SENTENZA N. 178
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Livio PALADIN, Presidente
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 12, lett. e), 13 e 46 cpv. del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), 23, comma secondo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamenti delle imposte sui redditi), 1, 2 e 4 della legge 26 settembre 1985, n. 482 (Modificazioni del trattamento tributario delle indennità di fine rapporto e dei capitali corrisposti in dipendenza dei contratti di assicurazione sulla vita), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 30 novembre 1985 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Matera sul ricorso proposto dall'Intendenza di Finanza di Matera contro Carmentano Nunzio, iscritta al n. 127 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1986;
2) ordinanza emessa il 24 gennaio 1986 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto dall'Amministrazione delle Finanze contro Cordova Francesco, iscritta al n. 137 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1986.
Visto l'atto di costituzione di Cordova Francesco nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 1986 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;
uditi l'avv. Michelangelo Pascasio per Cordova Francesco e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio promosso da un dipendente statale per la restituzione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, pagata sull'indennità di buonuscita da lui percepita, la Commissione tributaria di secondo grado di Matera, con ordinanza 30 novembre 1985, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12, lett. e), 13 e 46 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 e 23, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 come modificati dalla 1. 26 settembre 1985, n. 482, in riferimento agli artt. 3,38,53 e 76 Cost.
Nell'ordinanza di rimessione si osserva che l'indennità di buonuscita si differenzia tanto dalle altre componenti di reddito sinallagmaticamente collegate con il rapporto di impiego pubblico, quanto dall'indennità di fine rapporto dovuta in relazione al contratto di lavoro privato. In particolare, quest'ultima ha natura retributiva, mentre l'indennità di buonuscita "pur trovando nel rapporto di lavoro la sua fonte genetica, ne prescinde completamente quanto al suo aspetto funzionale", essendo preordinata ad assicurare "non già il sinallagma nell'ambito di detto rapporto", bensì il soddisfacimento delle esigenze di vita del dipendente al momento della cessazione dal servizio. Quindi, mentre l'indennità di fine rapporto costituisce retribuzione differita, l'indennità di buonuscita ha un carattere spiccatamente previdenziale: caratteristica questa evidenziata anche dall'essere la prima corrisposta dal datore di lavoro e la seconda da un apposito ente. Ne deriverebbe che l'assoggettamento delle due indennità all'uguale trattamento tributario disposto dalle norme impugnate, contrasterebbe con l'art. 3 Cost. stante la diversa natura di esse e tenuto anche conto che, a formare l'indennità di buonuscita, concorrono i contributi dei pubblici dipendenti, mentre i lavoratori privati non versano alcun contributo per formare la loro indennità di fine rapporto.
Inoltre, secondo l'ordinanza di rimessione, l'assoggettamento ad imposizione dell'indennità di buonuscita, costituente risparmio accantonato a fini previdenziali, contrasterebbe anche con gli artt. 38 e 53 Cost., sottraendo alla loro destinazione, "senza una sufficiente giustificazione ed una concreta base di ragionevolezza", mezzi destinati al soddisfacimento delle esigenze di vita dei pubblici dipendenti.
Infine l'assimilazione, sotto l'aspetto impositivo, della buonuscita alle indennità di fine rapporto ex art. 2120 cod. civ., contrasterebbe anche con l'art. 76 Cost., per contrasto con quanto stabilito nell'art. 2, n. 19, lett. b) della legge di delega n. 825 del 1971, il quale, prevedendo la tassazione delle indennità spettanti all'atto della cessazione del rapporto di lavoro subordinato, non si riferiva anche all'indennità di buonuscita, non legata - secondo il giudice a quo - sinallagmaticamente al rapporto di lavoro del pubblico dipendente.
Su tali questioni, secondo l'ordinanza di rimessione, nessuna influenza avrebbe la legge n. 482 del 1985, che ha modificato criteri e forme dell'imposizione sulle indennità di fine rapporto, riconfermando peraltro l'imposizione sulle indennità di buonuscita.
2. - Dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. Nelle note depositate si osserva che, da un lato, anche l'indennità di fine rapporto corrisposta ai lavoratori privati ha una funzione previdenziale; dall'altro che pure l'indennità di buonuscita é geneticamente collegata al pregresso rapporto di lavoro, cosicché la parità di trattamento fiscale é giustificata. Né sarebbero violati gli artt. 38 e 53 Cost., perché l'indennità di buonuscita, costituendo un reddito, é come tale tassabile ai sensi dell'art. 53 Cost., mentre l'art. 38 non garantisce l'assoluta intangibilità delle prestazioni previdenziali.
