ORDINANZA N.93
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza) come modificata dalla sentenza della Corte costituzionale n.409 del 1989 in relazione all'art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) e degli artt. 151 e 173, primo comma, del codice penale militare di pace, promossi con ordinanze emesse il 4 ottobre 1989 (nn. 11 ordinanze) il 5 ottobre 1989 (nn. 14 ordinanze) e il 12 ottobre 1989 dal Tribunale militare di Torino, il 29 settembre 1989 ed il 13 ottobre 1989 dalla Corte militare d'appello - sezione distaccata di Verona, iscritte rispettivamente ai nn. da 596 a 621, 656 e 657 del registro ordinanze 1989 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 49 e 52/1a s.s. dell'anno 1989. Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 31 gennaio 1990 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.
Ritenuto che questa Corte con sentenza n. 409 del 1989 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, come sostituito dall'art. 2 della legge 24 dicembre 1974, n. 695, < nella parte in cui determina la pena edittale ivi comminata nella misura minima di due anni anzichè in quella di sei mesi e nella misura massima di quattro anni anzichè in quella di due anni>;
che la Corte è pervenuta a tale declaratoria avendo accertato la manifesta irrazionalità della sanzione comminata, per il delitto di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza, dal citato art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972, in relazione alla sanzione prevista per il delitto di mancanza alla chiamata sanzionato dall'art. 151 del codice penale militare di pace;
che, invero, la citata sentenza n. 409/1989 ha rilevato che i comportamenti previsti dalle due ipotesi criminose ledono, con modalità oggettive analoghe, lo stesso bene giuridico (l'interesse alla regolare incorporazione degli obbligati al servizio di leva nell'organizzazione militare) e che è identico il rimprovero di colpevolezza che si muove ai soggetti attivi dei due delitti e che pertanto appariva sproporzionata, arbitraria ed irrazionale la maggior pena comminata dal citato art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972 unicamente in ragione dell'esistenza di motivi di coscienza dedotti a giustificazione del comportamento tenuto;
che, in particolare, la sentenza stessa ha dichiarato che il citato art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972 aveva irrazionalmente contraddetto la valutazione già operata dal legislatore < in via generale e senza tener tipicamente conto dei motivi dell'azione criminosa> con l'art.151 del codice penale militare di pace;
ritenuto che con ventitrè ordinanze, d'identico contenuto (Reg. ord. nn. da 596 a 618/1989) emesse il 4 ed il 5 ottobre 1989, il Tribunale militare di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, 27, terzo comma, Cost. e 28 della legge 11 marzo 1953, n.87, questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972 n. 772, < come modificato dalla sentenza n.409/1989 della Corte costituzionale>, assumendo che-avendo la detta sentenza erroneamente ritenuto che i delitti di cui al citato art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972 ed all'art. 151 del codice penale militare di pace ledono lo stesso bene giuridico mentre in realtà sarebbero lesi beni giuridici diversi (semplice interesse alla regolare incorporazione degli obbligati al servizio di leva, nel caso dell'art. 151 del codice penale militare di pace ed interesse all'effettuazione del servizio di leva globalmente inteso, nel caso dell'art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972)-la norma impugnata contrasterebbe, da un lato, con l'art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e con il principio di legalità e tassatività delle pene, di cui all'art. 25, secondo comma, Cost. (in quanto la citata sentenza n. 409/1989 avrebbe modificato una norma penale, sostituendosi al legislatore nella scelta tra più soluzioni possibili) e, da un altro lato, contrasterebbe sia con l'art. 27, terzo comma, Cost. (poichè la sanzione ora applicabile all'ipotesi di cui all'art. 8, secondo comma , citato non sarebbe proporzionata al disvalore del fatto illecito) sia con l'art. 3 Cost. (poichè si sarebbe determinata, da una parte, un'irrazionale equiparazione sanzionatoria tra il delitto di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza e quello di mancanza alla chiamata e, dall'altra, un'ingiustificata disparità di trattamento del predetto delitto di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza rispetto a quelli di rifiuto del servizio militare non armato e di rifiuto del servizio civile sostitutivo di cui al primo comma dell'art. 8 citato ed a quello di disobbedienza di cui all'art. 173 del codice penale militare di pace);
