Sentenza n. 251/2001

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SENTENZA N. 251

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze emesse il 26 gennaio 2000 dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - sezione staccata di Reggio Calabria, il 14 luglio, il 28 luglio e il 22 settembre 2000 dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia - sezione staccata di Brescia, rispettivamente iscritte ai nn. 594, 698 e 699 del registro ordinanze 2000 e al n. 28 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 43 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2000 e n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2001.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2001 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto in fatto

1.1. – Con ordinanza del 26 gennaio 2000 (r.o. n. 594/2000) il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), in riferimento all’art. 76 della Costituzione.

1.2. – Nel giudizio principale è stato chiesto l’annullamento di un decreto di revoca della patente di guida, adottato dal Prefetto competente, in data 15 settembre 1998, in ragione del fatto che il relativo titolare era stato precedentemente sottoposto, con provvedimento emanato nel 1990, a una misura di prevenzione (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza), per la durata di un anno.

Osserva il Tribunale amministrativo che i motivi di impugnativa addotti dal ricorrente andrebbero rigettati poiché la revoca della patente, alla stregua della disciplina vigente, costituisce atto vincolato una volta che vi sia sottoposizione, attuale o pregressa, alla misura di prevenzione; di qui la rilevanza del dubbio di costituzionalità della norma sulla cui base è stato adottato l’atto impugnato.

1.3. – Il rimettente svolge preliminarmente alcune argomentazioni relativamente alla natura della norma sottoposta al controllo di costituzionalità.

L’art. 120 del codice della strada, nella sua versione originaria, disponeva circa i «requisiti morali» per ottenere la patente di guida, stabilendo, tra l’altro, che non potesse essere rilasciata la patente a coloro che «sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423 [...] fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi»; e il successivo art. 130 [comma 1, lettera b)] stabiliva che in presenza delle medesime condizioni dovesse essere disposta la revoca della patente di guida già rilasciata.

Su questo quadro normativo è intervenuta – prosegue il Tribunale amministrativo – la sentenza n. 354 del 1998 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’incostituzionalità della citata disciplina, nella parte in cui prevedeva la revoca della patente per coloro che “fossero stati” sottoposti a una misura di sicurezza, per violazione dell’art. 76 della Costituzione: la Corte, nella circostanza, ha rilevato che a porre una simile previsione, innovativa e restrittiva rispetto alla disciplina del preesistente codice della strada (d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393), il legislatore delegato non era abilitato, alla stregua della portata della legge di delega 13 giugno 1991, n. 190, che consentiva solo un riordino e non anche una sostanziale riforma della materia.

L’art. 120, peraltro – osserva ancora il rimettente –, è stato, già prima della citata decisione della Corte (che concerneva ratione temporis le norme originarie del codice della strada), sostituito dall’art. 5 del d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575 (Regolamento recante la disciplina di procedimenti per il rilascio e la duplicazione della patente di guida di veicoli): ma tale fonte regolamentare ha mantenuto nella sostanza inalterato il contenuto delle previsioni originarie, continuando in particolare a imporre la revoca della patente in ogni caso di pregressa sottoposizione del titolare a una misura di sicurezza o a una misura di prevenzione.

Ora, rileva il rimettente, l’atto amministrativo di revoca della patente, del quale si controverte nel giudizio principale, è certamente successivo all’entrata in vigore del d.P.R. n. 575 del 1994 ed è pertanto adottato in attuazione della norma come sostituita da esso; ma «l’apparente veste non legislativa» della disposizione che viene in rilievo nel giudizio a quo non è di ostacolo alla sua sottoposizione a sindacato di costituzionalità.

Infatti, il d.P.R. citato è stato emanato in forza di una delega regolamentare contenuta nell’art. 2 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), che autorizzava (comma 7) il Governo ad adottare «norme di regolamentazione di procedimenti amministrativi» elencati in apposito allegato, dettando allo scopo una serie di criteri e principi-guida, quali la finalità di semplificazione e snellimento, l’uniformità dei procedimenti dello stesso tipo e così via, e che stabiliva (comma 8) che le norme «anche di legge» regolatrici dei medesimi procedimenti fossero abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore dei regolamenti in questione.