3. - Nel corso di un altro giudizio promosso avverso una decisione della Commissione tributaria centrale, la quale aveva ritenuto, in base ad una particolare interpretazione del d.P.R. n. 597 del 1973, intassabile l'indennità di buonuscita corrisposta dall'E.N.P.A.S. ai dipendenti statali, la Corte di Cassazione, con ordinanza 24 gennaio 1986, ha respinto detta interpretazione del d.P.R. n. 597 del 1973, giudicandola errata anche alla stregua della nuova normativa dettata dalla 1. n. 482 del 1985, ritenuta applicabile al giudizio. Peraltro ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 38 e 53 Cost., dell'art. 1 della 1. 26 settembre 1985, n. 482, nella parte in cui ha modificato l'art. 12, lett. e) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 e degli artt. 2 e 4 della stessa legge, in quanto applicabili all'indennità di buonuscita di cui all'art. 3 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, come modificato dall'art. 7 della legge 29 aprile 1976, n. 1 - 77.
In proposito nell'ordinanza si osserva che il legislatore delegante del 1971 e quello delegato del 1973 non si sono basati su di una nozione omogenea di "reddito", ma hanno inteso assoggettare ad imposta ogni tipo di "ricchezza nuova", considerandola indice di capacità contributiva. Tuttavia l'indennità di buonuscita erogata dall'E.N.P.A.S., pur nell'ambito di tale vastissimo concetto di reddito, presenterebbe alcuni elementi peculiari di distinzione i quali implicherebbero l'esclusione, o almeno la limitazione, della sua assoggettabilità ad un'imposta sul reddito.
Al riguardo si sottolinea che l'indennità di buonuscita ha natura previdenziale e si afferma che il sistema di erogazione di essa (disciplinato dal d.P.R. n. 1032 del 1973), ha le caratteristiche di un'assicurazione sociale su base mutualistica. Ne deriverebbe un primo dubbio di legittimità costituzionale della normativa impugnata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., sotto il profilo del diverso e non giustificato trattamento fiscale disposto riguardo ai capitali riscossi in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita, esentati da imposizione fino all'entrata in vigore della legge n. 482 del 1985 e da questa assoggettati ad una tassazione più vantaggiosa rispetto a quella disposta per le indennità di fine rapporto, nonostante che lo stesso legislatore - come emerge all'occasio legis - abbia ravvisato un parallelismo tra le due situazioni. Ne deriverebbe la totale incostituzionalità della tassazione dell'indennità di buonuscita sino alla entrata in vigore della 1. n. 482 del 1985, mentre da tale data detta tassazione sarebbe costituzionalmente illegittima nel quantum, essendo ingiustificato il deteriore trattamento fiscale stabilito per essa rispetto ai capitali riscossi in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita.
Partendo, in secondo luogo, dall'affermazione che l'indennità di buonuscita erogata dall'E.N.P.A.S. avrebbe carattere "indennitario", in quanto diretta a reintegrare il dipendente da un danno (perdita del lavoro, con le sue conseguenze negative), il giudice a quo prospetta il dubbio che, non essendo ravvisabile nella percezione della buonuscita l'attribuzione di nuova ricchezza, essa non potrebbe essere considerata indice di capacità contributiva ai sensi dell'art. 53 Cost., cosicché anche per tale verso le norme impugnate sarebbero costituzionalmente illegittime.
In terzo luogo, tenuto conto del carattere previdenziale dell'indennità di buonuscita, secondo la Corte di Cassazione le norme impugnate violerebbero gli artt. 3, 38, secondo comma e 53, primo comma, Cost. in quanto il meccanismo di tassazione, anche dopo i correttivi apportati dalla 1. n. 482 del 1985, non sarebbe conforme al carattere previdenziale dell'indennità, tanto é vero che questo, in taluni casi, risulta più gravoso del precedente, come lo stesso legislatore ha riconosciuto disponendo che in sede di riliquidazione non può farsi luogo ad applicazione di maggiori imposte. Ne deriverebbe che, illegittimamente, risorse destinate ad uno scopo previdenziale, sarebbero fatte oggetto di prelievo fiscale senza l'adozione di accorgimenti idonei a salvaguardarne la destinazione previdenziale ed in maniera sperequata rispetto alla effettiva capacità tributaria. In particolare, contrasterebbe con gli artt. 3 e 53 Cost. l'avere tassato più gravosamente le indennità derivanti dai rapporti di minore durata.