ritenuto che, con altre tre ordinanze (Reg. ord. nn. da 619 a 621/1989) emesse il 5 ed il 12 ottobre 1989, il Tribunale militare di Torino - basandosi sullo stesso presupposto secondo il quale la citata sentenza n.409/1989 avrebbe errato nel ritenere l'identità dei beni giuridici lesi dai delitti di cui agli artt.8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972 e 151 del codice penale militare di pace, trattandosi invece di beni giuridici diversi-ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 151 del codice penale militare di pace sotto il profilo dell'irragionevole equiparazione del trattamento sanzionatorio determinatosi fra le dette ipotesi di reato;
ritenuto che, con due ordinanze (Reg. ord. nn. 656 e 657/1989) emesse il 29 settembre ed il 13 ottobre 1989, la Corte militare d'appello, sezione distaccata di Verona, - ugualmente fondandosi sul presupposto d'un errore compiuto dalla citata sentenza n. 409 del 1989 nell'equiparare i beni giuridici lesi dai delitti di cui agli artt. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972 e 151 del codice penale militare di pace - ha sollevato questione di legittimità costituzionale del detto art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972 per contrasto sia con l'art. 3 Cost. (perchè si sarebbe determinata un'irrazionale sproporzione fra la pena ora prevista per il delitto di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza e la minore pena prevista dall'art. 173, primo comma, del codice penale militare di pace per il delitto di disobbedienza, la cui condotta è oggettivamente analoga a quella del delitto di rifiuto del servizio militare, quando questo sia conseguito attraverso il rifiuto d'obbedire all'ordine d'indossare l'uniforme accompagnato dall'adduzione del movente) sia con l'art.25, secondo comma, Cost. (poichè si tratterebbe di norma penale novata nella sanzione con atto di organo diverso dal potere legislativo);
che, nel giudizio a carico di Caldano Omar (Reg. ord. n. 621/1989) è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la proposta questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
Considerato che, per l'identità o connessione delle sollevate questioni, i relativi giudizi possono essere riuniti per essere contestualmente definiti;
che le censure formulate nelle ordinanze di rimessione sono, all'evidenza, solo formalmente indirizzate alle norme suindicate ma, nella sostanza, sono rivolte a sindacare le statuizioni adottate dalla Corte con la menzionata sentenza n. 409/1989;
che, pertanto, il meccanismo del giudizio incidentale di legittimità costituzionale risulta, nella specie, arbitrariamente attivato per esercitare, in forma surrettizia, un sindacato del merito di una decisione di questa Corte;
che siffatto sindacato è assolutamente precluso dal sistema risultante dagli artt. 136, primo comma e 137, terzo comma, Cost. e 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, i quali pongono il principio della non impugnabilità delle decisioni della Corte costituzionale;
che, invero, il fine cui mira la proposta impugnativa è quello d'una sostanziale elusione della forza cogente (ex art. 136 Cost.) della pronunciata declaratoria d'illegittimità costituzionale;
che, comunque, è appena il caso di ricordare che, come già esposto in narrativa e contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, la sentenza n. 409/1989 ha non già sostituito la pena ex art. 8, secondo comma, della legge n. 772 del 1972 bensì si è più semplicemente limitata a ricavare dal sistema creato dallo stesso legislatore la necessitata applicabilità della pena ex art. 151 del codice penale militare di pace;
che, di conseguenza, tutte le sollevate questioni vanno dichiarate manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza) come sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, 27, terzo comma, Cost. e 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87, con le ordinanze in epigrafe;
dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 151 del codice penale militare di pace sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/02/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Renato DELL'ANDRO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 26/02/90.