SENTENZA N.73
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Luigi MENGONI, Presidente
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, promosso con ordinanza emessa il 22 maggio 1995 dalla Commissione tributaria di primo grado di Genova sul ricorso proposto da Castello Giorgio contro l'Intendenza di finanza di Genova, iscritta al n. 471 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Udito nella camera di consiglio del 10 gennaio 1996 il Giudice relatore Massimo Vari.
Ritenuto in fatto
1.-- Con ordinanza del 22 maggio 1995 (R.O. n. 471 del 1995), la Commissione tributaria di primo grado di Genova -- nel corso di un giudizio proposto da Castello Giorgio contro l'Intendenza di finanza di Genova per il rimborso della ritenuta fiscale del 6 per mille, operata sul conto corrente intrattenuto con l'Istituto bancario S. Paolo di Torino -- ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 47 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), come sostituito dalla legge di conversione 8 agosto 1992, n. 359.
La Commissione rimettente -- evidenziato che, nel caso di specie, i depositi colpiti dall'imposta erano costituiti dall'ammontare di un mutuo fondiario accordato al ricorrente per l'acquisto di un appartamento -- lamenta violazione:
- dell'art. 3 della Costituzione, in quanto la disposizione denunciata colpisce tutti gli intestatari di conti correnti bancari, considerando "quale unico elemento discriminatore il dato meramente accidentale costituito dalla presenza di somme accantonate nel conto" alla data prevista dalla disposizione medesima, ma "senza considerare le causali del deposito stesso", così "trattando in maniera eguale posizioni differenziate";
- dell'art. 47 della Costituzione, in quanto vengono tassate forme di ricchezza il più delle volte assai modeste, confluite nel deposito bancario perché non di importo tale da poter essere investite in utilizzi maggiormente remunerativi, disattendendo così l'esigenza costituzionale di incoraggiare e tutelare forme di risparmio minimali, accessibili alla generalità dei consociati, quali appunto i depositi bancari o postali;
- dell'art. 53 della Costituzione, in quanto l'imposta, in contrasto con il principio della capacità contributiva, incide indifferentemente su somme depositate per le più svariate esigenze, finendo per gravare su disponibilità contingenti, momentaneamente in transito se non addirittura non appartenenti al titolare del deposito, e quindi incidendo non già su ricchezze effettive, ma su temporanee liquidità non espressive di reale capacità contributiva. A tal proposito, quali casi non significativi di capacità contributiva, la Commissione menziona esemplificativamente i depositi di somme derivanti da mutui, il cui controvalore sia stato fatto confluire sul conto del mutuatario alla data di riferimento dell'imposizione, i depositi, finalizzati al pagamento di debiti, intestati ad enti, amministrazioni condominiali, pubblici ufficiali, come i notai, per legge debitori dell'imposta di registro.
Considerato in diritto
1.-- Con l'ordinanza in epigrafe, la Commissione tributaria di primo grado di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, come sostituito dalla legge di conversione 8 agosto 1992, n. 359, che, al comma 6, istituisce, per l'anno 1992, un'imposta straordinaria sui depositi bancari e postali, prevedendo una ritenuta del 6 per mille sull'ammontare dei medesimi, quale risulti dalle scritture contabili alla data del 9 luglio 1992.
2.-- Il giudice rimettente, premesso che, nel caso portato al suo esame, la somma colpita dall'imposta è costituita dal ricavato dell'ammontare di un mutuo fondiario destinato all'acquisto di un appartamento, ritiene che la disposizione denunciata contrasti con:
a) l'art. 3 della Costituzione, perché considera in maniera eguale posizioni differenziate, incidendo su tutti gli intestatari di conti correnti bancari che vengono discriminati in rapporto alle somme che i loro titolari posseggano "alla data del 6 luglio 1992" (rectius 9 luglio 1992), in base al dato meramente accidentale della presenza di importi accantonati nel conto, ma "senza considerare le causali del rapporto stesso";
b) l'art. 47 della Costituzione, in quanto investe "forme di ricchezza il più delle volte assai modeste", insuscettibili, proprio per il loro importo, di investimen-ti in utilizzi maggiormente remunerativi, contrastando cosí "l'esigenza costituzionale di incoraggiare e tutelare forme di risparmio minimali, accessibili alla generalità dei consociati";
c) l'art. 53 della Costituzione, in quanto grava "non su ricchezze effettive" ma su temporanee liquidità e disponibilità contingenti "momentaneamente in transito se non addirittura non appartenenti al titolare del deposito".
3.-- La questione, con la quale vengono proposte censure analoghe, per vari aspetti, a quelle già esaminate in precedenti pronunzie della Corte, non è fondata.
Vanno in primo luogo prese in considerazione le doglianze concernenti l'asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione, da esaminare congiuntamente a quelle che l'ordinanza stessa propone con riferimento all'art. 53 della Costituzione.
