Sentenza n. 70/99

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SENTENZA N. 70

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 81, comma settimo, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza del personale civile e militare dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 24 maggio 1996 dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, sul ricorso proposto da Iacobbe Sabatina contro Direzione provinciale del tesoro di Bari, iscritta al n. 775 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1999 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso alla soppressa IV sezione pensionistica centrale della Corte dei conti, poi riassunto davanti alla sezione giurisdizionale per la Puglia, la signora Sabatina Iacobbe impugnava il provvedimento con il quale la Direzione provinciale del tesoro di Bari le aveva negato il ripristino della reversibilità della pensione privilegiata del primo marito, Renato Montrone (ex allievo sottufficiale di complemento), che le era stata inizialmente concessa e poi revocata a seguito del suo nuovo matrimonio con Vincenzo Montrone.

Il ricorso della signora Iacobbe si basa sulla considerazione che, essendo deceduto anche il secondo marito lasciandola senza mezzi di sostentamento, debba rivivere il diritto alla reversibilità della pensione del primo marito, in quanto la ratio della soppressione di tale diritto a seguito delle seconde nozze – prevista dall’art. 81, comma settimo, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza del personale civile e militare dello Stato) – dovrebbe rinvenirsi non nelle nozze in se stesse, ma nel possesso da parte del secondo marito di un certo reddito.

2.— La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Puglia, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione, del suddetto art. 81, comma settimo, del d.P.R. n. 1092 del 1973, nella parte in cui dispone la perdita della pensione privilegiata di reversibilità in caso di nuove nozze del beneficiario, senza necessità di alcuna verifica delle condizioni economiche del nuovo coniuge.

Il giudice a quo dà atto che la giurisprudenza della Corte costituzionale esclude l’equiparazione della situazione della ricorrente (che, fino al momento del secondo matrimonio, godeva – come detto – della reversibilità della pensione privilegiata ordinaria di cui era titolare il primo marito) a quella della vedova di guerra (che gode invece di pensione indiretta, iure proprio ed a titolo risarcitorio).

Nel sistema, tuttavia, si sarebbe verificato un quid novi per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 361 del 1993, che ha dichiarato illegittimo l’art. 42 del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), nella parte in cui stabilisce che la vedova di militare deceduto per causa bellica perde il diritto alla pensione se contrae nuove nozze con chi fruisce di un reddito superiore ad un certo limite.

La situazione così venutasi a creare sarebbe irragionevole, violando l’art. 3 della Costituzione, in quanto la vedova titolare di pensione indiretta di guerra può risposarsi senza perdere il diritto al trattamento previdenziale anche se il nuovo marito gode di una certa ricchezza, mentre la vedova cui é stata concessa la reversibilità della pensione privilegiata di servizio non può risposarsi se non a costo di perdere detta prestazione, anche se il nuovo coniuge versa nella più assoluta indigenza.

Tale irragionevole disparità di trattamento – che é stata spiegata alla luce della differenza di natura dei due tipi di pensione (quella di guerra, infatti, ha carattere risarcitorio ed é concessa iure proprio alla vedova del militare deceduto; quella privilegiata di reversibilità, invece, ha natura previdenziale e assistenziale ed é concessa a titolo derivato) – in realtà, secondo il giudice a quo, non sarebbe giustificata, in quanto la pensione privilegiata ordinaria non presenta un contenuto meramente equitativo, non mancando nella sua attribuzione il fine di ripagare il dipendente delle menomazioni subite a causa del servizio, che hanno prodotto effetti negativi anche sul coniuge e sui figli.

3.— La norma impugnata, poi, sarebbe irragionevole in sè, perchè protrae anche al periodo successivo al riacquisto dello stato vedovile l’incompatibilità tra il nuovo matrimonio ed il godimento della reversibilità della pensione privilegiata del primo marito, e violerebbe pure gli artt. 29 e 31 della Costituzione, per il carattere di punitività che assume nei confronti dei titolari di pensione di reversibilità che passino a nuove nozze, con implicito incentivo delle unioni libere a scapito della formazione della famiglia legittima.

