Sentenza n. 143 del 1995

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SENTENZA N. 143

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dello art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), come sostituito dalla legge di conversione 8 agosto 1992, n. 359, promosso con ordinanza emessa il 30 marzo 1994 dalla Commissione tributaria di I grado di Roma sul ricorso proposto da Cea Giacomo contro l'Intendenza di finanza di Roma iscritta al n. 442 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di costituzione di Cea Giacomo, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 19 aprile 1995 il Giudice relatore Massimo Vari; uditi l'avvocato Emanuele Emmanuele per Cea Giacomo e l'avvocato dello Stato Carlo Bafile per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.-- Con ordinanza del 30 marzo 1994 (R.O. n. 442 del 1994) la Commissione tributaria di primo grado di Roma -- nel corso di un giudizio proposto da Giacomo Cea nei confronti dell'Amministrazione finanziaria per il rimborso della ritenuta fiscale del 6 per mille, operata, dalla Banca d'America e d'Italia, sul saldo contabile dei suoi conti correnti alla data del 9 luglio 1992 -- ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 47 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica) come sostituito dalla legge di conversione 8 agosto 1992, n. 359.

L'ordinanza, rilevato che il tributo previsto dalla norma in esame presenta le caratteristiche di un'imposta sul patrimonio finanziario e non su un effettivo reddito, ritiene che il prelievo abbia inciso in maniera diffusa su situazioni differenziate, discriminando le posizioni dei soggetti colpiti e ispirandosi, così, al principio di proporzionalità piuttosto che a quello di progressività. Lo stesso, inoltre, avrebbe colpito risparmi in gran misura di minima entità, lasciando inalterati patrimoni più cospicui investiti in utilizzi maggiormente remunerativi dei semplici depositi, gravando talora sopra disponibilità finanziarie contingenti e, perciò, non sull'effettiva ricchezza, ma su temporanee liquidità, spesso da sottoporre ad ulteriori tassazioni. Infine la norma impugnata consentirebbe solo ai possessori di scritture contabili di provare l'ammontare effettivo del saldo disponibile alla data del 9 luglio 1992.

La norma denunciata si porrebbe, pertanto, in contrasto con: 1) l'art. 3 della Costituzione, "per aver colpito in maniera eguale situazioni differenziate"; 2) l'art. 53 della Costituzione, per avere "inciso su saldi contabili astratti che non possono essere considerati espressione di capacità contributiva", in violazione del principio di progressività; 3) l'art. 47 della Costituzione, per "non aver tutelato nè incoraggiato il risparmio", "inducendo i risparmiatori a maggiori cautele" con sottrazione di ricchezza dal circuito economico.

2.-- Si è costituito in giudizio il Cea, rappresentato e difeso dall'avv. Emmanuele Emanuele, il quale ha depositato una memoria nella quale chiede la declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni in parola. Secondo la difesa della parte privata, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto l'imposta colpirebbe esclusivamente alcune forme d'impiego del risparmio nei confronti di altre, penalizzando i titolari di redditi medio bassi, privi della possibilità di utilizzare impieghi che presuppongono maggiori disponibilità (BOT, "pronti contro termine").

Si assume, altresì, che il principio di eguaglianza avrebbe consentito al legislatore di emanare norme differenziate riguardo a situazioni obiettivamente diverse, sicchè il presupposto dell'imposta sarebbe stato scelto in modo irrazionale ed arbitrario, in base soltanto alle somme in deposito. Sarebbe violato anche l'art. 47 della Costituzione, dal momento che il "prelievo forzoso", soprattutto a carico dei risparmiatori tradizionali che non disponevano di altre forme di impiego, avrebbe provocato sfiducia nel sistema, flessione della raccolta, e sottrazione della ricchezza dal suo circuito tradizionale. L'imposta, inoltre, colliderebbe con l'art. 53 della Costituzione, in quanto graverebbe su "un valore astratto" e cioè, in moltissimi casi, su disponibilità finanziarie contingenti, momentaneamente in transito sul conto o non appartenenti all'intestatario, incidendo, pertanto, non sull'effettiva ricchezza ma su temporanee liquidità, spesso soggette ad altre tassazioni. Ulteriormente discriminatoria risulterebbe la facoltà di provare l'ammontare effettivo del saldo disponibile alla data del 9 luglio 1992, concessa solo ai possessori di scritture contabili e non alla generalità dei soggetti d'imposta. Per queste ragioni l'imposta si potrebbe oggettivamente definire patrimoniale su un patrimonio finanziario a volte inesistente, in contrasto con la regola costituzionale per cui il nostro sistema è improntato ai criteri della progressività e non certo, come nel caso, della proporzionalità.

