SENTENZA N. 50
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Avv. Massimo VARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 18, primo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), promosso con ordinanza emessa il 24 marzo 1993 dalla Commissione tributaria di primo grado di Mantova sul ricorso proposto da Jacobellis Vincenzo contro l'Intendenza di Finanza di Mantova, iscritta al n. 352 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1993;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 17 novembre 1993 il Giudice relatore Massimo Vari.
Ritenuto in fatto
l.- Nel corso di un giudizio avente ad oggetto la richiesta di rimborso di imposte IRPEF versate sull'indennità di fine rapporto, corrisposta dall'Ente nazionale di previdenza e assistenza medici ad un proprio iscritto, a seguito di attività prestata per conto dei disciolti enti mutualistici e del Servizio sanitario nazionale, la Commissione tributaria di primo grado di Mantova, con ordinanza del 24 marzo 1993, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, primo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917, contenente il testo unico delle imposte sui redditi, nella parte in cui non prevede che l'imponibile sul quale determinare l'imposta per le indennità di cui alla lettera c) del primo comma dell'art. 16 tra le quali rientra quella corrisposta dall'Ente previdenziale ai medici addetti alla medicina generale- sia computato previa detrazione di una somma pari alla percentuale di tale indennità corrispondente al rapporto, alla data in cui è maturato il diritto alla percezione, tra il contributo posto a carico del percipiente e l'aliquota complessiva del contributo obbligatorio versato all'Ente previdenziale medesimo.
Detto criterio di computo, previsto dallo art. 17 dello stesso decreto per le indennità di fine rapporto afferenti a rapporti di lavoro dipendente, andrebbe, ad avviso del remittente, applicato anche nel caso qui considerato, essendo identiche la formazione, la gestione e l'erogazione delle due indennità. L'ordinanza di rimessione richiama, inoltre, la sentenza della Corte costituzionale n. 178 del 1986, secondo la quale sarebbe illogico ed arbitrario ritenere che l'indennità di buonuscita si profili come reddito per la parte afferente in via virtuale alla contribuzione versata dal di pendente.
2.- É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sollevata venga dichiarata infondata, in ragione delle peculiarità del trattamento di previdenza previsto per i medici che prestano la loro opera professionale per conto del Servizio sanitario nazionale, trattamento che è diverso dalla indennità di fine rapporto che gli enti a ciò preposti, quali l'E.N.P.A.S. e l'I.N.A.D.E.L., corrispondono ai dipendenti pubblici, onde appare improponibile il raffronto ai fini dell'art. 3 della Costituzione.
Inoltre, secondo l'Avvocatura dello Stato, la norma impugnata non può dirsi in contrasto con l'art. 53 della Costituzione, in quanto la particolare contribuzione a carico dei medici copre, oltre al trattamento di malattia, il rischio della invalidità e il trattamento a favore dei superstiti, e può dar luogo ad una pensione sostitutiva del trattamento ordinario, donde l'impossibilità di sceverare, nel contributo a carico del medico, la parte che afferisce al trattamento ordinario, l'unico, cioé, che ha qualche analogia con l'indennità di fine rapporto.
Considerato in diritto
l.- La Corte è chiamata a decidere se l'art. 18, primo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, contrasti con gli artt.3 e 53, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede, per le indennità di cui alla lettera c) del primo comma dell'art. 16 tra le quali rientra l'indennità di fine rapporto corrisposta dall'E.N.P.A.M. ai medici di medicina generale, a seguito dell'attività prestata per conto dei disciolti enti mutualistici e del Servizio sanitario nazionale- la riduzione dell'imponibile per una somma pari alla misura di tale indennità corrispondente al contributo posto a carico del percipiente, a differenza di quanto stabilito, invece, dall'art. 17, per le analoghe indennità corrisposte in occasione della cessazione di rapporti di lavoro dipendente.
