a carico del Fondo";

che, peraltro, ad avviso del rimettente, la prospettata violazione dei menzionati parametri "tanto più rileva se si considera che a norma dell'art. 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, la contrattazione collettiva può diversamente disporre in ordine al trattamento pensionistico garantito dai fondi di cui al decreto legislativo n. 357 del 1990 ¾ tra cui rientra quello convenuto ¾ rispetto al trattamento conseguibile in presenza dei requisiti e con la decorrenza prevista dalla disciplina dell'assicurazione generale obbligatoria solamente nei casi di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale che determinino esuberi di personale";

che si é costituita la parte appellante nel giudizio a quo, per sentir dichiarare l'incostituzionalità delle disposizioni denunciate, ovvero l'illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 39 e 41 della Costituzione, "dell'interpretazione estensiva delle suddette norme che ricomprende nell'ambito del "blocco" delle pensioni di anzianità anche i regimi complementari di natura privata, le cui prestazioni non gravano sulla finanza pubblica, ed estende i requisiti di cui all'art. 59, comma 3, della legge n. 447/94 (recte: n. 449 del 1997), anche a casi in cui il diritto a prestazioni pensionistiche era maturato prima dell'1 gennaio 1998";

che si sono costituiti anche la Banca Cassa di risparmio di Torino S.p.A. ed il Fondo pensioni per il personale della Cassa di risparmio di Torino, entrambi parti appellate nel giudizio principale, che hanno chiesto che la sollevata questione venga "respinta in quanto irrilevante ed infondata";

che la parte appellante nel giudizio a quo ed il Fondo pensioni hanno ribadito le rispettive ragioni con memorie illustrative depositate nell'imminenza dell'udienza;

che, con ordinanza del 24 maggio 2000 (r.o. n. 501 del 2000), emessa nel corso del giudizio promosso da una dipendente della Banca CARIGE S.p.A - Cassa di risparmio di Genova e Imperia, al fine di conseguire il diritto a percepire la pensione aziendale, il Tribunale di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 8-quinquies, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, introdotto dall'art. 15, comma 5, della legge 8 agosto 1995, n. 335, nonchè dell'art. 59, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, denunciandone il contrasto con gli artt. 3, 38, 39 e 41 della Costituzione;

che il rimettente rammenta, anzitutto, di aver già sollevato in precedenza, nell'ambito del medesimo giudizio principale, questione di costituzionalità del menzionato art. 18, comma 8-quinquies, del decreto legislativo n. 124 del 1993 e che detta questione é stata dichiarata, dalla Corte costituzionale, manifestamente inammissibile con l'ordinanza n. 289 del 1999, "sul presupposto che la normativa investita dalla questione di costituzionalità ... era stata modificata dall'art. 59, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e che questo Tribunale aveva omesso ogni considerazione in ordine all'influenza o meno dello jus superveniens nella controversia posta al suo esame";

che, a tal fine, l'ordinanza osserva che il richiamato art. 59, comma 3, "assume indubbio rilievo", giacchè la ricorrente nel giudizio a quo, pur avendo maturato in data anteriore al 1° gennaio 1998 i requisiti contributivi e anagrafici per accedere al trattamento integrativo rivendicato, tuttavia, entro la predetta data, "non si é dimessa dal lavoro ... e conseguentemente non si sono verificate tutte le condizioni necessarie ad accedere al trattamento rivendicato, il quale presuppone espressamente la cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni";

che, pertanto, secondo il rimettente, la fattispecie oggetto di cognizione "rientra nella disciplina di cui al comma 3 dell'art. 59 della legge n. 449 del 1997, il quale inibisce alla ricorrente l'accesso al trattamento integrativo rivendicato in via anticipata rispetto ai trattamenti disciplinati dall'assicurazione generale obbligatoria"; donde, "la permanente rilevanza della questione di costituzionalità ..., rispetto allo jus superveniens costituito dall'art. 59 della legge n. 449 del 1997";