Nel disciplinare la materia, il d.P.R. ha riscritto l’intera norma dell’art. 120 del codice della strada, lasciando però immutata la parte di carattere sostanziale concernente le condizioni soggettive comportanti la revoca della patente di guida, così come dispone ora il “nuovo” comma 1 dell’art. 120, essenzialmente riproduttivo della vecchia disciplina.

Poiché peraltro il d.P.R. – anche secondo il parere reso dal Consiglio di Stato sullo schema originario del regolamento - non poteva operare, a tenore della legge abilitante, nessuna innovazione di carattere sostanziale, essendo rivolto solo a disporre in materia di procedimento, ne deriva, a giudizio del rimettente, che l’aver disposto fuori dell’ambito consentito dalla delega regolamentare rende inoperante - nella parte sostanziale che qui interessa - la clausola abrogativa delle norme «anche di legge» anteriori. Pertanto la disposizione di carattere sostanziale della cui costituzionalità il Tribunale amministrativo dubita, al di là della formale sostituzione dell’intera norma da parte del regolamento, continua a rivestire i caratteri della legge, secondo l’originaria fonte che ha introdotto il testo del codice della strada, e su di essa può esercitarsi il controllo di costituzionalità. Tale conclusione sarebbe del resto confortata da enunciati di decisioni della Corte costituzionale, come l’ordinanza n. 230 del 1999, che, nel rimettere gli atti al giudice a quo per un riesame della rilevanza della questione, ha affermato essere di spettanza del giudice di merito la valutazione circa il rapporto tra le norme aventi forza di legge e le disposizioni regolamentari che le riproducono in atti di «delegificazione», fuori della materia che la legge ha previsto come suscettibile della delegificazione stessa.

1.4. – Tutto ciò premesso, il rimettente reputa che la disciplina del decreto legislativo n. 285 del 1992, in quanto prescrive la revoca della patente per chi «sia stato» sottoposto a una misura di prevenzione [nella specie, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza] sia incostituzionale, per eccesso di delega, sotto gli stessi profili della dichiarazione di incostituzionalità della previsione della revoca della patente nei confronti di chi «sia stato» sottoposto a una misura di sicurezza (sentenza n. 354 del 1998): la legge di delegazione non autorizzava il Governo a modificare in senso innovativo e restrittivo la disciplina preesistente (artt. 82 e 91 del d.P.R. n. 393 del 1959), che prevedeva una ipotesi di revoca solamente per chi fosse – in atto – sottoposto a una misura di prevenzione, non anche nei riguardi di chi lo “fosse stato” in passato, poiché - come appunto rilevato nella menzionata sentenza n. 354 del 1998 - la delega conferita era rivolta al mero riesame della legislazione preesistente, che rimane la «base di partenza» dell’intervento del legislatore delegato; e nella legge di delega non è dato rinvenire una qualsiasi indicazione che possa giustificare l’innovazione di cui si discute.

Pertanto, conclude il Tribunale amministrativo, la norma censurata, in quanto viola la legge di delega, contrasta con l’art. 76 della Costituzione.

1.5. – Nel giudizio così promosso si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

L’Avvocatura contesta che possa avere validità l’argomento del rimettente, dell’estensione della medesima ratio della sentenza n. 354 del 1998 concernente la pregressa sottoposizione a una misura di sicurezza. Il nuovo codice della strada si basa, per tale aspetto, sull’art. 2, comma 1, lettera t), della legge di delegazione n. 190 del 1991, che prevedeva il «riesame della disciplina» della revoca della patente di guida: ma «riesame», afferma l’Avvocatura, sarebbe concetto diverso dalla mera riproduzione, nel senso che ammette appunto una revisione secondo il mutare della disciplina cui deve fare di volta in volta riferimento; e mentre la disciplina delle misure di sicurezza è rimasta invariata nel tempo, non altrettanto può dirsi per l’assetto delle misure di prevenzione, che è cambiato, in particolare, per la previsione dell’istituto della riabilitazione, a seguito della legge 3 agosto 1988, n. 327 (art. 15).