Infine, alla stregua dell'ordinanza di rimessione, le norme impugnate contrasterebbero con gli artt. 3 e 53 Cost. anche per avere trattato le indennità di buonuscita corrisposte dall'E.N.P.A.S. alla stessa maniera delle indennità di fine rapporto corrisposte ai sensi dell'art. 2120 cod. civ., nonostante che i dipendenti statali concorrano alla formazione dell'indennità di buonuscita con loro contributi - a differenza dei lavoratori privati - e tenuto conto che tali contributi non possono essere detratti dall'imponibile così come, invece, i premi versati in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita.
4. - Dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. Pregiudizialmente, però, ha eccepito la loro irrilevanza, sotto il profilo che, una volta stabilita dalla Corte di Cassazione l'applicabilità alla fattispecie della nuova normativa prevista dalla 1. n. 482 del 1985, essa avrebbe dovuto rimetterne al giudice di rinvio l'applicazione, senza poter sollevare rispetto ad essa questione di costituzionalità "non essendo chiamata a dare applicazione ai nuovi criteri d'imposizione agli effetti della decisione del ricorso".
Riguardo al merito, nelle note depositate si contesta innanzitutto la natura indennitaria della indennità di buonuscita e si deduce l'infondatezza del profilo di costituzionalità basato su tale presupposto. Si contesta poi, con riferimento anche ai lavori preparatori della 1. n. 482 del 1985 e della 1. n. 114 del 1977, l'equiparabilità dell'indennità di buonuscita ai capitali percepiti in relazione ai contratti di assicurazione sulla vita, sottolineandosi che, a norma dell'art. 17 della 1. 29 ottobre 1961, n. 1216 i premi assicurativi sono assoggettati all'imposta sulle assicurazioni cosicché, in relazione a ciò e alle differenze esistenti rispetto alle indennità di buonuscita, le differenze di trattamento fiscale tra capitali percepiti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e indennità di buonuscita sarebbero legittime. E ciò tanto più, in quanto a norma dell'art. 47, primo comma, Cost. e in forza della discrezionalità spettante al legislatore in tema d'incentivazione dell'assicurazione volontaria, un trattamento più favorevole per i capitali percepiti in relazione ad assicurazioni volontarie sarebbe pienamente giustificato.
Infine, circa le nuove modalità di tassazione disposte dalla 1. n. 482 del 1985 ed ai profili attinenti alla dedotta violazione, in relazione al quantum della tassazione, degli artt. 38 e 53 Cost., nelle note depositate si osserva che la sottoposizione ad imposta della indennità di fine rapporto non più col sistema della tassazione separata ma in via autonoma ed esclusiva (cioé senza aggancio alcuno ad altri redditi del percipiente) é ossequiente alla funzione previdenziale della prestazione, della quale risultano così riconosciute le peculiari caratteristiche e la specifica destinazione al punto che le sue sorti fiscali in niente si confondono con quelle degli altri redditi del percipiente. Inoltre, l'applicazione alla base imponibile, dopo le detrazioni previste, di un'aliquota progressiva risponde ad un preciso canone costituzionalmente stabilito e vale ad assicurare il concorso alle spese pubbliche in ragione delle capacità contributive dei singoli. Né sarebbe irragionevole che i rapporti di più breve durata siano più gravosamente tassati, aumentando il carattere previdenziale dell'indennità con la durata del rapporto.
5. - Davanti a questa Corte si é costituita pure la parte privata, chiedendo che le questioni sollevate siano ritenute fondate e concludendo per la dichiarazione d'incostituzionalità degli "artt. 12, lett. e), 13, 46 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597; 1,2 e 4 della legge 26 settembre 1985, n. 482, escludendola per intero da ogni gravame fiscale, per contrasto con gli artt. 3, 35, primo e secondo comma, 38, secondo comma, 41, terzo comma, 53, primo comma e 76 della Costituzione".