Dette censure prospettano, infatti, profili di illegittimità in parte coincidenti, sia pure nella distinta evocazione dei due menzionati parametri, tra i quali, del resto, esiste quella connessione altre volte evidenziata dalla Corte, che porta a ritenere il secondo precetto "conseguenziale specificazione del primo".
La Commissione tributaria di Genova dubita, anzitutto, che il criterio di riferimento temporale accolto dal legislatore, per individuare i soggetti tenuti al pagamento del tributo, si conformi al principio di eguaglianza dell'art. 3 della Costituzione.
La Corte ha già avuto occasione di sottoporre a scrutinio di costituzionalità il tributo in esame, ponendo in evidenza che esso è una imposta straordinaria connotata da modalità eccezionali ed inserita in un contesto di misure finanziarie di carattere generale, nell'ambito del quale il prelievo sui depositi, nel colpire un peculiare indice di capacità contributiva, incide sui depositi stessi con una aliquota di modesta entità, tale da non potersi ragionevolmente considerare ablativa del patrimonio del soggetto (sentenza n. 143 del 1995).
In relazione a siffatte caratteristiche, nel conside-rare che si tratta di una imposizione una tantum, tale da non alterare, secondo un canone valutativo già fatto proprio dalla Corte, il sistema tributario visto in tutte le sue componenti (sent. n. 159 del 1985), si è, altresì, posto in risalto che la peculiare configurazione dell'imposta trova la sua giustificazione -- secondo gli elementi ricostruttivi delle finalità della legge desumibili anche dagli atti parlamentari -- nell'esigenza di individuare un meccanismo di immediato accertamento e di agevole e rapida riscossione, premessa necessaria perché una imposta straordinaria possa rivelarsi un tributo perequato sul patrimonio.
Nel necessario bilanciamento di interessi fra esigenze finanziarie della collettività e tutela delle ragioni del contribuente, la norma denunciata assume, dunque, i saldi contabili, alla data stabilita dal legislatore, e cioè alla data del 9 luglio 1992, come normalmente rappresentativi di disponibilità patrimoniali del titolare del conto.
Tanto rammentato, la censura relativa alla violazione dell'art. 3 della Costituzione, se intesa come prospettazione dell'esigenza di un pari trattamento fra soggetti in eguale situazione, che non potrebbero essere discriminati unicamente in ragione dell'elemento temporale della disponibilità o meno di un deposito bancario alla data prevista dal legislatore, può essere agevolmente superata osservando che il principio di eguaglianza non impedisce un differente trattamento che trovi nello stesso fluire del tempo un elemento discretivo.
Non migliore sorte merita la censura relativa alla violazione dello stesso art. 3 della Costituzione quanto all'ulteriore profilo sotto il quale la stessa appare sollevata, addebitando, cioè, al legislatore di non essersi dato carico, nell'introdurre l'imposta, di distinguere fra le varie causali del rapporto sottostante al deposito bancario. Di detta doglianza costituisce sostanzialmente una riproposizione quella prospettata evocando l'art. 53 della Costituzione, per lamentare che l'imposta gravi non su ricchezze effettive, bensì su disponibilità contingenti momentaneamente in transito, se non addirittura non appartenenti al titolare del deposito. In ogni caso, quale che sia il profilo dedotto, il giudice rimettente non considera che né il principio di eguaglianza né quello di capacità contributiva possono ritenersi incisi: è sufficiente infatti ribadire, in armonia con la sentenza n. 143 del 1995, che l'imposta in esame colpisce il bene indice di ricchezza nella sua oggettività, onde non irragionevolmente la legge pone l'imposta medesima a carico di colui che risulta detentore delle somme. E ciò indipendentemente da eventuali rapporti sottostanti con altri soggetti, come pure -- per venire al caso oggetto del giudizio a quo -- dal fatto che la disponibilità bancaria costituisca il ricavato di un mutuo, contratto dal titolare del conto. Il tributo, nella configurazione ad esso data dal legislatore, non può non prescindere dalla varietà e molteplicità delle situazioni dalle quali la ricchezza stessa può trarre origine.
4.-- Infine, circa la pretesa violazione dell'art. 47 della Costituzione, che, secondo l'ordinanza, deriverebbe dal fatto che la disposizione colpisce forme di ricchezza il più delle volte assai modeste, disattendendo cosí l'esigenza di incoraggiare e tutelare forme di risparmio minimali accessibili alla generalità dei consociati, va riaffermato, anche qui in conformità alla precedente giurisprudenza (sentenze nn. 143 del 1995 e 143 del 1982), che l'invocata norma costituzionale contiene un principio al quale il legislatore ordinario è certamente tenuto ad ispirarsi, ma che non può impedire al medesimo di emanare, in materia finanziaria, disposizioni volte a disciplinare il gettito delle entrate, con l'unico limite della vera e propria contraddizione e compromissione del principio stesso.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), come sostituito dalla legge di conversione 8 agosto 1992, n. 359, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 47 e 53 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 1996.
Luigi MENGONI, Presidente
Massimo VARI, Redattore
Depositata in cancelleria il 15 marzo 1996.