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che "il divieto, del quale si tratta, limita, per il futuro, sia l’adottabilità sia l’efficacia (se preesistenti) di clausole regolamentari dei Fondi privati ... che garantiscono un accesso al pensionamento "anticipato" rispetto a quello consentito dall’AGO", alterando l’equilibrio dei preesistenti assetti negoziali sui quali interviene;

che, osserva ancora il rimettente, un siffatto divieto, estraneo alla logica di "emergenza", connotata dall’"eccezionalità e temporaneità", non appare giustificato "da superiori esigenze di politica sociale ed economica", le quali, in via di principio, non precluderebbero al legislatore di intervenire in tal senso in un settore di interesse pubblico quale é quello previdenziale;

che, pertanto, le disposizioni denunciate violerebbero gli artt. 38, 39 e 41 della Costituzione, i quali "precludono interventi limitativi e lesivi della libertà di contrattazione collettiva, di iniziativa economica e di assistenza privata che non trovino razionale giustificazione nella esigenza di tutela di altri, prioritari, interessi";

che, inoltre, il giudice a quo ravvisa un vulnus all’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza, rispetto "al trattamento riservato ai fondi integrativi" di cui al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, per i quali ¾ sebbene la legge n. 335 del 1995 ne preveda "l’assoggettamento allo stesso regime delle prestazioni dell’AGO" ¾ l’art. 3, comma 19, della medesima legge n. 335 del 1995 "consente alla contrattazione collettiva di derogare a tale regime senza porre limiti, in particolare, sotto il profilo dell’età di accesso ai trattamenti di anzianità";

che si é costituita la Banca CARIGE S.p.A., parte appellata nel giudizio a quo, concludendo "per l'inammissibilità e comunque l’infondatezza" della sollevata questione, anche in ragione delle argomentazioni addotte dalla sentenza n. 393 del 2000 della Corte costituzionale, che ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità dell'art. 59, comma 3, della legge n. 449 del 1997, sollevata in riferimento agli artt. 3, 39 e 41 della Costituzione;

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto - con conclusioni ribadite nella memoria successivamente depositata - che la questione sia dichiarata infondata, osservando, tra l'altro, che i dubbi sollevati dall'ordinanza risultano già superati dalla recente giurisprudenza costituzionale e, segnatamente, dalla sentenza n. 393 del 2000;

che, con ordinanza del 9 maggio 2000 (r.o. n. 516 del 2000), emessa nel corso del giudizio d'appello promosso dal Fondo di previdenza "G. Caccianiga", il Tribunale di Treviso ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 8-quinquies, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, introdotto dall’art. 15, comma 5, della legge n. 335 del 1995, denunciandone il contrasto con gli artt. 41 e 38 della Costituzione;

che il giudice a quo ricorda, anzitutto, di aver già proposto, nell'ambito del medesimo giudizio, la stessa questione, decisa dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 289 del 1999, con la quale gli venivano restituiti gli atti, affinchè valutasse la perdurante rilevanza della questione medesima alla luce della normativa sopravvenuta costituita dall'art. 59, comma 3, della legge n. 449 del 1997;

che, ad avviso del rimettente, la sollevata questione é tuttora rilevante e ciò in quanto il richiamato jus superveniens "non ha abrogato, nè espressamente, nè implicitamente, le disposizioni previgenti, già oggetto di dubbio di incostituzionalità" e non é "suscettibile di incidere sulle domande proposte" dai ricorrenti, le quali hanno ad oggetto l'accertamento del diritto "all'erogazione del trattamento di prepensionamento di cui allo Statuto del Fondo di previdenza ... alla data dell'avvenuta realizzazione dei presupposti stabiliti da detto Statuto, data anteriore alla stessa proposizione dei ricorsi introduttivi di primo grado";

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo rinvia "integralmente" alla motivazione della precedente ordinanza di rimessione (iscritta al r.o. n. 101 del 1998) della medesima questione di costituzionalità, nella quale si assume che la denunciata disposizione contrasterebbe con gli artt. 41 e 38 della Costituzione - "che garantiscono l’autonomia privata sotto il profilo dell’iniziativa economica e delle forme di assistenza" - "non risultando individuabili nella norma le esigenza di tutela dell’utilità sociale che sole possono giustificare la limitazione del diritto costituzionalmente protetto";

che si é costituito il Fondo di previdenza "G. Caccianiga", parte appellante nel giudizio a quo, per sentir dichiarare infondata la proposta questione;

che, inoltre, si sono congiuntamente costituite le parti appellate nel giudizio principale, concludendo per l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 38, 39 e 41 della Costituzione, del denunciato art. 18, comma 8-quinquies, "se interpretato nel senso per cui viene vietata l'erogazione da parte dei fondi pensione complementari di trattamenti anticipati rispetto alla liquidazione dell'assicurazione generale obbligatoria";

che, con memoria depositata in prossimità dell'udienza, le medesime parti appellate, nello svolgere talune considerazioni critiche sulla sentenza n. 393 del 2000, hanno ribadito le conclusioni già rassegnate, invocando, altresì, una declaratoria di incostituzionalità anche dell'art. 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449;

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale, eccepita l'inammissibilità della questione, in quanto l'ordinanza é motivata soltanto attraverso il rinvio al precedente atto di promovimento dell'incidente di costituzionalità, ha concluso, nel merito, per una declaratoria di infondatezza.