Per tale innovazione, e per il fatto che le misure di sicurezza si riconnettono sempre a un fatto costituente reato e sono vere e proprie sanzioni criminali, tanto che la riabilitazione ha ad oggetto il reato, non tali misure (artt. 178 e 179 cod. pen.), mentre le misure di prevenzione prescindono dalla commissione di un reato, essendo applicabili sine delicto o ante delictum, si giustificherebbe la differenziazione della disciplina, e non risulterebbe pertinente il precedente invocato dal rimettente.

2.1. – Con ordinanza del 14 luglio 2000 (r.o. 698/2000) il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 76 della Costituzione, questione di costituzionalità dell’art. 120, comma 1, del decreto legislativo n. 285 del 1992 (Nuovo codice della strada), in quanto prescrive la revoca della patente di guida in caso di sottoposizione del relativo titolare alla misura del foglio di via obbligatorio, a norma dell’art. 2 della legge n. 1423 del 1956.

2.2. – Il giudizio principale, riferisce il rimettente, concerne l’impugnazione di un provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida adottato in quanto l’interessato è soggetto alla misura del foglio di via obbligatorio, in applicazione dell’art. 120 del codice della strada quale risulta dalla sua sostituzione a opera del d.P.R. n. 575 del 1994: sostituzione, prosegue il giudice a quo, che ha tuttavia lasciato sostanzialmente immutata la disciplina relativamente alla parte che interessa, poiché la norma, sia prima che dopo l’intervento di «delegificazione», continua a ritenere privo dei requisiti «morali» per ottenere la patente chi sia sottoposto a misure di sicurezza o a misure di prevenzione, salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi, e continua dunque a prescrivere la revoca del titolo in presenza delle medesime circostanze. Se ne deduce, prosegue sul punto il giudice a quo, che, al di là di detto intervento della fonte regolamentare del 1994, la disposizione censurata continua a rivestire valore di legge, per la parte in cui detta le condizioni sostanziali della revoca della patente, trattandosi di materia non passibile di «delegificazione” alla stregua della legge n. 537 del 1993 (art. 2, comma 7) e non essendo perciò operante la clausola abrogativa del testo legislativo originario contenuta nella legge stessa (art. 2, comma 8).

Ciò premesso, il giudice a quo osserva che la questione di costituzionalità della norma, oltre che ammissibile per i rilievi sopra detti, è rilevante, perché altrimenti il provvedimento di revoca adottato sarebbe immune da censure.

2.3. – Nel merito, il rimettente individua innanzitutto un profilo di contrasto con l’art. 3 della Costituzione, per l’irragionevolezza della disciplina, che realizzerebbe un bilanciamento improprio tra le esigenze di sicurezza e il sacrificio delle facoltà dell’individuo, in rapporto anche alla sua vita di relazione e alle sue esigenze di lavoro: la scelta legislativa della revoca obbligatoria e indiscriminata appare eccessiva e sproporzionata, essendo sufficiente, ai fini della tutela delle ragioni di sicurezza, la sola misura presupposta. E ugualmente irragionevole sarebbe l’impossibilità di un apprezzamento, in sede di adozione dell’atto di revoca, delle circostanze del caso concreto, secondo un criterio di giudizio di tipo prognostico quale quello che la stessa disposizione ammette invece per chi sia stato condannato in sede penale: la prognosi, cioè, che il mantenimento della patente di guida agevoli le attività illecite del singolo. La norma sarebbe poi lesiva anche del diritto al lavoro (artt. 4 e 35 della Costituzione), rappresentando l’abilitazione alla guida un elemento sovente indispensabile per ottenere un lavoro, o per mantenerlo; e la compressione di tale diritto non sarebbe giustificabile solo con la tutela dell’interesse alla sicurezza della collettività.