Nelle note depositate essa insiste in parte nelle argomentazioni contenute nell'ordinanza di rimessione, affermando per altro verso - più radicalmente - che se, come deve essere riconosciuto "la buonuscita é capitale o patrimonio, ovvero indennizzo (come conseguenza dell'evento dannoso del collocamento a riposo) o risparmio o erogazione previdenziale o assistenziale, essa non può essere soggetta all'imposta sul reddito", in quanto non é un reddito e quindi non é indice di capacità contributiva.
Considerato in diritto
6. - I giudizi promossi con le ordinanze in epigrafe riguardano questioni identiche o strettamente connesse, per cui vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
7. - Le questioni sollevate hanno ad oggetto: l'art. 23, comma secondo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 come modificato dalla legge n. 482 del 1985; gli artt. 1, della 1. 26 settembre 1985, n. 482 - nella parte in cui modifica l'art. 12, lett. e) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 - 2 e 4 della stessa legge, in quanto applicabili all'indennità di buonuscita di cui all'art. 3 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 e successive modificazioni; l'art. 13 del d.P.R. n. 597 del 1973, come modificato dall'art. 1 della legge n. 482 del 1985; l'art. 46 del d.P.R. n. 597 del 1973.
Secondo le ordinanze di rimessione le suddette norme sarebbero in contrasto:
a) con gli artt. 38 e 53 Cost., giacché la tassazione, da esse prevista, dell'indennità di buonuscita erogata dall'E.N.P.A.S. - costituente risparmio accantonato a fini previdenziali - sottrarrebbe alla loro destinazione mezzi destinati al soddisfacimento delle esigenze di vita dei pubblici dipendenti;
b) con l'art. 53 Cost. perché, ove si riconosca all'indennità di buonuscita erogata dall'E.N.P.A.S. carattere indennitario, per essere destinata a reintegrare il pubblico dipendente dal "danno" conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, la sua percezione non costituirebbe acquisizione di nuova ricchezza e quindi idoneo indice di capacità contributiva;
c) con gli artt. 3,38, secondo comma e 53s primo comma Cost. in quanto il meccanismo di tassazione previsto dalle norme impugnate per l'indennità di buonuscita, anche dopo i correttivi apportati dalla legge n. 482 del 1985, non sarebbe conforme al carattere previdenziale dell'indennità, in mancanza di accorgimenti idonei a salvaguardarne la funzione e risulterebbe sperequato rispetto alla effettiva capacità tributaria;
d) con gli artt. 3 e 53 Cost., per essere state tassate in maniera particolarmente gravosa le indennità di buonuscita derivanti dai rapporti di minore durata;
e) con l'art. 3 Cost., perché, pur avendo l'indennità di buonuscita erogata dall'E.N.P.A.S. caratteri che la renderebbero assimilabile ai capitali percepiti in relazione a contratti di assicurazione sulla vita, l'averla assoggettata ad un diverso trattamento fiscale (essendo stati i suddetti capitali esentati da imposizione fino all'entrata in vigore della legge n. 482 del 1985 e da questa sottoposti ad una tassazione più vantaggiosa rispetto a quella riguardante le indennità di fine rapporto) sarebbe irragionevole e lesivo del principio di uguaglianza;
f) con gli artt. 3 e 53 Cost., perché sottoporrebbero le indennità di buonuscita erogate dall'E.N.P.A.S. allo stesso trattamento tributario delle indennità di fine rapporto dovute in relazione a rapporti di lavoro privato, nonostante la diversità di natura esistente tra esse, avendo l'indennità di buonuscita funzione previdenziale e le altre indennità funzione retributiva ed essendo solo le indennità di buonuscita (e non le altre indennità di fine rapporto) formate anche con il contributo degli aventi diritto.
L'art. 12, lett. e) del d.P.R. n. 597 del 1973, secondo la Commissione tributaria di secondo grado di Matera, sarebbe inoltre in contrasto anche con l'art. 76 Cost., poiché l'assimilazione, sotto l'aspetto impositivo, della indennità di buonuscita alle indennità di fine rapporto ex art. 2120 cod. civ., non sarebbe conforme ai princìpi stabiliti nell'art. 2, n. 19, lett. b) della legge di delegazione n. 825 del 1971.
