Sentenza n. 305 del 1996

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SENTENZA N. 305

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Enzo CHELI, Presidente

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso con ordinanza emessa il 24 maggio 1995 dal Pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Troiano Antonio, iscritta al n. 841 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 29 maggio 1996 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto in fatto

1.-- Il Pretore di Milano -- chiamato a pronunciarsi in ordine alla convalida dell'arresto di Troiano Antonio, il quale, essendo alla guida di un'autovettura, aveva omesso di fermarsi e di prestare assistenza ad una persona investita, ha sollevato, in data 24 maggio 1995, questione di legittimità costituzionale dell'art. 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), in riferimento agli artt. 76 e 3, primo comma, della Costituzione.

Il giudice a quo, dopo avere sospeso ogni decisione in ordine alla convalida dell'arresto e dopo avere disposto la liberazione dell'indagato, non ritenendo applicabile nei suoi confronti alcuna misura cautelare, prospetta il dubbio che la disposizione impugnata contrasti con l'art. 76 della Costituzione, in quanto prevede la possibilità di arresto in assenza di una direttiva specifica nella legge di delegazione 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale).

La stessa disposizione, ad avviso del rimettente, sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto, irragionevolmente, consentirebbe l'arresto per fattispecie punite con pene inferiori rispetto a quelle in relazione alle quali tale misura è prevista in via generale dagli artt. 379 e ss. del codice di procedura penale.

2.-- Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

L'Avvocatura rileva che la legge 13 giugno 1991, n. 190, di delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale, contiene nell'art. 2, punto gg.), un criterio direttivo ("previsione nelle ipotesi più gravi di comportamento, da cui derivi pericolo o pregiudizio per la circolazione e per la sicurezza individuale e collettiva, di nuovi reati e modifica delle sanzioni penali vigenti, purché non superino nel massimo per le pene detentive i mesi dodici e per le pene pecuniarie la somma di lire due milioni") di così ampia portata, da ricomprendere senz'altro per il legislatore delegato la facoltà di prevedere anche l'arresto, al fine di punire con maggiore durezza i comportamenti antisociali che più mettono in pericolo la sicurezza individuale e collettiva.

La facoltà di procedere all'arresto della persona che si sia data alla fuga a seguito di incidente con danno alle persone, rispetterebbe, ad avviso dell'Avvocatura, anche il canone della ragionevolezza, trattandosi di una fattispecie nella quale sarebbe fondato presumere una più intensa pericolosità dell'agente.

D'altra parte -- osserva ancora l'Avvocatura -- l'art. 2, comma 1, lettera a), della legge-delega prevede che il codice della strada debba adeguarsi alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali, e la legge 30 settembre 1993, n. 388, che ha ratificato e dato esecuzione agli accordi di Schengen, menziona all'art. 41, tra i reati che consentono l'arresto, quello di fuga in seguito ad incidente che abbia causato morte o ferite gravi.

Quanto al secondo ordine di profili di illegittimità costituzionale prospettato dal Pretore (disparità di trattamento in conseguenza del mancato adeguamento della norma impugnata alle previsioni in materia di arresto del codice di procedura penale), l'Avvocatura rileva che in svariati casi, di carattere derogatorio, il legislatore ha previsto l'arresto fuori dai limiti edittali e fuori dalle ipotesi particolari indicate negli artt. 380 e 381 cod. proc. pen. (ad es. il comma 12-sexies dell'art. 7 e il comma 2 dell'art. 7-bis del d.l. n. 416 del 1989, inseriti dal d.l. 14 giugno 1993, n. 187, convertito nella legge 12 agosto 1993, n. 296, relativi allo straniero che non osserva il provvedimento di espulsione o distrugge il passaporto al fine di sottrarsi a tale provvedimento; il terzo comma dell'art. 9 della legge 1423 del 1956, come sostituito dall'art. 23 del d.l. 306 del 1992, in tema di violazione di obblighi inerenti a misure di prevenzione). Si tratta, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, di ipotesi di arresto facoltativo fuori flagranza, ritenute necessarie dal legislatore in considerazione della particolare pericolosità dell'agente; ipotesi alle quali è assimilabile, per identità di presupposto, quella contemplata dall'impugnato art. 189, comma 6, cod. strada.

Considerato in diritto

1.-- Il Pretore di Milano dubita, in riferimento agli artt. 76 e 3, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 189, comma 6, del nuovo codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), nella parte in cui consente l'arresto del conducente che, a seguito di incidente con danni alle persone ricollegabile al suo comportamento, si sia dato alla fuga senza ottemperare all'obbligo di fermarsi.