Infine, il Tribunale amministrativo ravvisa un eccesso di delega nella norma impugnata, in rapporto alla previsione dell’art. 2, lettera t), della legge n. 190 del 1991, che abilitava il legislatore delegato alla generica attività di «riesame» della disciplina anteriormente vigente, la quale però non prevedeva l’ipotesi di revoca della patente per la sottoposizione al foglio di via: l’innovazione sostanziale, non trovando fondamento in alcuna norma della legge di delegazione, sarebbe dunque lesiva di quest’ultima e, suo tramite, dell’art. 76 della Costituzione.

3. – Questione testualmente identica a quella sopra detta, e riferita ai medesimi parametri costituzionali, è stata sollevata dallo stesso Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia, con altre due successive ordinanze, del 28 luglio 2000 (r.o. n. 699/2000) e del 22 settembre 2000 (r.o. n. 28/2001).

Considerato in diritto

 1. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria, con una ordinanza, e il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia, con tre ordinanze, sollevano questione di costituzionalità della disciplina della revoca della patente di guida conseguente alla sottoposizione del relativo titolare a misure di prevenzione, ritenendola in contrasto con gli artt. 3, 4, 35 e 76 della Costituzione.

In particolare, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria, chiamato a decidere un ricorso per l’annullamento di un provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida adottato nei confronti di persona «già» (ma, al momento del giudizio, «non più») sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, dubita, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, della legittimità costituzionale della disciplina contenuta nel decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sulla base della quale è stata disposta la revoca e dall’applicazione della quale dipende la risoluzione del giudizio innanzi a sé pendente.

 Il rimettente – sul presupposto che l’impugnato art. 120 del codice della strada sia tuttora vigente nella sua originaria veste legislativa, nonostante l’intervento di «delegificazione» cui esso è stato sottoposto con il d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575 (Regolamento recante la disciplina dei procedimenti per il rilascio e la duplicazione della patente di guida di veicoli) – ritiene che la previsione della revoca della patente per coloro che siano stati precedentemente sottoposti a una misura di prevenzione, in quanto più restrittiva rispetto alla disciplina contenuta nel codice previgente (d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393), non trovi fondamento nella legge di delegazione 13 giugno 1991, n. 190, sulla cui base è stato emanato il decreto legislativo recante il nuovo codice. In particolare, non sarebbe invocabile come fondamento l’art. 2, comma 1, lettera t), della legge, la quale non consentirebbe al legislatore delegato di discostarsi dalle scelte sostanziali della normativa preesistente. A sostegno di questa interpretazione limitativa della delega, viene richiamata la sentenza n. 354 del 1998 di questa Corte, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 120 in questione (in combinato disposto con l’art. 130), nella parte in cui prevedeva la revoca della patente nei confronti di coloro che “fossero stati” sottoposti a misure di sicurezza personali.

 Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia, a sua volta, con tre ordinanze di identico tenore, emesse nel corso di giudizi per l’annullamento di provvedimenti di revoca della patente adottati nei riguardi di persone soggette alla misura del foglio di via obbligatorio (art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423), dubita della legittimità costituzionale dell’art. 120 del codice della strada nella parte in cui si applica nei confronti di coloro che sono sottoposti alla menzionata misura del foglio di via. Muovendo anch’esso dal presupposto della vigenza della disciplina nel suo originario rango di atto legislativo, il giudice amministrativo ritiene che la normativa impugnata violi: a) l’art. 3 della Costituzione, per irragionevolezza della previsione, eccedente rispetto allo scopo di tutela delle esigenze di sicurezza collettiva, nonché per disparità di trattamento rispetto all’ipotesi di chi abbia riportato una condanna a pena detentiva, ipotesi nella quale è consentito (art. 120, comma 2, nel testo originario) un apprezzamento prognostico circa la possibile agevolazione alla commissione di attività illecite, a differenza che nel caso in questione; b) gli artt. 4 e 35 della Costituzione, per l’incidenza negativa della revoca della patente sulle possibilità di lavoro dell’interessato; c) l’art. 76 della Costituzione, per contrasto con la legge delega, che abilitava il legislatore delegato al mero «riesame» della preesistente normativa, senza autorizzare innovazioni sostanziali rispetto a quest’ultima.

