SENTENZA N. 25
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 16, primo comma, lettera e) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) promossi con ordinanze emesse il 13 gennaio 1998 dalla Commissione tributaria provinciale di Genova sul ricorso proposto da Penco Salvi Maria Teresa ed altri contro le Direzione regionale delle entrate della Liguria, iscritta al n. 275 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1998, e il 13 febbraio 1997 dalla Commissione tributaria regionale di Roma sul ricorso proposto da Serio Fortuna Lucia contro la Direzione regionale delle entrate del Lazio, iscritta al n. 738 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visti l’atto di costituzione di Verde Alfredo nonché l’atto di intervento della Cassa Nazionale del Notariato;
udito nell’udienza pubblica del 26 ottobre 1999 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;
uditi gli avvocati Roberto Nania per Verde Alfredo e Massimo Luciani per la Cassa Nazionale del Notariato.
Ritenuto in fatto
1.— La Commissione tributaria provinciale di Genova, con ordinanza del 13 gennaio 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, del 29 aprile 1998, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 38 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, primo comma, lettera e) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi).
Premette il rimettente che oggetto del giudizio è il silenzio–rigetto opposto dall’Amministrazione finanziaria all’istanza di rimborso di una somma trattenuta dalla Cassa nazionale del notariato a titolo di imposta sui redditi delle persone fisiche, sulla liquidazione corrisposta ad un notaio, quale indennità di cessazione dalle funzioni. Ritiene il giudice a quo che in virtù della sentenza di questa Corte n. 178 del 1986 che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale degli artt. 2, e 4, commi primo e quarto, della legge 26 settembre 1985, n. 482 (Modificazioni del trattamento tributario delle indennità di fine rapporto e dei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita) relativa all’indennità di buonuscita dei dipendenti statali, discenderebbe la non manifesta infondatezza della presente questione.
Se infatti la Corte, nella citata sentenza, ha affermato il principio in virtù del quale l’indennità correlata alla cessazione del rapporto di lavoro è tassabile, ha altresì affermato l’illegittimità della tassazione di quella quota di detta indennità che corrisponde alla percentuale dei contributi a carico del lavoratore. Nella specie – osserva il rimettente – nonostante che l’intera indennità liquidata a titolo di cessazione dalle funzioni avrebbe natura previdenziale e corrisponderebbe ai versamenti effettuati dal notaio nel corso della sua attività, la disposizione censurata prevederebbe l’espressa tassabilità dell’indennità per la cessazione dell’attività notarile.
Sotto quest'ultimo profilo la questione, oltre che non manifestatamente infondata, sarebbe altresì rilevante perché, solo a seguito di una pronuncia di incostituzionalità della disposizione impugnata, potrebbe accogliersi l’istanza di rimborso.
Rileva il giudice a quo che invece non ricorrerebbero i requisiti della non manifesta infondatezza e della rilevanza della questione in ordine al motivo dedotto dai ricorrenti in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione: la funzione della disposizione censurata non sarebbe quella di sottoporre ex novo a tassazione IRPEF le indennità di fine rapporto (tassazione che per il compilatore del testo unico era sicuramente già ricompresa nella valutazione giuridico–economica di tali indennità in base ai principi generali), bensì quella di riconoscere una agevolazione al contribuente con il concedere i benefici della tassazione separata.
2.— Nel presente giudizio di legittimità costituzionale si è costituita la parte privata, dott. Alfredo Verde, nella qualità di coerede del notaio Carlo Emiliano Verde, chiedendo che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata per gli stessi motivi di censura indicati dal giudice a quo.
La Cassa nazionale del notariato, in persona del presidente pro tempore, con atto depositato il 20 maggio 1999 ha chiesto di intervenire in questa sede, ancorché non costituita nel giudizio principale. La Cassa ritiene ammissibile il proprio intervento perché titolare di un interesse giuridicamente qualificato che potrebbe essere compromesso o soddisfatto dall’esito del presente giudizio. Essa agisce, infatti, nei confronti dei notai che cessano dalle funzioni, come sostituto d’imposta, in quanto è tenuta alla riscossione delle somme dovute a titolo di IRPEF, e quindi anche riguardo all’indennità di cessazione.
Quanto alla tempestività del proprio intervento, la Cassa ritiene che, in assenza di una specifica disciplina sull’intervento nel giudizio costituzionale incidentale, possano ritenersi applicabili o la disciplina per la costituzione delle parti (art. 25, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, delle "Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale" e art. 3, secondo comma delle "Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale") oppure quella prevista dal regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato (art. 37 ss. del r.d. 17 agosto 1907, n. 642), in virtù del richiamo operato dall'art. 22, primo comma, della legge n. 87 del 1953.