La disposizione censurata, introducendo nel codice della strada una previsione non sorretta nella legge di delegazione 13 giugno 1991, n. 190, da alcuna direttiva specifica, violerebbe l'art. 76 della Costituzione. Essa sarebbe, altresì, in contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, consentendo l'arresto in relazione ad una ipotesi criminosa che, nella configurazione più grave (violazione dell'obbligo di prestare assistenza), è assoggettata ad una pena edittale massima di soli dodici mesi di reclusione, con una non giustificata deroga rispetto alla normativa generale in materia di arresto, di cui agli artt. 379 e ss. del codice di procedura penale, che, in effetti, lo prevede in relazione a reati puniti più gravemente.

2.-- La questione non è fondata.

Per una più chiara comprensione del tema introdotto dal giudice a quo, giova premettere una breve analisi del contenuto della norma che viene all'esame di questa Corte.

L'art. 189 del codice della strada, stabilisce, al comma 1, che l'utente, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l'obbligo di fermarsi e di prestare l'assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona. Il comma 6 di detto articolo punisce con la reclusione fino a quattro mesi chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottemperi all'obbligo di fermarsi, aggiungendo che "il conducente che si sia dato alla fuga è in ogni caso passibile di arresto". Ai sensi del successivo comma 7, chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, non ottemperi all'obbligo di prestare l'assistenza occorrente alle persone ferite è punito con la reclusione fino a dodici mesi, e con la multa fino a lire due milioni. Il conducente che si fermi e, occorrendo, presti assistenza a coloro che hanno subito danni alla persona, mettendosi immediatamente a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, quando dall'incidente derivi il delitto di omicidio colposo (589 cod. pen.) o di lesioni personali colpose (590 cod. pen.), non è soggetto all'arresto stabilito per il caso di flagranza di reato (comma 8 del citato art. 189). La mancata osservanza dell'obbligo di fermarsi è poi configurata come illecito amministrativo e punita con il pagamento di una somma da £. 200.000 a £. 800.000 (art. 189, comma 5), in caso di incidente con danno alle sole cose.

La ratio complessiva della pluralità di previsioni penali contenute nell'art. 189 deve, sostanzialmente, ravvisarsi nel giudizio di disvalore nei confronti di comportamenti contrari a quel minimo sentimento di solidarietà umana, che impone di non abbandonare le vittime di incidenti stradali.

E' in questo contesto che la disposizione di cui al comma 6 dell'art. 189 prevede una ipotesi di arresto facoltativo, per il conducente che, in caso di incidente con danno alle persone, ricollegabile al suo comportamento, non ottemperi all'obbligo di fermarsi.

Venendo ora alla prima censura del giudice a quo, che denuncia la violazione dell'art. 76 della Costituzione, è da dire che un esame testuale della legge 13 giugno 1991, n. 190, porta ad escludere che il Governo sia incorso in eccesso di delega.

L'art. 189, comma 6, oggetto della questione di legittimità costituzionale, ripete la formulazione dell'art. 133 del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, codice della strada previgente, il quale già conteneva anche la previsione della facoltà di arresto per il conducente che si fosse dato alla fuga dopo un investimento (qualificando, peraltro, tali fattispecie come contravvenzioni).

E la legge di delegazione non lascia emergere alcuna direttiva nel senso della eliminazione di questa ipotesi di arresto. Anzi, l'art. 1, comma 1, della legge stessa, autorizzando l'adozione di disposizioni aventi valore di legge intese a rivedere e riordinare la legislazione vigente, identifica direttamente, quale base di partenza dell'attività delegata, il codice della strada previgente.

Solo in presenza di una direttiva contraria al mantenimento della facoltà di arresto per la fattispecie descritta dall'art. 133 del vecchio codice, oggi trasfusa nell'art. 189 del nuovo, si sarebbe potuto configurare a carico del decreto legislativo il denunciato vizio di eccesso di delega. Nella specie, però, tale direttiva contraria non sussiste, né è desumibile dalla legge di delegazione. Questa, infatti, al primo comma dell'art. 2, stabilisce che il codice della strada dovrà essere "informato alle esigenze di tutela della sicurezza stradale" e al punto gg) fissa, tra i "principî e criteri direttivi", il seguente vincolo per il legislatore delegato: "previsione, nelle ipotesi più gravi di comportamento, da cui derivi pericolo o pregiudizio per la circolazione e per la sicurezza individuale e collettiva, di nuovi reati e modifica delle sanzioni penali vigenti, purché non superino nel massimo per le pene detentive i mesi dodici e per le pene pecuniarie la somma di lire due milioni".