8. - Va pregiudizialmente respinta l'eccezione d'inammissibilità (cfr. n. 4) sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri nel giudizio proposto dalla Corte di Cassazione, sotto il profilo che la Corte stessa non era chiamata a dare applicazione alla normativa della legge n. 482 del 1985, in quanto sopravvenuta alla decisione della Commissione centrale tributaria impugnata.
Deve infatti rilevarsi che, sull'applicabilità nel giudizio a quo di tale nuova normativa, la Corte di Cassazione - giudice istituzionalmente competente a decidere al riguardo - ha ampiamente motivato nell'ordinanza di rimessione, così assolvendo alla prescrizione dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
Viceversa, va dichiarata l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, sollevata dalla Commissione tributaria di secondo grado di Matera, in riferimento agli artt. 3,38 e 53 Cost. senza alcuna motivazione sulla rilevanza nel giudizio a quo delle prescrizioni contenute in tale norma, riguardante la determinazione della misura della ritenuta d'acconto alla fonte sui redditi di lavoro dipendente. Parimenti, per la stessa ragione, va dichiarata l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte di Cassazione, dell'art. 1 della legge n. 482 del 1985, nella parte in cui ha modificato l'art. 13 del d.P.R. n. 597 del 1973, sottraendo alla forma di tassazione separata ivi prevista i redditi di cui alla lett. e) dell'art. 12 dello stesso d.P.R. e prevedendo una nuova aliquota per i redditi sottoposti a tassazione separata ove nei due anni precedenti il soggetto non abbia avuto redditi.
9. - Passando all'esame del merito, va preliminarmente dichiarata l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, lett. e) del d.P.R. n. 597 del 1973, sollevata in riferimento all'art. 76 Cost. sotto il profilo della non conformità ai princìpi stabiliti dall'art. 2, n. 19, lett. b) della legge di delegazione n. 825 del 1971. Infatti, l'ordinanza di rimessione ha ritenuto rilevante nel giudizio a quo e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, lett. e) del d.P.R. n. 597 del 1973, nel testo sostituito a quello originario dalla legge n. 482 del 1985; cosicché in relazione a detta nuova norma, non emanata in base a delegazione legislativa, una violazione dell'art. 76 della Costituzione non é configurabile, riguardando l'art. 76 esclusivamente la legislazione delegata.
10. - Prima di venire all'esame delle altre questioni, va ricordato come esse siano in gran parte simili a quelle già discusse dinanzi a questa Corte all'udienza del 6 dicembre 1983. I giudizi allora promossi riguardavano gli artt. 12, lett. e), 14 e 46 del d.P.R. n. 597 del 1973, gli artt. 85,87,89 e 140 del d.P.R. n. 645 del 1958 e l'art. 34 del d.P.R. n. 601 del 1973. Le ordinanze di rimessione ne avevano prospettato l'illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3,38 e 53 Cost., in quanto: a) sottoponevano ad imposizione fiscale le indennità di buonuscita erogate dall'E.N.P.A.S. nonostante che queste avrebbero carattere previdenziale, non costituirebbero reddito e non sarebbero indice di capacità contributiva; b) dette indennità, irragionevolmente, sarebbero state tassate in maniera deteriore rispetto ai capitali percepiti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita, esentati da ogni imposizione; c) irragionevolmente le indennità di buonuscita percepite dai dipendenti statali sarebbero state tassate in maniera identica alle indennità di fine rapporto percepite dai dipendenti privati, in quanto solo i pubblici dipendenti sono tenuti al versamento di contributi.
La Corte, in quell'occasione, sollevò d'ufficio, dinanzi a sé, questione di legittimità costituzionale della norma (l'art. 13 del d.P.R. n. 597 del 1973) che stabiliva le modalità di tassazione delle indennità di fine rapporto in generale. affermando di non potere prescindere dall'esame delle forme e dei criteri dell'imposizione al fine di decidere sulle questioni proposte.