4.— La sollevata questione sarebbe, oltre che non manifestamente infondata per i motivi sopra esposti, anche rilevante, benchè il ricorso della signora Iacobbe non sia inteso a rimuovere ab initio la perdita della pensione a seguito delle nuove nozze, bensì al ripristino del beneficio in considerazione dell’intervenuto decesso del secondo marito.

L’impossibilità del ripristino opposta dall’Amministrazione si basa, infatti, sulla perdita del trattamento a causa del secondo matrimonio e quindi sul protrarsi degli effetti della norma ablatoria nonostante il ritorno della ricorrente allo stato vedovile.

5.— Nel presente giudizio non si é costituita la parte privata, mentre é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

La difesa erariale chiede che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque manifestamente infondata. Rileva, in particolare, che il ricorso proposto dinanzi al giudice a quo é rivolto ad ottenere il beneficio pensionistico in considerazione dell’avvenuto decesso del secondo marito, e non a contestare la perdita della pensione a seguito delle nuove nozze.

Ciò potrebbe avere implicazioni negative sotto il profilo della rilevanza della questione di costituzionalità, in quanto il giudice remittente avrebbe dovuto valutare innanzitutto se il ricorso potesse essere deciso senza l’applicazione del citato art. 81 del d.P.R. n. 1092 del 1973, posto che, in base ai principi civilistici, le nuove nozze, facendo cessare lo stato di vedovanza, fanno venir meno i diritti patrimoniali e non patrimoniali che derivavano da tale stato. La vedova che si é risposata non riacquisterebbe il primo stato vedovile per la morte del secondo marito, proprio perchè con il secondo matrimonio verrebbe a cessare definitivamente il precedente stato vedovile: a causa di ciò non potrebbe essere ripristinata la pensione di reversibilità, per cui la questione proposta potrebbe risultare inammissibile.

6.— Nel merito, la sentenza n. 361 del 1993 – che, secondo il giudice a quo, rappresenta una novità tale da giustificare la rimessione della presente questione – sarebbe invece in linea con la precedente giurisprudenza costituzionale, riferendosi alla pensione indiretta della vedova per fatto bellico, che ha natura risarcitoria ed é concepita come diritto autonomo indipendente dalle condizioni economiche di chi ne fruisce. Era pertanto ingiustificato condizionare tale diritto al fatto che il secondo marito godesse di un reddito inferiore ad un certa misura.

Diversa sarebbe invece la situazione, oggetto del presente giudizio, della vedova con pensione privilegiata di reversibilità: il suo diritto sarebbe di natura derivata e non a titolo di doveroso riconoscimento e di solidarietà per il sacrificio sopportato per la perdita del congiunto a causa della guerra.

Pertanto non vi sarebbe alcuna violazione dell’art. 3 della Costituzione.

Con riferimento, poi, al preteso contrasto con gli artt. 29 e 31 della Costituzione, l’Avvocatura sottolinea che la Corte costituzionale ha affermato che tali parametri salvaguardano essenzialmente i contenuti e gli scopi etico–sociali della famiglia come società fondata sul matrimonio, senza riflessi immediati sul trattamento pensionistico, che inerisce a momenti strettamente economici (ordinanza n. 325 del 1992).

Considerato in diritto

1.— La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Puglia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, comma settimo, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza del personale civile e militare dello Stato), nella parte in cui dispone la perdita della pensione privilegiata di reversibilità in caso di nuove nozze del beneficiario, senza necessità di alcuna verifica delle condizioni economiche del nuovo coniuge.

Essa censura la norma sotto tre profili: a) innanzitutto, sarebbe irragionevole il protrarsi anche al periodo successivo al riacquisto dello stato vedovile dell’incompatibilità tra le nuove nozze e la reversibilità della pensione privilegiata del primo marito; b) inoltre, vi sarebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra il coniuge superstite titolare di pensione indiretta di guerra (che può risposarsi senza perdere il diritto al trattamento previdenziale, anche se il nuovo coniuge gode di un certo reddito) e quello a cui é stata concessa la reversibilità della pensione privilegiata di servizio (che, invece, non può farlo se non a costo di perdere detta prestazione, anche se il nuovo coniuge versa nella più assoluta indigenza); c) infine, la norma violerebbe anche gli artt. 29 e 31 della Costituzione, per il carattere di punitività che essa assumerebbe nei confronti dei titolari di pensione di reversibilità che passino a nuove nozze, con implicito incentivo delle unioni libere a scapito della formazione della famiglia legittima.