Considerato, preliminarmente, che i giudizi hanno ad oggetto questioni analoghe o, comunque, tra loro connesse, sicchè gli stessi vanno riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia;

che, quanto all'ordinanza della Corte d'appello di Venezia (r.o. n. 495 del 2000), va osservato che il rimettente ¾ dovendo decidere su una fattispecie relativa ad una prestazione integrativa erogata da un fondo ex esonerativo disciplinato dal decreto legislativo n. 357 del 1990 ¾ prospetta, in ordine agli artt. 13, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e 18, comma 8-quinquies, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, nel testo introdotto dall'art. 15, comma 5, della legge 8 agosto 1995, n. 335, censure del tutto analoghe a quelle già scrutinate da questa Corte con la sentenza n. 393 del 2000, sia pure in riferimento all'art. 59, comma 3, della legge n. 449 del 1997;

che, in quell'occasione, si é affermato, in linea di principio, che la previdenza complementare (integrativa o aggiuntiva del trattamento erogato dall'assicurazione generale obbligatoria) si colloca nell'alveo dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione, secondo la scelta legislativa di istituire un collegamento funzionale tra la prima e la previdenza obbligatoria, quale momento essenziale della complessiva riforma della materia, al fine di assicurare funzionalità ed equilibrio all’intero sistema pensionistico;

che, in virtù di tale premessa, si é escluso che la predetta disposizione contrasti con:

- l'art. 39 della Costituzione, in quanto trovano "giustificazione i limiti ed i vincoli addotti all'autonomia collettiva" per quanto attiene alla disciplina dell’accesso ai trattamenti pensionistici complementari; non senza tacere, peraltro, del rilievo che, a tal fine, assumono sia l'esistenza di "contropartite", rinvenibili segnatamente nella normativa di favore di cui i fondi godono dal punto di vista tributario, sia l'"opportuno contemperamento degli interessi" proprio con riferimento ai regimi aziendali integrativi di cui al decreto legislativo n. 357 del 1990, rispetto ai quali i medesimi vincoli possono essere derogati, in particolari ipotesi, dalla contrattazione collettiva;

- l'art. 41 della Costituzione, giacchè "l'autonomia negoziale e la libertà di iniziativa privata devono comunque cedere di fronte a interessi di ordine superiore, economici e sociali, che assumono rilievo a livello costituzionale";

- l'art. 3 della Costituzione, in quanto "le finalità di raccordo delle varie forme di previdenza complementare con il trattamento pensionistico di base" dimostrano che "la norma non si può reputare irragionevole", non prescindendo, peraltro, da "esigenze di equilibrio del quadro complessivo della finanza pubblica", nè escludendo "ogni ipotesi di esonero dal divieto di anticipata prestazione", atteso che, "seppure a fronte di significative congiunture, il vincolo imposto al conseguimento delle prestazioni integrative del trattamento di base risulta, per le forme pensionistiche di cui al decreto legislativo n. 357 del 1990, non solo sensibilmente attenuato, ma, in definitiva, rimesso alla disponibilità delle parti sociali, con adeguato opportuno apprezzamento, dunque, delle aspettative dei destinatari delle prestazioni";

che non dissimili argomenti valgono a superare i dubbi sollevati dal rimettente, atteso che, come evidenziato dalla medesima sentenza n. 393 del 2000, l'art. 59, comma 3, della legge n. 449 del 1997, si inserisce nel contesto della "complessa opera riformatrice del sistema previdenziale", alla quale "si ricollega anche la sospensione, a suo tempo prevista, dei pensionamenti anticipati", segnatamente venendo in rilievo una linea di continuità tra la predetta disposizione e quella dell'art. 18, comma 8-quinquies, del decreto legislativo n. 124 del 1993, giacchè con la prima si é inteso "precisare e generalizzare, per quanto potesse occorrere, il divieto di conseguire il relativo trattamento a prescindere dalle regole vigenti per l’assicurazione generale obbligatoria, secondo un criterio, per il vero, al quale si rifà anche" il medesimo art. 18, comma 8-quinquies;

