ORDINANZA N.461
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 21, primo comma , del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), e 16, quarto comma, del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3282 (Approvazione del testo di legge sul gratuito patrocinio), promossi con due ordinanze emesse l’8 ottobre 1998 dal Tribunale di Locri nei procedimenti fallimentari a carico di Alvaro Vincenzo e a carico di “Petrol Sud di F.C. e C.” s.a.s., iscritte ai nn. 865 e 866 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Udito nella camera di consiglio del 27 ottobre 1999 il Giudice relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto che, in accoglimento dell’opposizione proposta ai sensi dell’art. 18 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), il Tribunale di Locri revocava il fallimento di A.V., senza nulla statuire in ordine al soggetto responsabile dell’avvenuta dichiarazione di fallimento;
che, con decreto dell’8 ottobre 1998, su istanza del curatore, il Tribunale liquidava sia le spese (riferibili ad atti necessari all’avanzamento della procedura e, pertanto, prenotate a debito ai sensi dell’art. 91 della legge fallimentare) sia il compenso, rispettivamente in lire 2.538.000 e 5.565.000 (oltre C.P.A. e I.V.A.);
che, residuando sul conto corrente bancario del fallimento un saldo attivo di lire 11.866.577, il Tribunale ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, primo comma, della legge fallimentare, di cui al regio decreto n. 267 del 1942, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 97, primo comma, 24, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che le spese di procedura e il compenso al curatore siano pagati mediante prelievo sull’attivo acquisito, prima della sua restituzione all’avente diritto, anche nel caso in cui il fallimento venga revocato con sentenza passata in giudicato che nulla disponga circa la responsabilità per la declaratoria di insolvenza;
che la questione sarebbe rilevante, perché l’art. 21 stabilisce, in caso di revoca della dichiarazione di fallimento, che le spese di procedura e il compenso al curatore si pongano a carico del creditore istante (condannato ai danni per aver colpevolmente chiesto il fallimento) ovvero a carico di colui che, senza responsabilità, era stato dichiarato fallito;
che, secondo il giudice a quo, quando la sentenza di revoca nulla abbia stabilito in merito alla responsabilità per la dichiarazione medesima, resterebbe irrisolto il problema della imputazione delle spese e del compenso al curatore, atteso che la legge 10 luglio 1930, n. 995, che risolveva il problema, è stata abrogata dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 23 agosto 1946, n. 153, senza essere sostituita da altra previsione;
che, nel caso di specie, su istanza del curatore il Tribunale ha liquidato il compenso senza indicare il soggetto obbligato al pagamento degli importi, poiché - per consolidato orientamento giurisprudenziale - la competenza funzionale esclusiva in ordine alla cognizione e alla dichiarazione della responsabilità de qua competerebbe, ai sensi dell’art. 18 della legge fallimentare, al giudice dell’opposizione;
che il Tribunale non potrebbe applicare l’art. 91 della legge fallimentare, giacché tale disposizione - come costantemente interpretata dalla giurisprudenza - consente all’erario di imputare soltanto le spese degli atti di procedura e non anche gli importi di natura retributiva, fra i quali il compenso al curatore;
che, di conseguenza, il curatore non potrebbe agire per il pagamento del suo compenso, mancando il soggetto obbligato;
che la questione sarebbe non manifestamente infondata, sia per il compenso spettante al curatore, sia per le spese, i diritti e gli onorari del difensore della procedura;
che, con riguardo alle spese, l’art. 21, primo comma, lederebbe gli artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione;
che il giudice a quo, dopo aver rilevato che la norma censurata opera una scissione tra il regime degli effetti degli atti compiuti dagli organi fallimentari e quello delle spese necessarie per porli in essere, ritiene violato il principio di uguaglianza, poiché sancisce l’intangibilità dei primi e non anche il rimborso delle seconde;
che, inoltre, il principio costituzionale di buon andamento consentirebbe l’aggravio di spese necessarie per l’avanzamento della procedura fallimentare e non di quelle riguardanti “una procedura divenuta in concreto priva di rilevanza pubblica”, in quanto revocata;
che circa il compenso al curatore l’art. 21, primo comma, sarebbe in contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione;
che vi sarebbe una ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento fra il curatore al quale sia liquidato il compenso prima del passaggio in giudicato della sentenza di revoca (priva della statuizione di responsabilità) e quello che ottenga la liquidazione dopo tale momento, atteso che entrambi hanno espletato la propria attività di ufficio;
che, del resto, il compenso del curatore non potrebbe essere posto a carico dell’erario, ai sensi dell’art. 91, in quanto la norma permetterebbe le anticipazioni solo per le spese concernenti l’adozione di atti interni necessari all’iter procedurale;
che la disposizione violerebbe altresì gli artt. 24, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, poiché resterebbe privo di tutela il diritto del curatore a percepire il compenso spettantegli;
che, in accoglimento di altra opposizione ai sensi dell’art. 18 della legge fallimentare, il Tribunale di Locri revocava il fallimento della “Petrol sud di F.C. e C.” s.a.s. nonché dei soci illimitatamente responsabili;
che, con decreto dell’8 ottobre 1998, il Tribunale liquidava il compenso al curatore in lire 6.764.310;
che, inoltre, il legale della procedura chiedeva il compenso dell’attività professionale prestata;