 2. – Le questioni sollevate riguardano la medesima disciplina in materia di revoca della patente di guida in conseguenza di provvedimenti preventivi a carico dei rispettivi titolari; pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica pronuncia.

 3. – La modifica normativa intervenuta sulla disciplina sottoposta al controllo di costituzionalità da tutte e quattro le ordinanze dei giudici amministrativi richiede preliminarmente una precisazione circa l’oggetto del giudizio di cui questa Corte è investita. L’art. 120 del decreto legislativo n. 285 del 1992, infatti, è stato “sostituito” dall’art. 5 del d.P.R. n. 575 del 1994, dunque da un atto avente natura regolamentare, emanato sulla base dell’art. 2, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), ed entrato in vigore a decorrere dal 1° ottobre 1995 [a norma dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge 25 novembre 1995, n. 501 (Interventi per il settore dell’autotrasporto di cose per conto terzi, nonché per il personale addetto ai pubblici servizi di trasporto), convertito con modificazioni in legge 5 gennaio 1996, n. 11]. L’anzidetto intervento sul piano della fonte della disciplina non determina tuttavia l’inammissibilità delle questioni sollevate. Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, il controllo su atti aventi natura regolamentare non rientra nella giurisdizione costituzionale, secondo la definizione che di questa è data dall’art. 134 della Costituzione (tra molte, ordinanze n. 554, n. 328 e n. 100 del 2000). Ma i giudici rimettenti, con argomentazioni coincidenti, hanno ritenuto che, nonostante la “sostituzione” della disposizione di rango legislativo con altra di contenuto corrispondente ma di rango secondario, la disciplina tuttora vigente deve ritenersi quella contenuta nella legge poiché il regolamento, intervenuto su aspetti sostanziali della materia e così andando al di là della disciplina procedurale per la quale, sola, era abilitato, ha disposto fuori della materia sulla quale poteva intervenire, con ciò rendendosi inoperante la clausola abrogativa delle norme «anche di legge» anteriori contenuta nel comma 8 dell’art. 2 della legge n. 537.

L’intervento di «delegificazione» della normativa oggetto della questione di costituzionalità, secondo i rilievi sopra esposti formulati dai giudici rimettenti, non si sarebbe perfezionato; e, spettando a essi, non a questa Corte, la valutazione circa il rapporto tra le norme aventi forza di legge e le disposizioni regolamentari che le riproducono fuori dell’ambito che la legge ha previsto come suscettibile di «delegificazione» (v. in tal senso l’ordinanza n. 230 del 1999), le questioni di costituzionalità possono avere ingresso, per come sollevate nei confronti della norma che deriva dal riferimento che all’art. 120 del codice della strada, nella sua versione originaria attinente ai requisiti “morali” per il rilascio della patente di guida (comma 1), viene fatto dal successivo art. 130, anch’esso nella sua versione originaria, ove prevede [comma 1, lettera b)] la revoca della patente per il venire meno dei requisiti medesimi.

4. – La questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria è fondata.