Ora, nell'economia del codice della strada, l'ipotesi prevista dall'art. 189 dà luogo indubbiamente -- specie in riferimento al fatto di chi non ottempera all'obbligo di prestare assistenza in caso di incidente ricollegabile al suo comportamento, ma anche in riferimento al fatto di chi in caso di incidente non ottemperi all'obbligo di fermarsi -- a quel pericolo o pregiudizio per la circolazione e per la sicurezza individuale e collettiva che giustifica il trattamento penale di maggior rigore fra quelli consentiti al legislatore delegato.

Il Governo ha dunque operato nei limiti della delega, sia configurando le condotte sopra indicate in termini di delitto anziché di contravvenzione, sia inasprendo le pene, sia infine mantenendo la già prevista facoltà di arresto.

Sotto un diverso profilo, non è privo di rilievo il fatto che in data 14 giugno 1985 è stato stipulato l'accordo di Schengen, al quale la Repubblica italiana ha aderito il 19 giugno 1990, anche se la legge di autorizzazione alla ratifica è del 30 settembre 1993, n. 388. Tale legge prevede all'art. 41 che la fuga, in seguito ad incidente che abbia causato morte o ferite gravi, autorizzi l'inseguimento anche in territorio estero ai fini dell'arresto. Una eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 189, comma 6, del codice della strada, lascerebbe oggi sguarnito di adeguata tutela un obbligo internazionale.

3.-- La questione è infondata anche in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

E' vero che le regole stabilite in materia di arresto dal codice di procedura penale (artt. 379 e ss.) si osservano, salve le eccezioni specificamente dettate, "nei procedimenti relativi a tutti i reati anche se previsti da leggi speciali" (art. 207 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271). Ma ciò non vuol dire che la legge non possa successivamente introdurre ulteriori deroghe, che si aggiungono a quelle già previste.

Ai casi citati dall'Avvocatura generale, richiamati nella parte espositiva, si possono aggiungere, come esempi ulteriori: l'art. 3 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, che consente l'arresto, anche fuori dei casi di flagranza, della persona che ha posto in essere una condotta punibile a norma dell'art. 385 cod. pen. (evasione); l'art. 7, comma 12, d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito nella legge 28 febbraio 1990, n. 39, che prevede una ipotesi particolare di arresto obbligatorio fuori flagranza, e per un reato con pena inferiore a tre anni di reclusione, per lo straniero che violi gli obblighi derivanti dalle misure di sorveglianza speciale; l'art. 6, comma 2, d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205, che consente l'arresto in flagranza per ipotesi contravvenzionali previste dall'art. 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (porto di armi od oggetti atti ad offendere); l'art. 6, comma 2-bis, stessa legge, che prevede l'arresto obbligatorio di chiunque sia colto in flagranza del delitto di promozione, costituzione, direzione e organizzazione delle associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Si tratta di speciali ipotesi di arresto facoltativo o obbligatorio, a volte anche fuori flagranza, ritenute opportune dal legislatore in considerazione della presumibile pericolosità sociale degli autori, delle caratteristiche delle condotte poste in essere o della particolarità e diffusione dei fenomeni criminosi da fronteggiare.

Per quanto concerne l'art. 189, comma 6, del codice della strada, anche se l'arresto viene in esso previsto con riferimento ad un reato la cui pena edittale è minore di quella stabilita con previsione generale dall'art. 381, comma 1, cod. proc. pen., la scelta compiuta appare non irragionevole. Rientra infatti nella discrezionalità del legislatore prevedere la possibilità di un intervento immediato nei confronti di chi si sia dato alla fuga, abbia abbandonato le vittime di incidenti stradali a lui riconducibili ed abbia messo in pericolo la sicurezza individuale e collettiva.

Anche questa ipotesi di arresto facoltativo va ad aggiungersi alle molteplici deroghe introdotte sia dal codice di procedura penale che dalle disposizioni speciali successive ad esso, e richiede pur sempre la sussistenza, nei singoli casi concreti, dei presupposti ai quali l'art. 381, comma 4, subordina in via generale l'adozione di tale misura; con l'ulteriore precisazione che, trattandosi di misura precautelare provvisoria facoltativa, essa può essere adottata solo sulla ragionevole prognosi di una sua trasformazione ope iudicis in una misura cautelare più stabile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 3, primo comma, della Costituzione, dal Pretore di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1996.

Enzo CHELI, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria il 24 luglio 1996.