Ordinanza n. 278/2000

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 278

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Francesco GUIZZI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili), promosso con ordinanza emessa il 30 novembre 1998 dalla Commissione tributaria regionale di Firenze, sul ricorso proposto da Pierotti Walter contro l’Ufficio del registro di Pisa, iscritta al n. 107 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 maggio 2000 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto che, con ordinanza del 30 novembre 1998, emessa nel corso del giudizio promosso da Pierotti Walter contro l’Ufficio del registro di Pisa, la Commissione tributaria regionale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili), nella parte in cui sanziona nella stessa misura l’omissione e il ritardo della presentazione della dichiarazione INVIM, denunciandone il contrasto con l’art. 76 della Costituzione, con riferimento anche all’art. 10, secondo comma, numero 11, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria);

che il rimettente rammenta preliminarmente che, in ordine a tale questione, già da lui sollevata con ordinanza del 6 giugno 1997 (iscritta al R.O. n. 669 del 1997), questa Corte ha disposto, a suo tempo, la restituzione degli atti al giudice a quo, perché vagliasse "l’incidenza dello ius superveniens, correlato al sopravvenuto decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, in tema di sanzioni amministrative, con effetto anche sui procedimenti in corso ex art. 25 dello stesso decreto" (ordinanza n. 189 del 1998);

che il rimettente medesimo motivatamente esclude che le disposizioni transitorie di cui al menzionato art. 25 del decreto legislativo n. 472 del 1997 esplichino alcuna incidenza sulla fattispecie al suo esame, osservando, anzitutto, che il ricorrente nel giudizio principale "se, da un lato, non si è avvalso della definizione agevolata di cui al citato art. 25, ultimo comma, dall’altro, ex actis (v. sentenza appellata), appare essere incorso in un’ipotesi di condotta colposamente imputabile, non importa se a titolo lieve", e rilevando, altresì, che la sopravvenuta disciplina, in materia di sanzioni amministrative-tributarie, non elide la diversità ontologica tra le fattispecie omissive e quelle da mero ritardo;

che, sulla base di tale premessa, il giudice a quo, nel ritenere che debba rimanere "ferma" la precedente ordinanza di rimessione 6 giugno 1997, ha disposto nuovamente l’invio degli atti a questa Corte "per la statuizione di giustizia in ordine alla sollevata eccezione di costituzionalità", lamentando, in particolare, la mancata assimilazione, in sede legislativa, della dichiarazione tardiva, precedente all’avviso di liquidazione, alla dichiarazione tempestivamente presentata, in materia di INVIM;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per sentir dichiarare infondata la sollevata questione di costituzionalità.

Considerato, preliminarmente, che il giudice a quo ha integrato le motivazioni della precedente ordinanza di rimessione, argomentando plausibilmente sulla persistente necessità di fare applicazione nel giudizio principale della disposizione già denunciata, sicché la questione di legittimità costituzionale è, sotto il profilo della rilevanza, ammissibile;

che la questione stessa, così come sollevata dal rimettente, in continuità con la precedente ordinanza, si risolve nel riproporre un problema già più volte esaminato e definito da questa Corte in senso negativo rispetto ai dubbi prospettati dai giudici a quibus, in riferimento sia all'art. 3, che all'art. 76 della Costituzione, e cioè quello della graduazione delle sanzioni in relazione alle ipotesi del ritardo e della omissione della dichiarazione INVIM;

che, in particolare, il rimettente, pur mostrando di ben conoscere detta giurisprudenza, ritiene di riproporre la questione sotto il profilo della violazione dell'art. 76 della Costituzione, in relazione ai criteri dell'art. 10, secondo comma, numero 11, della legge n. 825 del 1971, sollecitando, in particolare, una pronunzia caducatoria della norma che sanziona la denuncia tardiva, all'uopo prospettando una possibile equiparazione fra quest'ultima e la denuncia tempestiva;

che non è dato comprendere come l'ipotizzata pronunzia, volta ad equiparare situazioni che risultano obiettivamente diverse, come la Corte non ha mancato già di rilevare (in tal senso vedi proprio la sentenza n. 84 del 1989 citata dal giudice a quo), possa risultare atta a realizzare un adeguamento della disposizione ai criteri della legge di delega, posto che essa frustrerebbe, invece, quell’obiettivo primario di rapidità nell’espletamento di quegli obblighi, cui sono connessi il potere di accertamento dell’ufficio tributario e, in definitiva, la più solerte riscossione delle imposte, principale fonte di risorse finanziarie dello Stato; obiettivo proprio in ragione del quale questa Corte (vedi, in particolare, ordinanza n. 418 del 1987) ha già reputato rispettata, da parte della disposizione denunciata, la direttiva contenuta nella legge delega circa "la migliore commisurazione delle sanzioni all’effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni";

che, pertanto, la questione è da ritenere manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili), sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2000.

Francesco GUIZZI, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 luglio 2000.