Secondo il giudice a quo, premesso che il rapporto intrattenuto dai medici addetti alla medicina generale con il Servizio sanitario nazionale costituisce un rapporto di lavoro autonomo, continuativo e coordinato, il cui trattamento tributario, quanto all'indennità qui considerata, trova fondamento nella lettera c) del primo comma dell'art. 16 del d.P.R.22 dicembre 1986, n. 917, la determinazione dell'imposta deve essere, conseguentemente, effettuata secondo la disciplina dell'art. 18 del citato d.P.R.. Detta norma sarebbe, tuttavia, da considerare ingiustificatamente discriminatoria nella parte in cui non prevede, a differenza di quanto dispone l'art. 17 con riferimento alle indennità afferenti a rapporti di lavoro dipendente, che dall'imponibile IRPEF sia detratta una somma pari alla percentuale dell'indennità corrispondente al rapporto, alla data in cui è maturato il diritto alla percezione, tra l'aliquota del contributo posto a carico del percipiente e l'aliquota complessiva del contributo versato all'ente di previdenza.
2.- La questione non è fondata.
Osserva la Corte che il d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nell'indicare, all'art. 16, primo comma, i redditi soggetti a tassazione separata, considera distintamente i trattamenti e le indennità corrisposte per la cessazione di rapporti di lavoro dipendente (lettera a) e le indennità percepite per la cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (lettera c), facendo da ciò discendere, quanto al computo dell'imposta, giusta la disciplina prevista, rispettivamente, dagli artt. 17 e 18, conseguenze che concernono non solo i criteri di determinazione della base imponibile, nell'ambito dei quali la parte di indennità corrispondente alla quota dei contributi versati dall'iscritto è uno solo degli elementi presi in considerazione dallo stesso art. 17, ma anche le modalità di individuazione dell'aliquota di tassazione da applicarsi.
L'assetto normativo così dato si ricollega, sotto il profilo sistematico, ai differenti regimi di imposizione tributaria, apprestati in generale dal legislatore, con previsione di specifiche regole, da una parte, per i redditi di lavoro dipendente e, dall'altra, per i redditi di lavoro autonomo, in corrispondenza, rispettivamente, del capo IV e del capo V del d.P.R. n. 917 del 1986.
La diversità degli assetti normativi nei quali ricadono le due indennità, mentre esclude che possa qui procedersi, così come vorrebbe, invece, l'ordinanza di rimessione, alla parziale trasposizione di criteri regolatori dall'uno all'altro, porta, al tempo stesso, a ritenere insussistente la denunciata disparità di trattamento.
Non si può prescindere, oltretutto, dalle peculiarità ordinamentali del fondo di previdenza nell'ambito della cui disciplina rientra l'indennità corrisposta dall'ente previdenziale ai medici di medicina generale, come è dato desumere dallo Statuto dell'Ente stesso (d.P.R. 2 settembre 1959, n.931 e successive modificazioni) e dalle correlative norme regolamentari (decreto ministeriale 15 ottobre 1976 e successive modificazioni). Dalle fonti normative in questione si evince che l'indennità di cui si tratta, basata su forme di contribuzione la cui misura è rimessa agli accordi collettivi nazionali che regolano i rapporti con i medici interessati, si costituisce con versamenti che coprono non solo l'erogazione della stessa, ma altri eventi, quali quello dell'invalidità, temporanea e permanente, e del trattamento a favore dei superstiti e può dar luogo ad una pensione in alternativa alla indennità medesima.
Tutto ciò comprova, in linea generale, che trattasi di un istituto che ha sue caratteristiche intrinseche e un suo regime giuridico che non consentono l'accostamento, sotto il profilo tributario, alle indennità di fine rapporto cui si applica la disciplina dell'art. 17 del d.P.R. n. 917 del 1986.
Sussistono, in definitiva, elementi di differenziazione tali da non rendere comparabili, ai fini del giudizio di costituzionalità, gli istituti posti a raffronto dal giudice a quo, mentre è da escludere, nell'ambito della discrezionalità esercitata dal legislatore nell'apprestare le distinte discipline di cui trattasi, la denunciata violazione degli artt.3 e 53, primo comma, della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, primo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53, primo comma, della Costituzione, dall'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/02/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Massimo VARI, Redattore
Depositata in cancelleria il 23/02/94.