Nel merito, la Cassa ribadisce gli argomenti sostenuti dai giudici a quibus e dalla parte privata, concludendo per l’accoglimento della questione.
3.— La Commissione tributaria regionale di Roma ha sollevato identica questione con ordinanza del 13 febbraio 1997 (pervenuta nella Cancelleria di questa Corte il 21 settembre 1998) e nel richiamare la giurisprudenza sulla parziale non tassabilità delle indennità di fine rapporto, ha ritenuto che detto principio, affermato nell’ambito del rapporto di lavoro dipendente, dovrebbe operare anche nelle ipotesi di lavoro autonomo, atteso che il presupposto su cui si fonda è comune e consiste nel fatto che l’indennità in parola è costituita in parte dai contributi del lavoratore.
4.— In prossimità dell’udienza pubblica le parti private hanno depositato distinte memorie concludendo entrambe, nel merito, per l’accoglimento della questione, ribadendo le argomentazioni dei giudici a quibus.
5.— Con separata ordinanza, emessa nell’udienza di discussione, questa Corte ha dichiarato irricevibile l’intervento in giudizio della Cassa nazionale del notariato.
Considerato in diritto
1.— Le due questioni di legittimità costituzionale sollevate rispettivamente dalla Commissione tributaria provinciale di Genova e dalla Commissione tributaria regionale di Roma sono analoghe e possono essere riunite in un unico giudizio.
2.— I giudici rimettenti ritengono che l’art. 16, primo comma, lettera e) del d.P.R. n. 917 del 1986, nel prevedere la tassazione separata dell’indennità percepita dai notai per la cessazione dalle relative funzioni, violi gli artt. 3 e 53 della Costituzione per disparità di trattamento tra i contribuenti, contrastando col principio secondo il quale "per le indennità che siano costituite anche dai contributi degli aventi diritto, deve provvedersi ad una detrazione che di ciò tenga adeguato conto".
La Commissione tributaria provinciale di Genova denunzia anche un vulnus dell’art. 38 della Costituzione, atteso il carattere previdenziale dell’indennità in parola.
Entrambi i giudici a quibus richiamano la sentenza di questa Corte n. 178 del 1986 la quale, nell’affermare che l’indennità correlata alla cessazione del rapporto di lavoro è tassabile, ha altresì dichiarato l’illegittimità della tassazione di quella quota di detta indennità che corrisponde alla percentuale dei contributi a carico del lavoratore. Nella presente specie, la disposizione censurata prevederebbe la tassabilità dell’indennità liquidata a titolo di cessazione dalle funzioni nonostante che la medesima nella sua interezza sia coperta dai versamenti effettuati dal notaio nel corso della sua attività.
Si asserisce dai giudici rimettenti che, pur in presenza di situazioni dissimili ma non contrastanti (lavoro dipendente e lavoro autonomo), quando l’indennità dovuta per la cessazione dell’attività lavorativa è commisurata, in tutto o in parte, ai contributi versati durante detta attività, non sarebbe giustificato un diverso trattamento normativo qual è quello previsto dalla disposizione in esame.
3.— La questione non è fondata.
L’indennità per cessazione dalle funzioni notarili è attualmente regolata: a) dal d.m. 26 aprile 1948 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti la concessione di pensioni, di indennità ed assegni ai notai e alle loro famiglie), che ne prevede l'accessorietà alla pensione e la corresponsione per una sola volta, con decorrenza dal giorno successivo alla cessazione della funzione notarile; b) dal d.P.R. 12 ottobre 1990, n. 317 (Regolamento per il coordinamento delle disposizioni vigenti in tema di concessione di provvidenze a favore dei notai e delle loro famiglie da parte della Cassa nazionale del notariato) che integra la disciplina dell’indennità in esame, ed in particolare ne rapporta l'ammontare alla media degli onorari calcolati sulla base dei repertori dei notai in esercizio (art. 26); c) dalla legge 27 giugno 1991, n. 220 (Modificazioni all'ordinamento della Cassa nazionale del notariato e all'ordinamento del Consiglio nazionale del notariato) che determina le quote di contribuzione, nonché le modalità del loro versamento all'archivio notarile (artt. 12, commi 1, 3 e 14).