2.— Preliminarmente deve esaminarsi l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura dello Stato, secondo cui il ricorso proposto dalla signora Iacobbe dinanzi alla Corte dei conti era rivolto ad ottenere il "ripristino" del beneficio pensionistico dopo il decesso del secondo marito, e non a contestare la perdita della pensione a seguito delle nuove nozze, mentre é su quest’ultimo profilo che il giudice a quo ha esaminato il problema ed ha sollevato la questione. In realtà – soggiunge la difesa erariale – la ricorrente non ha riacquistato il precedente stato vedovile a seguito della morte del secondo marito, avendo il successivo matrimonio fatto cessare definitivamente il primo stato vedovile: in mancanza di tale stato non era proponibile una domanda di reviviscenza della pensione di reversibilità, e la questione risulterebbe pertanto irrilevante nel giudizio a quo.

L’eccezione non può essere accolta: infatti, il giudizio principale é rivolto ad ottenere l’annullamento del provvedimento che ha negato alla signora Iacobbe il ripristino della pensione di reversibilità proprio sulla base della norma impugnata. In ogni caso, il giudice a quo ritiene, con motivazione non implausibile, che sia rilevante nella controversia sottoposta al suo esame lo scrutinio di legittimità costituzionale della norma impugnata.

3.— Nel merito la questione é infondata.

Quanto al primo profilo di illegittimità denunciato, va osservato che la reversibilità a favore del coniuge superstite dei trattamenti pensionistici di cui godeva il coniuge deceduto trova il suo precipuo fondamento non nella funzione di assistenza della vedova o del vedovo che si trovi in effettivo stato di bisogno – funzione che viene assolta solo indirettamente, essendovi altri ed appositi strumenti a tal fine predisposti dall’ordinamento – ma in quella di far proseguire almeno parzialmente, anche dopo la cessazione della comunità coniugale, gli effetti ad essa connessi, in particolare quello di sostentamento del coniuge superstite che prima era assicurato dal reddito del de cuius, garantendo al beneficiario la protezione dalle conseguenze negative derivate dalla morte del congiunto (v. le sentenze n. 495 del 1993 e n. 286 del 1987 e, per le pensioni di guerra, n. 405 del 1993). Senonchè tale funzione viene meno quando, a seguito del secondo matrimonio, nasce una nuova comunità coniugale, la cui eventuale successiva cessazione non può avere l’effetto di far rivivere gli effetti che conseguivano dalla comunità precedente.

In altri termini, la pensione di reversibilità realizza una forma di ultrattività della solidarietà coniugale, che dipende però dallo status di vedovanza; poichè le nuove nozze estinguono tale status, cessa anche la suddetta ultrattività, ancorchè la morte del secondo coniuge abbia dato luogo ad una successiva vedovanza. Un analogo fenomeno si produce, mutatis mutandis, anche in altri casi di scioglimento di una precedente comunità coniugale a seguito della nascita di una nuova: così l’assegno di divorzio cessa con il passaggio a nuove nozze del coniuge divorziato.

Pertanto, sotto questo profilo la norma impugnata non é irragionevole, e non risulta quindi violato l’art. 3 della Costituzione.

4.— Non é fondato neppure il secondo profilo di illegittimità denunciato, relativo alla disparità di trattamento che si é venuta a creare fra il coniuge superstite titolare di pensione indiretta di guerra (che può risposarsi senza perdere il diritto al trattamento previdenziale, anche se il nuovo coniuge gode di un notevole reddito) ed il superstite a cui é stata concessa la reversibilità della pensione privilegiata di servizio (che, invece, non può farlo se non a costo di perdere detta prestazione, anche se il nuovo coniuge versa nella più assoluta indigenza).

