Ordinanza n. 7 del 1991

 

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ORDINANZA N.7

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Giovanni CONSO                                              Presidente

Prof. Ettore GALLO                                                   Giudice

Dott. Aldo CORASANITI                                              “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimati costituzionale dell'art. 247, terzo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), promosso con ordinanza emessa l'8 maggio 1990 dal Tribunale di Venezia nei processi penali riuniti a carico di Greguol Gabriele ed altri, iscritta al n. 660 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice relatore Giovanni Conso.

Ritenuto che il Tribunale di Venezia, con ordinanza dell'8 maggio 1990, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimati dell'art. 247, terzo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), <<nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, in caso di dissenso, debba enunciarne le ragioni e nella parte in cui non prevede che il giudice, ritenuto immediatamente ingiustificato il dissenso, disponga procedersi nelle forme del rito abbreviato>>;

che, più precisamente, l'ordinanza di rimessione, richiamate le sentenze n.66 del 1990 e n. 183 del 1990, lamenta come - di fronte ad un <<dissenso manifestato dal P.M., con invocazione di motivi ... comunque estranei ai parametri già precisamente indicati dalla Corte>> che avrebbe <<preso in considerazione, quale unico parametro ipotizzabile per l'intervento del consenso o meno del P.M., il raccordo della scelta alla definibilità del processo allo stato degli atti>>-al giudice che abbia individuato immediatamente <<la causa di ingiustificatezza>> del dissenso resti precluso di procedere con rito abbreviato ed evitare cosi <<l'aggravio del dibattimento>>;

e che nel giudizio e intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato, quanto alla prima questione, che la Corte, con sentenza n. 66 del 1990, ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 247, primo, secondo e terzo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, in caso di dissenso, debba enunciarne le ragioni, cosicché spetta esclusivamente al giudice a quo verificare se il dissenso espresso nel caso di specie risulti o no giustificato e che, quindi, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile;

che, quanto alla seconda questione, avendo la Corte con la ricordata sentenza n. 66 del 1990 dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.247, primo, secondo e terzo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), anche nella parte in cui non prevede che il giudice, quando, a dibattimento concluso, ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, possa applicare all'imputato la riduzione di pena contemplata dall'art. 442, secondo comma, del codice di procedura penale, la censura ora sollevata solo formalmente si rivolge al comma denunciato, essendo nella sostanza volta a sindacare le statuizioni adottate dalla suddetta sentenza n. 66 del 1990, donde la manifesta inammissibilità anche di tale questione (v. ordinanze n. 27 del 1990, n. 93 del 1990 e n. 203 del 1990).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimati costituzionale dell'art. 247, terzo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Venezia con ordinanza dell'8 maggio 1990.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 gennaio 1991.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

Depositata in cancelleria il 10 gennaio 1991.