Sentenza n. 245

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SENTENZA N.245

ANNO 1997

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 7,comma 3, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438, promossi con nn. 2 ordinanze emesse il 24 ottobre 1995 dal T.A.R. per l'Emilia-Romagna, sezione di Parma, sui ricorsi proposti da Amerio Marica ed altri contro il Rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed altra e da Adolfi Ferruccio ed altri contro l'Università degli studi di Parma, iscritte ai nn. 296 e 297 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 aprile 1997 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna con due ordinanze di analogo contenuto ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 3, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438, lamentando l'ingiustificata disparità di trattamento che é seguita alla sospensione, per l'anno 1993, degli aumenti periodici corrisposti ai pubblici dipendenti.

Il fattore tempo - si legge nell'ordinanza - può costituire valida ragione per differenziare l'applicazione dei benefici contrattuali; in questo caso, però, non si tratta di stabilire la decorrenza di una diversa retribuzione economica o di ricollegare quest'ultima all'anzianità di servizio, ma di una diseguaglianza che discende dal carattere pari o dispari dell'anno di nomina.

Al Collegio rimettente sembra irrazionale che soltanto una parte dei dipendenti subisca un trattamento deteriore in relazione all'anno di nomina. Tale disparità non si ricollega, infatti, a diversità delle situazioni considerate, ma investe posizioni giuridiche identiche; nè si può dire che il fattore temporale sia, di per sè, elemento distintivo, in quanto la disparità di trattamento su cui si appunta la censura ha natura casuale e alterna (un anno sì e uno no), con lesione del principio di eguaglianza.

2. E' intervenuto in entrambi i giudizi, nel senso della infondatezza, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato. Il fluire del tempo costituisce, secondo l'insegnamento di questa Corte, elemento discretivo (da ultimo, sentenza n. 73 del 1996) e comunque il trattamento differenziato oggetto di censura é giustificato, ad avviso dell'Avvocatura, dalla finalità di assicurare l'equilibrio del bilancio. In ogni caso, tale situazione non avrebbe rilevanza nel giudizio di legittimità costituzionale condotto sulla base del principio di eguaglianza, dal momento che integra una disparità di mero fatto (sentenza n. 16 del 1960), dipendente da circostanze casuali.

Considerato in diritto

1. Il Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, con due ordinanze di analogo tenore, che vanno riunite e decise in unico giudizio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma che sospende per il 1993 gli incrementi retributivi, anche periodici, in conseguenza di automatismi stipendiali dei pubblici dipendenti, disposta dall'art. 7, comma 3, del decreto-legge n. 384 del 1992 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge n. 438 del 1992. Ciò comporterebbe un'ingiustificata disparità di trattamento - questa la conclusione del giudice a quo - in violazione dell'art. 3 della Costituzione.

2. Va innanzitutto osservato che non può essere condivisa la tesi avanzata dall'Avvocatura dello Stato, per la quale si tratterebbe di una mera disparità di fatto, giusta la figura delineata dalla giurisprudenza di questa Corte a partire dalla sentenza n. 16 del 1960. La disuguaglianza denunciata non é effetto secondario di una disciplina che in via principale persegue altri scopi, ma é strettamente conseguenziale a detta normativa. Sì che é da effettuare il richiesto vaglio di legittimità costituzionale, alla luce del principio di eguaglianza.

3. Nel merito, la questione non é fondata.

Il decreto-legge n. 384 del 1992, emanato in un momento delicato della vita nazionale, introduce disposizioni di diversa natura, tutte segnate dalla finalità di realizzare, con immediatezza, un contenimento della spesa pubblica per il 1993, nel rispetto degli obiettivi fondamentali di politica economica e dei vincoli derivanti dal processo di integrazione europea. Il comma 3 dell'art. 7 introduce una tipica misura "di blocco", impedendo l'applicazione di qualsiasi automatismo stipendiale.

Visto che detti aumenti hanno periodicità biennale, la sospensione porterebbe a una diseguaglianza - a seconda dell'anno di nomina del dipendente - che per il giudice a quo non é giustificabile, perchè casuale e alterna. Ma il rilievo non ha fondamento, perchè il "blocco", di cui é evidente il carattere provvedimentale del tutto eccezionale, esauriva i suoi effetti nell'anno considerato, limitandosi a impedire erogazioni per esigenze di riequilibrio del bilancio, riconosciute da questa Corte meritevoli di tutela a condizione che le disposizioni adottate non risultino arbitrarie (sentenze nn. 417 del 1996, 99 del 1995, 6 del 1994), il che in questo caso é certamente da escludere.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 3, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Francesco GUIZZI

Depositata in cancelleria il 18 luglio 1997.