Quanto al regime tributario dell'indennità di cessazione dalle funzioni notarili, prima dell'emanazione del d.P.R. n. 917 del 1986, in assenza di un'apposita previsione normativa, era decisiva l'individuazione della natura giuridica della suddetta indennità: una parte degli interpreti ne escludeva la tassabilità, ravvisando una sua funzione previdenziale, sì da non costituire indice di capacità contributiva; per la tesi prevalente, invece, tale indennità veniva compresa tra i redditi di lavoro autonomo, con conseguente assoggettamento alla ritenuta di acconto ex art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Successivamente il legislatore, con la disposizione ora denunciata, ha incluso tale indennità fra i redditi a tassazione separata, confermandone con ciò la natura di entrata, pur non componente del reddito complessivo soggetto ad imposizione progressiva, ma come entità distinta, tassata con regole stabilite in considerazione della sua particolare formazione pluriennale.
4.— Tanto premesso sul piano normativo, deve rilevarsi - in relazione agli invocati parametri degli artt. 3 e 53 della Costituzione - che la presente fattispecie non è assimilabile a quella riguardante la tassazione dell'indennità di buonuscita per i dipendenti statali prevista dagli artt. 2 e 4, commi primo e quarto, della legge n. 482 del 1985 su cui è intervenuta la sentenza di questa Corte n. 178 del 1986. Anzitutto le situazioni non sono comparabili in quanto l'indennità di buonuscita si riferisce ad un rapporto di lavoro subordinato, mentre l'indennità di cessazione dalle funzioni riguarda un professionista, lavoratore autonomo qual è il notaio. Per questa seconda situazione vige un regime speciale sia per la formazione e la liquidazione dell'indennità, sia per la misura ed il versamento dei contributi. Invero, detta indennità consiste in una erogazione di ammontare correlato all'anzianità di servizio ma svincolato da una precisa sinallagmaticità tra versamenti e prestazione. Quest'ultima è alimentata da varie entrate, che sono destinate anche ad altre finalità. Quanto ai contributi, dalla specifica normativa risulta che essi sono proporzionali agli onorari repertoriali e vengono versati direttamente dai notai. Se poi il valore accertato ai fini tributari sia diverso da quello dichiarato, provvede l'ufficio del registro alla liquidazione e alla riscossione anche delle quote dovute alla Cassa.
Dal predetto esame appare l'infondatezza delle dedotte censure poiché, come questa Corte ha avuto modo di affermare in una precedente fattispecie, "… la diversità degli assetti normativi nei quali ricadono le due indennità (nel caso allora deciso si trattava della indennità dovuta ai medici rispetto a quella di buonuscita dei dipendenti statali), mentre esclude che possa procedersi, così come vorrebbero i giudici a quibus, alla trasposizione di criteri regolatori dall'uno all'altro, porta, al tempo stesso, a ritenere insussistente la denunciata disparità di trattamento" (sentenza n. 50 del 1994, ordinanze nn. 328 e 400 del 1994). Anche nella situazione dei notai non è consentito prescindere - come si afferma nelle citate pronunce - dalle "peculiarità ordinamentali del fondo di previdenza nell'ambito della cui disciplina rientra l'indennità" corrisposta dalla Cassa.
Le predette somme, per la loro provenienza e la loro conclusiva destinazione, non perdono il carattere reddituale e non possono sottrarsi ad imposizione. Ciò è confermato dalla previsione normativa, razionale nel sistema tributario, della possibilità che l'importo del contributo versato sia portato dal notaio in detrazione dal reddito imponibile per il corrispondente anno d'imposta al fine di evitare una doppia imposizione (art. 10, comma 1, lett. e) del d.P.R. n. 917 del 1986).
Va infine osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 104 del 1985 e n. 120 del 1972), il precetto enunciato nell'art. 53 della Costituzione si interpreta anche quale specificazione del principio generale di uguaglianza, nel senso che solo a situazioni omogenee devono corrispondere uguali regimi impositivi, e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario diseguale.
6.— E' del pari non fondata la questione in esame in riferimento all'art. 38 della Costituzione.
Invero, coerentemente sia con quanto si è sopra detto circa i caratteri dell'indennità di cessazione delle funzioni notarili, sia con le pronunce di questa Corte in ordine alla natura retributiva dell'indennità di fine rapporto (sentenze nn. 99 e 243 del 1993), il trattamento tributario dell'indennità in esame non contrasta con l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, anche perché esso non incide sull'adeguatezza della prestazione indennitaria in esame; la quale peraltro è sottoposta ad una tassazione, quella separata che, come già affermato (sentenza n. 287 del 1996), è volta "ad evitare il determinarsi di un'applicazione iniqua del meccanismo della progressività dell'IRPEF".
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16, primo comma, lettera e) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) sollevate, in riferimento agli artt. 3, 38 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Genova e dalla Commissione tributaria regionale di Roma con le ordinanze di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 2000.
Giuliano VASSALLI, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Depositata in cancelleria il 4 febbraio 2000.