ORDINANZA N. 253
ANNO 2000REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (Disciplina dell’imposta di registro), riprodotto nell’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), promosso con ordinanza emessa il 28 giugno 1999 dalla Commissione tributaria regionale di Milano sul ricorso proposto dall’Ufficio del Registro di Milano contro Fadini Mario, iscritta al n. 743 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 giugno 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.
Ritenuto che, nell’ambito di un giudizio pendente davanti ad essa, la Commissione tributaria regionale di Milano, con ordinanza del 6 marzo 1997, sollevava d’ufficio questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (Disciplina dell’imposta di registro), riprodotto nell’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), nella parte in cui sottopone ad imposta di registro le disposizioni enunciate negli atti dell’autorità giudiziaria, in riferimento agli artt. 24, 53, 76 e 77 della Costituzione;
che la Corte costituzionale, con sentenza n. 7 del 1999, rigettava la questione, ritenendola infondata sotto tutti i profili denunciati, rilevando, in particolare, che sono soggetti ad imposta non gli atti genericamente enunciati dalle parti, ma solo quelli posti dal giudice a base della propria decisione e che “se l'atto enunciato (e per questo motivo tassato) era soggetto ad imposta in termine fisso, le parti risultano inadempienti ad un loro preciso dovere fiscale”, né la successiva tassazione viola il diritto di difesa; se, invece, “il provvedimento enunciato è soggetto a tassazione in caso d'uso, è proprio la sua allegazione in giudizio che, rappresentandone una forma d'uso, ne legittima la sottoposizione all'imposta di registro”;
che, con ordinanza del 28 giugno 1999, la Commissione tributaria regionale di Milano, nell’ambito dello stesso giudizio a quo, ha nuovamente sollevato una questione di legittimità costituzionale, del tutto identica alla precedente, ritenendo che le ragioni poste dalla Corte costituzionale a fondamento della citata sentenza n. 7 del 1999 non siano convincenti, in quanto il giudice delle leggi non avrebbe considerato che “l'alternativa assoluta nell'ambito della quale ... ha risolto la questione di legittimità costituzionale ... non esaurisce in realtà le fattispecie legali della sottoposizione ad imposta delle enunciazioni, e non le esaurisce proprio con riferimento al caso concreto in cui le ipotesi indicate dal legislatore sono rilevanti per il giudizio” a quo. Risulterebbero, secondo il rimettente, sottoposti a tassazione non solo le enunciazioni degli atti soggetti a registrazione in termine fisso e quelle degli atti sottoposti a registrazione in caso d'uso, ma anche le disposizioni, i contratti e gli altri atti per i quali non sarebbe mai sorta l'obbligazione tributaria; che verrebbe invece ad esistenza solo in ragione dell'enunciazione contenuta nel provvedimento dell'autorità giudiziaria;
che, pertanto, il giudice a quo ripropone tutte le censure, avanzate contro la norma impugnata nella precedente ordinanza di rimessione, alla quale esplicitamente si richiama, chiedendo alla Corte costituzionale di pronunciarsi su di esse;
che nel giudizio avanti la Corte costituzionale non si è costituita la parte privata, mentre è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’inammissibilità o comunque la manifesta infondatezza della questione, rilevando che “il giudice a quo replica inammissibilmente, nella sostanza, nell'ambito dello stesso giudizio a quo, alla sentenza 7/99 della Corte, dichiarativa della non fondatezza della questione già sollevata con riferimento alla stessa norma ed agli stessi parametri costituzionali”;
che inoltre, secondo la difesa erariale, il giudice rimettente, muovendo da un inesatto apprezzamento della legge delega e considerando ostacolo all'agire in giudizio ciò che ostacolo non è, introdurrebbe una distinzione consistente in un'astratta classificazione delle tecniche impositive nel sistema della legge di registro, del tutto sterile ai fini dello scrutinio di costituzionalità.
Considerato che, nel caso in cui la Corte costituzionale abbia emesso una pronuncia di carattere decisorio, è precluso al giudice a quo rimetterle una seconda volta la medesima questione, nel corso dello stesso grado di giudizio pendente tra le stesse parti, ferma restando la proponibilità della questione riformulata in termini sostanzialmente diversi, cioè con riferimento a norme, parametri o profili del tutto nuovi (cfr. sentenze n. 12 del 1998, n. 257 del 1991, n. 350 del 1987); e ciò per evitare un bis in idem che si risolverebbe nella impugnazione della precedente decisione della Corte, in violazione dell’art. 137, comma terzo, della Costituzione;
che, nella specie, la Commissione tributaria regionale di Milano ripropone, nell’ambito dello stesso grado di giudizio, la medesima questione già sollevata nel 1997 ed oggetto della sentenza di rigetto n. 7 del 1999, senza far riferimento ad un quadro diverso, ma anzi chiedendo a questa Corte un riesame nel merito della sua pronuncia, sia pure sottolineandone particolari aspetti;
che, pertanto, la questione è manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (Disciplina dell’imposta di registro), riprodotto nell’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), sollevata dalla Commissione tributaria regionale di Milano, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Depositata in cancelleria il 3 luglio 2000.