3.-- È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione venga dichiarata non fondata.

Premesso che la norma denunciata persegue un "interesse di straordinario rilievo", in relazione ad "una situazione di drammatica emergenza della finanza pubblica", si osserva che l'imposta in discussione: a) non è, come del resto anche l'imposta straordinaria sugli immobili contestualmente introdotta, un'imposta sul reddito, ma che comunque le imposte patrimoniali non sono necessariamente estranee al sistema costituzionale; b) non è un'imposta progressiva, fermo comunque che la progressività deve informare il sistema nel suo complesso e non ogni singola imposta, specie se straordinaria; c) dirigendosi sulla gran massa della ricchezza mobiliare, tende a colpire un ampio spettro del patrimonio mobiliare e immobiliare.

Rilevato, altresì, che non si può dire che l'esistenza di depositi o saldi attivi di conti correnti non sia una manifestazione di capacità contributiva, anche nel raro caso di disponibilità finanziaria momentaneamente o accidentalmente in transito, l'atto di intervento osserva come non si comprenda il rilievo relativo alla prova contraria, che si asserisce concessa solo ai possessori di scritture contabili, atteso che il presupposto del tributo è particolarmente semplice e di facile accertamento, senza necessità di presunzioni o prove contrarie. Si rileva, infine, che non può invocarsi l'art. 47 della Costituzione per mettere la ricchezza mobiliare al riparo da qualunque prelievo tributario.

Considerato in diritto

1.-- Con l'ordinanza in epigrafe, viene sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), come sostituito dalla legge di conversione 8 agosto 1992, n. 359, che, al comma 6, istituisce, per l'anno 1992, un'imposta straordinaria sui depositi bancari e postali, prevedendo una ritenuta del 6 per mille sull'ammontare dei medesimi, quale risulta dalle scritture contabili alla data del 9 luglio 1992.

2.-- Secondo il giudice remittente, il tributo, al quale andrebbero riconosciute le caratteristiche di un'imposta sul patrimonio finanziario e non su un effettivo reddito, sarebbe incostituzionale, perchè: a) inciderebbe "in maniera diffusa su situazioni differenziate, discriminando le posizioni dei soggetti colpiti" e risultando così ispirato "al principio di proporzionalità piuttosto che a quello di progressività"; b) colpirebbe risparmi "in gran misura di minima entità, lasciando inalterati patrimoni più cospicui" investiti in utilizzi maggiormente remunerativi dei semplici depositi; c) graverebbe talora sopra "disponibilità finanziarie contingenti" e, perciò, non "sull'effettiva ricchezza, ma su temporanee liquidità" spesso "da sottoporre ad ulteriori tassazioni"; d) consentirebbe "solo ai possessori di scritture contabili di provare l'ammontare effettivo del saldo disponibile alla data del 9 luglio 1992", escludendo dalla prova contraria la generalità dei soggetti d'imposta.

Sulla scorta di siffatte premesse, l'ordinanza assume che la disposizione denunciata sarebbe in contrasto con: - l'art. 3 della Costituzione, in quanto colpirebbe "in maniera eguale situazioni differenziate"; - l'art. 53, perchè inciderebbe "su saldi contabili astratti che non possono essere considerati espressione di capacità contributiva, così da risultare violato il principio di progressività"; - l'art. 47 della Costituzione, in quanto non tutelerebbe nè incoraggerebbe il risparmio, generando "sfiducia" nei risparmiatori e "sottraendo ricchezza dal sistema economico".

3.-- La questione non è fondata.

Va precisato, anzitutto, che non possono essere presi in considerazione profili della questione stessa prospettati solo nella memoria della parte privata, dovendo l'esame di questa Corte essere circoscritto a quelli dedotti dal giudice a quo.