Nell'ordinanza si rilevava in proposito che l'art. 13 del d.P.R. n. 597 del 1973 non teneva adeguato conto delle caratteristiche proprie delle indennità in questione e non prendeva in considerazione in giusta misura l'arco di tempo in cui erano andati maturando i diritti alle indennità medesime. Infatti esso prevedeva che per tutte le indennità di fine rapporto (assoggettate a tassazione separata) l'imposta fosse determinata applicando all'ammontare dell'indennità "l'aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all'anno in cui é sorto il diritto alla loro percezione". L'imponibile, a norma del successivo art. 14, era ridotto del cinquanta per cento se l'ammontare delle liquidazioni non superava i dieci milioni, del trenta per cento se era superiore a dieci ma non a venti milioni, del venti per cento se era superiore a venti ma non a cinquanta milioni e in ogni caso "successivamente alla precedente riduzione in quanto spettante, di lire centomila per ogni anno o frazione di anno preso a base per la somministrazione dell'indennità".
Se l'ammontare della liquidazione superava dette somme, l'imposta era ridotta nella misura necessaria ad evitare che il reddito residuo scendesse al disotto della cifra risultante dal" l'applicazione dell'imposta su un ammontare pari, rispettivamente, a dieci, venti o cinquanta milioni.
11. - A seguito dei rilievi di questa Corte, il legislatore é intervenuto, ridisciplinando in gran parte la materia con la legge 26 settembre 1985, n. 482; che ha modificato (art. 1) gli artt. 12, lett. e) e 13 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 ed integralmente sostituito (art. 2) l'art. 14 di detto d.P.R., con normativa (art. 4) applicabile ai giudizi in corso.
In base al nuovo testo dell'art. 14 la tassazione della indennità di fine rapporto, di qualunque tipo, resta regolata unitariamente. Essa é stata sganciata dal reddito complessivo netto degli anni precedenti e si é stabilito che tali indennità sono imponibili per un ammontare che si determina riducendo il loro importo netto di una somma pari a lire cinquecentomila per ogni anno preso a base di commisurazione con esclusione dei periodi di anzianità convenzionali. L'imposta si applica con l'aliquota, con riferimento all'anno in cui é sorto il diritto alla percezione, corrispondente all'importo che risulta dividendo il predetto ammontare netto per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione e moltiplicando il risultato per dodici.
Con tali innovazioni legislative si é così inteso eliminare l'elemento d'irrazionalità, presente nella precedente disciplina, costituito dal collegamento dell'imposizione sulle indennità di fine rapporto al reddito complessivo netto dell'ultimo biennio, che é un elemento estraneo al rapporto di lavoro al quale si ricollega la percezione dell'indennità, tale da risultare spesso inidoneo a fornire giusti indici d'imponibilità. Inoltre, la nuova normativa ha tenuto conto della durata del rapporto di lavoro ed ha apprestato un congegno d'imposizione del tutto particolare rispetto ai normali meccanismi di tassazione dei redditi, dando così rilievo alle speciali caratteristiche delle indennità di fine rapporto.
12. Ciò premesso, deve passarsi all'esame della questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 della legge 26 settembre 1985, n. 482 - nella parte in cui modifica l'art. 12, lett - e) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 - 2 e 4 della stessa legge, in quanto applicabili alle indennità di buonuscita corrisposte dall'E.N.P.A.S.; dell'art. 46 del d.P.R. n. 597 del 1973, sollevate sotto il profilo che tali norme, considerando "reddito" le indennità di buonuscita corrisposte dall'E.N.P.A.S. ed assoggettandole ad imposizione fiscale, violerebbero gli artt. 38 e 53 della Costituzione, avendo dette indennità natura previdenziale o indennitaria e, pertanto, non essendo adeguato indice di capacità contributiva.
La questione non é fondata.
I giudici a quibus partendo dall'affermazione di una sostanziale diversità giuridica tra le indennità di buonuscita erogate dall'E.N.P.A.S. e la indennità di fine rapporto erogata ai dipendenti privati, accentuano la natura previdenziale delle prime - in alternativa - ne allegano la natura indennitaria, rivendicandone la intassabilità in quanto non costituirebbero reddito.
Peraltro, questa Corte ha costantemente affermato che per capacità contributiva, ai sensi dell'art. 53 Cost., deve intendersi l'idoneità del soggetto all'obbligazione d'imposta, desumibile dal presupposto economico al quale la prestazione risulta collegata, presupposto che consiste in qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalità sotto il profilo della arbitrarietà o irrazionalità (da ultimo sentt. 15 febbraio 1984, n. 25; 1 aprile 1982, n. 63 e 20 aprile 1977, n. 62
).