Come é noto, i trattamenti pensionistici sono differenziati in varie tipologie. Per quanto qui interessa, basti ricordare: a) le pensioni ordinarie (che presuppongono un rapporto d’impiego alle dipendenze dello Stato), b) le pensioni privilegiate, civili e militari (corrisposte a chi, avendo prestato allo Stato un determinato servizio, abbia riportato una lesione o una malattia), c) le pensioni di guerra, che si sottodistinguono a seconda che siano "dirette" (c/1), cioé a favore di chi abbia subito un danno fisico per eventi bellici; "indirette" (c/2), a favore di familiari di chi sia successivamente deceduto per cause belliche; "reversibili" (c/3), a titolo derivato a favore dei superstiti di chi, menomato da eventi bellici, sia deceduto per cause diverse.

Ai fini della presente decisione, va rilevato che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (ribadito in molte pronunce: v., da ultimo, le sentenze nn. 390 del 1997 e 431 del 1996 e l’ordinanza n. 461 del 1998), non esiste omogeneità fra i trattamenti sub b) e sub c), posti a confronto dal giudice a quo: i primi rappresentano la proiezione di un precedente beneficio economico goduto, del quale condividono la natura reddituale, mentre i secondi (a parte il caso sub c/3) hanno natura risarcitoria e spettano a titolo originario ai beneficiari.

Quanto all’ammontare, le pensioni di guerra sono determinate normalmente in funzione dell’entità del danno subìto, quelle ordinarie e privilegiate in relazione alla base pensionabile.

Queste disomogeneità possono comportare legittime valutazioni legislative, diverse a seconda del tipo di pensione. Così, "se sul piano processuale possono non sussistere elementi idonei a giustificare una differente disciplina in ordine alla tutela delle ragioni degli aventi diritto a pensioni ordinarie o di guerra, sussistono viceversa motivi che giustificano una differente normativa in ordine alla disciplina sostanziale, senza che ne risulti violato il principio di uguaglianza" (v. la sentenza n. 55 del 1980).

E’ per questo che il legislatore ha regolato diversamente le conseguenze delle nuove nozze sul diritto alla reversibilità della pensione: tale diritto veniva e viene sempre a cessare, nel caso di trattamento privilegiato (sub b) e di trattamento di reversibilità di guerra (sub c/3); si perdeva invece se il nuovo coniuge possedeva un reddito superiore ad una certa soglia, nel caso di pensione indiretta di guerra (sub c/2). Nelle prime due ipotesi la normativa non é stata ritenuta irragionevole per le considerazioni sopra illustrate, di modo che – come già rilevato dalla sentenza n. 375 del 1989 – anche nel caso delle pensioni di guerra sub c/3 il venir meno dello stato di vedovanza per consapevole scelta può giustificare, indipendentemente dallo stato di bisogno, la cessazione del beneficio, considerato il suo carattere derivato. Viceversa, nel diverso caso della pensione indiretta di guerra, é stata ritenuta non ragionevole la perdita del beneficio per ragioni reddituali dipendenti dalle nuove nozze, poichè trattasi di un diritto acquisito a titolo originario e indipendente da valutazioni inerenti lo status economico (sentenza n. 361 del 1993). A seguito di tale pronuncia si é accentuata la differenza di trattamento rispetto alla pensione ordinaria privilegiata, ma senza che ciò comporti una lesione del principio di uguaglianza, data la predetta diversa natura.

5.— Infine, é infondato anche il terzo profilo di illegittimità denunciato dal giudice a quo, relativo alla violazione degli artt. 29 e 31 della Costituzione, per il carattere di punitività che la norma impugnata assumerebbe nei confronti dei titolari di pensione di reversibilità che passino a nuove nozze, con il conseguente incentivo delle unioni libere a scapito della formazione della famiglia legittima; fenomeno questo che tenderebbe a verificarsi di frequente.

Come questa Corte ha già sottolineato, la normativa pensionistica "esula dal campo dei diritti e doveri reciproci tra i membri del nucleo familiare", cui invece tende a riferirsi l’art. 29 della Costituzione, che salvaguarda essenzialmente i contenuti e gli scopi etico–sociali della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Ed analoghe considerazioni valgono in riferimento all’art. 31 (v. la sentenza n. 2 del 1980 e l’ordinanza n. 325 del 1992). Nemmeno questi principi costituzionali appaiono, quindi, ostativi delle disposizioni impugnate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, comma settimo, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza del personale civile e militare dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Puglia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 marzo 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Fernando SANTOSUOSSO

Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.