Quanto a questi ultimi si rileva che, nello svolgimento argomentativo dell'ordinanza di rimessione, i motivi di censura, sia pure con qualche sovrapposizione e disorganicità espositiva, trovano il loro fulcro negli artt. 3 e 53 della Costituzione, sì da risolversi, in sostanza, in tre ordini di prospettazioni, in corrispondenza con i principi desumibili dagli articoli dei quali si assume la violazione; vale a dire quello della capacità contributiva e quelli, strettamente correlati al primo, della parità di trattamento nell'imposizione fiscale e della progressività del sistema tributa rio.

Su un diverso e distinto piano si colloca poi la specifica doglianza concernente la presunta violazione dell'art. 47 della Costituzione.

4.-- Seguendo perciò l'ordine espositivo che, in relazione ai parametri invocati dal remittente, è consentito dare alle censure che vengono proposte, va esaminata, anzitutto, quella concernente il principio di capacità contributiva che si assume violato, in quanto il prelievo presenterebbe, da un canto, le caratteristiche di un'imposta sul patrimonio finanziario e non su un effettivo reddito, ed inciderebbe, dall'altro, su saldi contabili astratti, tanto da gravare, talora, secondo l'ordinanza, non sull'effettiva ricchezza ma su temporanee liquidità.

In proposito occorre ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la capacità contributiva, quale idoneità alla obbligazione di imposta, desumibile dal presupposto economico al quale l'imposizione è collegata, va, in linea di principio, ravvisata in qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalità sotto il profilo della arbitrarietà ed irrazionalità (sentenza n. 42 del 1992).

Orbene, si deve considerare che il tributo in esame è un'imposta straordinaria connotata da modalità eccezionali ed inserita in un contesto di misure finanziarie di carattere generale, nell'ambito del quale il prelievo sui depositi, nel colpire un peculiare indice di capacità contributiva, incide sui depositi stessi con un'aliquota invero di contenuta entità, tale da non potersi ragionevolmente considerare ablativa del patrimonio del soggetto. In relazione a siffatte caratteristiche non può, pertanto, dirsi che il legislatore abbia travalicato i limiti del discrezionale apprezzamento al medesimo spettante in materia, mentre, ad ulteriore sostegno di un giudizio di non incostituzionalità della norma denunciata, sta la circo stanza che trattasi di un'imposizione una tantum e, quindi, tale da non alterare, secondo un canone valutativo altra volta fatto proprio dalla Corte, il sistema tributario considerato in tutte le sue componenti (sentenza n. 159 del 1985).

Sotto l'altro aspetto della dedotta incidenza dell'imposta su saldi contabili astratti, occorre considerare che la peculiare configurazione dell'imposta, che incide sui depositi esistenti alla data del 9 luglio 1992, rinviene la sua ragion d'essere, secondo gli elementi ricostruttivi delle finalità della legge, desumibili anche dagli atti parlamentari, nell'esigenza di individuare un meccanismo di immediato accertamento e di agevole riscossione dell'imposta medesima.

Nel necessario bilanciamento di interessi fra esigenze finanziarie della collettività e tutela delle ragioni del contribuente (cfr. sentenza n. 574 del 1988), la norma denunciata assume i saldi contabili, alla data stabilita dal legislatore, come normalmente rappresentativi di mezzi patrimoniali propri del titolare del conto, ed espressivi, perciò, di quella ricchezza che, in sè, può ben essere reputata indice di capacità contributiva. Ma anche a considerare altri casi -- desumibili, invero, più dalle ipotesi formulate nella memoria di parte privata che nell'ordinanza di rimessione che si limita ad una astratta doglianza e comunque non denuncia in concreto alcuna specifica situazione -- e cioè quelli della eventuale non coincidenza fra titolare del deposito ed effettivo titolare dei mezzi finanziari depositati, non per questo può dirsi venir meno il detto presupposto della capacità contributiva.