 Come questa Corte ha già affermato nella sentenza n. 305 del 1996, con la legge n. 190 del 1991 il Governo è stato delegato ad adottare disposizioni aventi valore di legge intese a «rivedere e riordinare» la legislazione vigente in materia di disciplina della circolazione stradale, identificando direttamente, quale base dell’attività normativa delegata, il codice della strada previgente. Nell’ambito di una delega così configurata, l’ampiezza delle scelte normative consentite al legislatore delegato deve essere determinata in relazione alla maggiore o minore innovatività dei principi e dei criteri direttivi posti dal legislatore delegante. A questa stregua, la lettera t) dell’art. 2, comma 1, della legge n. 190 del 1991, che abilitava il Governo a operare un mero «riesame della disciplina [...] della revoca della patente di guida, anche con riferimento ai soggetti sottoposti [...] a misure di prevenzione», ha da essere intesa in un senso minimale, che non consente di per sé, in mancanza di specifiche disposizioni abilitanti, l’adozione di norme che siano sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo preesistente.

 E’ sulla premessa di questi caratteri della delega che è già stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della medesima disposizione legislativa oggi impugnata, nella parte in cui stabiliva la revoca della patente di guida nei confronti delle persone che erano state sottoposte a misura di sicurezza personale (sentenza n. 354 del 1998), trattandosi di previsione che non trovava riscontro nella legislazione preesistente. Gli artt. 82, primo comma, e 91, tredicesimo comma, del d.P.R. n. 393 del 1959, infatti, prevedevano la revoca della patente nei confronti di coloro che fossero – in atto – ma non che fossero stati – in precedenza – sottoposti a misura di sicurezza.

 La stessa ratio della citata pronuncia di questa Corte vale in relazione alla questione in esame. Come per le misure di sicurezza, infatti, anche per quanto concerne le misure di prevenzione, quali disciplinate dalle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, e 31 maggio 1965, n. 575, nel sistema del codice della strada preesistente la sottoposizione a una di esse costituiva ragione di revoca del titolo di abilitazione alla guida solo in quanto la misura fosse in corso di applicazione, secondo una valutazione del legislatore circa l’opportunità che soggetti sottoposti a misure preventive, colpiti quindi da un giudizio di pericolosità sociale, fossero privati della disponibilità della patente di guida. La norma del nuovo codice ora all’esame della Corte prevede però, in aggiunta a tale ipotesi, quale motivo di revoca della patente, anche quella della pregressa sottoposizione a una misura di prevenzione, senza che in nessuna parte della legge di delegazione si possa individuare un principio o criterio direttivo idoneo a giustificare l’innovazione in tal modo disposta, avente evidente carattere di maggior rigore rispetto alla legislazione preesistente.

 L’impossibilità di individuare nella legge di delegazione un’idonea base della normativa impugnata ne comporta quindi la dichiarazione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 76 della Costituzione.

 5. - Relativamente alle questioni sollevate con le tre ordinanze del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia, è da rilevare che con la sentenza n. 427 del 2000, a esse successiva, questa Corte, pronunciandosi su questione analoga e rimessa sulla base del medesimo presupposto della persistente vigenza della norma impugnata nella versione legislativa nonostante la prevista «delegificazione», ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, comma 1, del decreto legislativo n. 285 del 1992 [in combinato disposto con l’art. 130, comma 1, lettera b), dello stesso decreto], nella parte in cui prevedeva la revoca della patente di guida nei confronti di coloro che fossero sottoposti alla misura del foglio di via obbligatorio, a norma dell’art. 2 della legge n. 1423 del 1956, per violazione dell’art. 76 della Costituzione.

 Essendo la disciplina impugnata già stata dichiarata incostituzionale nei termini prospettati dal rimettente, le questioni in esame devono pertanto essere dichiarate manifestamente inammissibili (v. anche l’ordinanza n. 587 del 2000).

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

 1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), in relazione all’art. 130, comma 1, lettera b), del medesimo codice, nella parte in cui prevede la revoca della patente nei confronti di coloro che sono stati sottoposti alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituita dalla legge 3 agosto 1988, n. 327, nonché dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, così come successivamente modificata e integrata;

 2) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 1, del decreto legislativo n. 285 del 1992, in relazione all’art. 130, comma 1, lettera b), del medesimo codice, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 76 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2001.