che, inoltre, in riferimento alla censura che investe, segnatamente, l'art. 13, comma 1, della legge n. 724 del 1994, é da rammentare l'orientamento più volte espresso dalla Corte (da ultimo, ordinanza n. 18 del 2001), secondo il quale i provvedimenti attuativi del blocco all’accesso delle pensioni di anzianità e dei trattamenti anticipati in generale si innestano in un articolato processo riformatore, approdato, tramite la legge n. 335 del 1995, ad una soluzione di natura strutturale, sì da rinvenire "ragionevole giustificazione nella necessità di influire sull'andamento tendenziale della spesa previdenziale", al fine di stabilizzare il rapporto tra la stessa ed il prodotto interno lordo;

che, peraltro, quanto all'argomento che il giudice a quo ritiene di poter trarre dal menzionato art. 59 della legge n. 449 del 1997, nel senso della incostituzionalità delle denunciate disposizioni, va osservato che il rimettente medesimo non considera, tuttavia, che, rispetto ai vincoli derivanti, segnatamente, dal censurato art. 18, comma 8-quinquies, l'art. 3, comma 19, della legge n. 335 del 1995 riconosce alla contrattazione collettiva, nell'ambito della disciplina delle prestazioni erogate dai fondi ex esonerativi, una facoltà di rinegoziare ¾ e, dunque, di ripristinare il regime di miglior favore ¾ ben più ampia di quella prevista dal suddetto art. 59, comma 3;

che, dunque, le questioni sollevate dalla Corte d'appello di Venezia sono da reputarsi manifestamente infondate;

che, quanto ai dubbi di costituzionalità prospettati dall'ordinanza del Tribunale di Genova (r.o. n. 501 del 2000), va rilevato che il rimettente assume, in punto di rilevanza, che la fattispecie oggetto di cognizione dinanzi a sè é disciplinata esclusivamente dal predetto art. 59, comma 3;

che, tuttavia, l'ordinanza, contraddicendo a siffatta premessa, denuncia non solo la norma ritenuta applicabile nel giudizio a quo, ma anche l'art. 18, comma 8-quinquies, del decreto legislativo n. 124 del 1993, disposizione rispetto alla quale, peraltro, risultano precipuamente attagliarsi le argomentazioni in punto di non manifesta infondatezza;

che, dunque, essendo prospettate in modo contraddittorio, le questioni vanno dichiarate manifestamente inammissibili;

che, in riferimento alla questione sollevata dal Tribunale di Treviso (r.o. n. 516 del 2000), deve essere disattesa, in via preliminare, l'eccezione di inammissibilità avanzata dall'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, sul presupposto di un difetto di motivazione dell'atto di promovimento dell'incidente di costituzionalità, il quale, a tal fine, rinvia alla precedente ordinanza di rimessione (iscritta al r.o. n. 101 del 1998), emessa nello stesso giudizio a quo, rispetto alla quale la Corte, con ordinanza n. 289 del 1999, ha disposto la restituzione degli atti alla luce dello jus superveniens costituito dall'art. 59, comma 3, della legge n. 449 del 1997;

che, invero, in siffatta ipotesi, come la Corte ha già avuto occasione di affermare (sentenza n. 273 del 1997 e ordinanza n. 278 del 2000), é sufficiente che il rimettente, nel sollevare la questione in continuità con la precedente ordinanza di rimessione, argomenti plausibilmente sulla persistente rilevanza della questione medesima: onere che il giudice a quo, nel caso di specie, ha assolto adeguatamente;

che, quanto al merito, é agevole osservare che le sollevate censure trovano già risposta nelle argomentazioni sopra addotte, giacchè la violazione dell'art. 38 della Costituzione é chiaramente prospettata sotto il profilo della garanzia della libertà di assistenza privata e, dunque, in riferimento al quinto comma del medesimo art. 38, mentre, come detto, il sistema della previdenza complementare va ricondotto nell'alveo dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione; sicchè, venendo in rilievo interessi superiori, di livello costituzionale, anche l'ipotizzato vulnus all'art. 41 della Costituzione risulta privo di consistenza;

che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 8-quinquies, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma dell'articolo 3, comma 1, lettera v), della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nel testo introdotto dall'art. 15, comma 5, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) e dell'art. 59, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 38, 39 e 41 della Costituzione, dal Tribunale di Genova con l'ordinanza in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) e del citato art. 18, comma 8-quinquies, del decreto legislativo n. 124 del 1993, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 39 e 41 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Venezia con l'ordinanza in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 18, comma 8-quinquies, del decreto legislativo n. 124 del 1993, sollevata, in riferimento agli artt. 38 e 41 della Costituzione, dal Tribunale di Treviso con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2001.