Infatti, quel che rileva è che si tratta di imposta che colpisce il bene indice di ricchezza nella sua oggettività e che, pertanto, non irragionevolmente, la legge pone a carico di colui che ne risulta detentore indipendentemente da eventuali rapporti sottostanti con altri soggetti, nell'ambito dei quali troverà definizione il problema della ritenuta subita dal titolare del conto.

5.-- Con le ulteriori censure, attinenti alla violazione del principio di eguaglianza, il giudice remittente assume, da un canto, che l'imposta avrebbe inciso "in maniera diffusa su situazioni differenziate, discriminando le posizioni dei soggetti colpiti" e risultando così ispirata al principio di proporzionalità piuttosto che a quello di progressività; e, dall'altro, che verrebbero colpiti risparmi "in gran parte di minima entità, lasciando inalterati patrimoni più cospicui", investiti in utilizzi maggiormente remunerativi dei semplici depositi.

In ordine al primo profilo, volto a lamentare, con evidente riferimento alla misura fissa dell'aliquota, la mancanza di progressività dell'imposta, non si nega che, secondo quanto da tempo ritenuto dalla giurisprudenza costituzionale, il precetto sulla capacità contributiva di cui all'art. 53, primo comma, della Costituzione, esige,

quale specificazione del generale principio di eguaglianza, non solo che a situazioni eguali corrispondano eguali regimi impositivi, ma anche che, a situazioni diverse, facciano riscontro trattamenti tributari diseguali (sentenza n. 120 del 1972). Ma, come ha avuto occasione di chiarire la stessa giurisprudenza costituzionale, il principio di progressività è da rapportare al complesso del sistema tributario e non invece a ciascun tributo, venendo così, in definitiva, a governare le imposte personali (sentenza n. 263 del 1994).

Quanto all'altro profilo di doglianza, e cioè quello secondo il quale la norma avrebbe colpito risparmi in gran misura di minima entità lasciando inalterati patrimoni più cospicui che ragionevolmente non vengono immobilizzati in depositi scarsa mente fruttiferi, ma investiti in utilizzi più remunerativi, la censura, per trovare ingresso in sede di giudizio di costituzionalità, avrebbe dovuto precisare i termini della diversa disciplina che si intende porre a comparazione con quella denunciata.

Data per scontata, nella specie, la capacità contributiva, come idoneità alla obbligazione di imposta, deducibile dal collegamento fra i soggetti e la situazione considerata dalla legge, la mancata indicazione della norma o del principio dell'ordinamento rispetto ai quali si verificherebbe la disparità di trattamento non consente nè di apprezzare di quali fattispecie si tratti, nè di valutare quali siano le ragioni per le quali esse siano rimaste al di fuori della disciplina denunciata, nè di verificare il rapporto che eventualmente possa intercorrere fra le due normative in comparazione, alla stregua, oltretutto, del principio secondo il quale, nel giudizio di costituzionalità, il riequilibrio delle situazioni avviene attraverso il ripristino della normativa generale e non attraverso l'estensione delle discipline derogatorie.

Quanto, poi, alla asserita disparità che si verificherebbe in ordine alla prova dell'entità del saldo, che sarebbe consentita ai soli soggetti possessori di scritture contabili, si rileva che la infondatezza della doglianza discende dall'errato presupposto interpretativo dal quale il remittente muove, consistente nel riferire la previsione normativa ai contribuenti, anzichè alle aziende di credito, tenute ad operare la ritenuta, per l'appunto, sui saldi risultanti dalle loro scritture contabili.

6.-- Venendo, infine, alla censura relativa alla presunta violazione dell'art. 47 della Costituzione, per non aver tutelato e incoraggiato il risparmio, è sufficiente rammentare che l'invocato precetto costituzionale -- come la Corte ha già avuto occasione di rilevare -- contiene soltanto un principio programmatico al quale deve ispirarsi il legislatore ordinario, ma non può certo impedire al medesimo di emanare, in materia finanziaria, quelle norme giuridiche che siano volte a disciplinare il gettito delle entrate, con l'unico limite della vera e propria contraddizione o compromissione dell'anzidetto principio. Ciò che, invero, nella specie non è dato riscontrare.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), come sostituito dalla legge di conversione 8 agosto 1992, n. 359, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 47 e 53 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/05/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 04/05/95.