Ordinanza n.18

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.18

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettera b), del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438, promosso con ordinanza emessa il 10 aprile 1999 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Binello Angelo Luigi e l'Istituto nazionale per la previdenza sociale, iscritta al n. 331 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 12 dicembre 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

uditi l’avvocato Carlo De Angelis per l’INPS e l’avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che - nel corso di un giudizio civile, promosso dal titolare di una pensione di anzianità per ottenere la retrodatazione della decorrenza della pensione medesima al 1° gennaio 1993, negatagli dall'Istituto nazionale per la previdenza sociale poichè egli, al momento della domanda di pensionamento, beneficiava del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria quale dipendente di un'impresa sottoposta a procedura concorsuale - il Pretore di Torino, con ordinanza emessa il 10 aprile 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, lettera b), del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, in legge 14 novembre 1992, n. 438;

che, secondo il rimettente, la denunciata norma si pone in contrasto con l'art. 3 Cost., "nella parte in cui limita la non applicabilità delle disposizioni di cui al comma 1 [riguardanti il blocco dei pensionamenti di anzianità] della medesima norma alle [sole] ipotesi relative: "ai lavoratori dipendenti da imprese per le quali siano stati approvati i programmi di cui all'art. 1, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, nonchè ai lavoratori ai quali si applicano le disposizioni di cui all'art. 7, comma 7, della medesima legge n. 223 del 1991", senza menzionare i lavoratori di cui all'art. 3, comma 1" (fra cui rientra appunto il ricorrente nel giudizio a quo);

che infatti, sempre secondo il rimettente, é irragionevole e lesivo del principio di uguaglianza un sistema che - volendo assicurare un contemperamento tra diritto di accedere alla pensione di anzianità e interesse dello Stato a perseguire politiche di riforma del sistema di previdenza e di contenimento della spesa pubblica - introduce una disparità di trattamento fra lavoratori che si trovano nella medesima situazione giuridica di sospensione del rapporto di lavoro, solo perchè il trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria viene concesso, ai lavoratori di imprese cosiddette "in crisi", a sèguito della verifica da parte del competente organo ministeriale dell'esistenza di una effettiva crisi aziendale, attraverso un meccanismo di controllo non previsto nell'ipotesi di impresa sottoposta a procedura concorsuale, in cui il trattamento medesimo é concesso ai dipendenti su semplice richiesta del curatore;

che osserva in proposito il rimettente come non sia dissimile la posizione dei lavoratori di tali imprese, i quali, anzi, si trovano in situazione più difficile, sotto il profilo sostanziale, essendo irreversibile la crisi della loro azienda e assai scarse le possibilità che, al termine del periodo di integrazione salariale, essi possano riprendere l'attività lavorativa;

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, di manifesta infondatezza della sollevata questione;

che si é costituito in giudizio l’INPS, concludendo nel senso della infondatezza della questione medesima.

Considerato che, secondo quanto più volte questa Corte ha affermato, le previsioni di "blocco" dei pensionamenti anticipati (contenute nei c.d. "decreti catenaccio", di cui quello in esame é il primo in ordine cronologico) si inseriscono nel processo di radicale riconsiderazione del trattamento di anzianità, finalizzato ad una complessa opera di riforma, attraverso la quale il legislatore é passato da un iniziale e contingente intervento di ripristino degli equilibri finanziari delle diverse gestioni ad una soluzione di natura strutturale, raggiunta con la legge 8 agosto 1995, n. 335, diretta ad incidere sui requisiti stessi del pensionamento (v. sentenze n. 245 del 1997, n. 417 del 1996, n. 439 del 1994 ed ordinanze n. 318 e 92 del 1997);

che la Corte ha rilevato come tale articolato processo muova (e tragga giustificazione) dalla necessità di influire sull'andamento tendenziale della spesa previdenziale mediante la stabilizzazione entro determinati livelli del rapporto tra la spesa medesima ed il prodotto interno lordo (sentenza n. 417 del 1996, cit.);

che rispetto all'obbiettivo perseguito - atteso che le limitazioni della (originariamente generale) operatività della temporanea sospensione della possibilità di accesso ai trattamenti pensionistici di anzianità di cui al comma 2 dell'art. 1 (introdotte con emendamento presentato dal Governo davanti alla V Commissione della Camera, il 14 ottobre 1992, in sede di conversione del citato decreto-legge n. 384 del 1992) assumono, come tali, natura di deroghe eccezionali, non suscettibili di interpretazione analogica, alla regola sancita dal precedente comma 1 - la scelta di escludere determinate categorie di lavoratori dalle misure di blocco rientra a pieno titolo nella sfera di discrezionalità politica riservata al legislatore;

che tale scelta neppure appare di per sè irrazionale, essendo dettata dalla ritenuta necessità di porre rimedio a particolari situazioni occupazionali e di evitare il possibile "ingorgo previdenziale", mediante uno scaglionamento dei pensionamenti (v. lavori preparatori sopra citati);

che, d'altronde, mentre l’intervento straordinario di integrazione salariale di cui all’art. 3 della legge 23 luglio 1991, n. 223, é di automatica applicazione ed é diretto a sostenere il reddito del lavoratore, l’intervento di cui all’art. 1 della stessa legge, previsto per il caso di approvazione ministeriale del piano per le imprese in crisi indicato nel comma 2, é invece predisposto soprattutto (anche se non esclusivamente) a favore dell’impresa ed é discrezionalmente concedibile a sèguito d’un esame, da parte del deputato organo amministrativo, del relativo piano aziendale;

che la diversità di presupposti, struttura, procedura e finalità dei due istituti, benchè entrambi diretti ad assolvere la funzione di ammortizzatori sociali, rende palese la disomogeneità delle normative poste a raffronto, e dunque l’inidoneità della disciplina evocata a fungere da tertium comparationis onde configurare l’asserito vulnus al principio di uguaglianza da parte della norma denunciata;

che, pertanto, la sollevata questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, lettera b), del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, in legge 14 novembre 1992, n. 438, sollevata - in riferimento all'art. 3 della Costituzione - dal Pretore di Torino, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,il 5 gennaio 2001.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 23 gennaio 2001.