che, residuando sul conto corrente bancario del fallimento un saldo attivo di lire 4.323.409, il Tribunale ha sollevato d’ufficio, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 21, primo comma, della legge fallimentare, e 16, quarto comma, del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3282 (Approvazione del testo di legge sul gratuito patrocinio), nella parte in cui non prevedono l’ammissione al gratuito patrocinio per pagare il compenso al curatore e le spettanze del legale della curatela, qualora il fallimento venga revocato con sentenza passata in giudicato, la quale nulla disponga in ordine alla responsabilità per la causazione della declaratoria di insolvenza;
che la questione sarebbe rilevante, perché l’art. 16, quarto comma, del regio decreto n. 3282 del 1923 sancisce che è possibile far ricorso al gratuito patrocinio nella materia fallimentare soltanto nel caso in cui non venga reperito il denaro necessario per il compimento degli atti richiesti;
che, per orientamento giurisprudenziale costante, il beneficio potrebbe essere concesso solo per il pagamento delle spese vive, qualora l’attivo fallimentare sia inesistente o insufficiente;
che per pagare le spettanze del legale della curatela e il compenso al curatore non ci si potrebbe avvalere del gratuito patrocinio, non costituendo tali voci una “spesa viva”, bensì una vera e propria retribuzione, anche perché la procedura disporrebbe di una liquidità insufficiente, ma non del tutto realizzata, in considerazione dell’inventario di beni superiore agli importi da corrispondere;
che, inoltre, l’art. 21 della legge in esame stabilisce che, in caso di revoca della dichiarazione di fallimento, il compenso al curatore sia posto a carico del creditore istante (condannato ai danni per aver colpevolmente chiesto il fallimento) ovvero a carico di colui che era stato dichiarato fallito per fatto a lui imputabile;
che, nel caso di specie, il Tribunale ha liquidato le spese di procedura e il compenso del curatore senza indicare il soggetto obbligato al pagamento, poiché la competenza funzionale esclusiva in ordine alla cognizione e alla dichiarazione della responsabilità de qua spetta, ai sensi dell’art. 18 della legge fallimentare, al giudice dell’opposizione;
che il Tribunale non potrebbe applicare l’art. 91 della legge fallimentare e, dunque, gli interessati non potrebbero agire, mancando il soggetto obbligato;
che la questione sarebbe non manifestamente infondata, sia per le spese procedurali che per il compenso spettante al curatore;
che, circa il compenso liquidato al curatore, gli artt. 21, primo comma, della legge fallimentare, e 16, quarto comma, del regio decreto n. 3282, lederebbero gli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione;
che il giudice a quo ritiene violato l’art. 3, primo comma, della Costituzione, poiché l’istituto del gratuito patrocinio, ai sensi dell’art. 11 del regio decreto citato, si applicherebbe alle procedure esecutive, ma non alla procedura fallimentare, anch’essa esecutiva;
che il censurato art. 16, quarto comma, consentirebbe di beneficiare del gratuito patrocinio solo per le spese di procedura, così creando una irragionevole e ingiustificata disparità di trattamento tra gli affari civili fallimentari e gli affari civili di ogni altra natura;
che le disposizioni violerebbero altresì gli artt. 24, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, poiché il diritto del curatore e del difensore della procedura a percepire il compenso resterebbe privo di tutela giuridica.
Considerato che vengono all’esame della Corte due distinte questioni che richiedono entrambe una sentenza additiva, la quale dichiari l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate nella parte in cui non prevedono che le spese di procedura e il compenso al curatore gravino su altro soggetto, qualora il fallimento venga revocato con sentenza passata in giudicato nella quale non sia individuato colui che con il suo comportamento abbia dato causa alla declaratoria di insolvenza;
che il rimettente sollecita una decisione, con riferimento all’art. 21, che permetta di imputare all’attivo fallimentare, prima che sia restituito all’avente diritto, spese di procedura e compensi al curatore;
che viene altresì sollecitata, con riferimento agli artt. 21 della legge fallimentare e 16 della legge sul gratuito patrocinio, una decisione che consenta l’ammissione del fallimento al gratuito patrocinio;
che i giudizi, coincidendo parzialmente l’oggetto e riguardando problemi analoghi, vanno trattati congiuntamente;
che la prima questione mira a riportare la disposizione censurata all’assetto preesistente alla sentenza n. 46 del 1975, con la quale questa Corte dichiarò l’illegittimità dell’art. 21, terzo comma, della legge fallimentare, nella parte in cui - nel caso di revoca della dichiarazione di fallimento - poneva le spese di procedura e il compenso al curatore a carico di chi l’avesse subita, senza che ne ricorressero i presupposti e senza che vi avesse dato causa col suo comportamento;
che tale richiesta costituisce una sorta di sindacato del merito della predetta decisione, precluso dal sistema risultante dagli artt. 136, primo comma, e 137, terzo comma, della Costituzione, e 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, i quali pongono il principio della non impugnabilità delle decisioni della Corte costituzionale (sentenza n. 29 del 1998; ordinanze nn. 220 del 1998, 7 del 1991 e 27, 93 e 203 del 1990);
che la seconda questione intende far valere, con riguardo al fallimento “revocato” con sentenza definitiva, il beneficio del gratuito patrocinio;
che non vi è ragione per far ricorso al regio decreto n. 3282 del 1923 nel procedimento principale;
che, pertanto, le due questioni devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 97, primo comma, 24, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Locri con l’ordinanza n. 865 del 1998, in epigrafe;
2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 21, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e 16, quarto comma, del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3282 (Approvazione del testo di legge sul gratuito patrocinio), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Locri con l’ ordinanza n. 866 del 1998, in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1999.
Giuliano VASSALLI, Presidente
Francesco GUIZZI, Redattore
Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1999.