Sentenza n. 405 del 1993

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SENTENZA N. 405

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del- l'art. 85, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 30 marzo 1992 dalla Corte dei Conti sul ricorso proposto da Landriscina Giovanna contro la Direzione Provinciale del Tesoro di Bologna, iscritta al n.166 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 1993 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del giudizio promosso da Giovanna Landriscina contro il decreto 29 gennaio 1981, n. 7653, della Direzione provinciale del tesoro di Bologna, che ha revocato a decorrere dal 1° gennaio 1976 la pensione ordinaria di riversibilità intestata alla ricorrente, orfana maggiorenne inabile al lavoro, la Corte dei Conti, con ordinanza del 30 marzo 1992, pervenuta alla Corte costituzionale il 1° aprile 1993, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 85, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, "in quanto non considera sussistente il requisito della nullatenenza per la riversibilità delle pensioni ordinarie al verificarsi delle stesse condizioni di reddito stabilite dal sopravvenuto art.70 del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni, per la riversibilità delle pensioni di guerra".

 

Ad avviso del giudice remittente, "considerato (alla stregua della sent. n.133 del 1972 di questa Corte) l'eguale contenuto etico e sociale dei trattamenti pensionistici di riversibilità e il comune carattere assistenziale ed alimentare, finalizzato a sopperire alle condizioni di bisogno in cui vengono a trovarsi i superstiti dopo la morte del dante causa", non è giustificata la disparità del limite massimo di reddito previsto dalla norma impugnata rispetto al trattamento di riversibilità delle pensioni di guerra, sopravvenuta per effetto del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, che ha fissato il limite in lire 2.400.000.

 

Quanto alla rilevanza della questione si osserva che, se ne fosse riconosciuta la fondatezza, sarebbe consentito l'accoglimento del ricorso oggetto del giudizio a quo per il periodo successivo all'entrata in vigore del citato d.P.R. n.915 del 1978.

 

Considerato in diritto

 

1. La Corte dei Conti ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 85, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, "per contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto non considera sussistente il requisito della nullatenenza per la riversibilità delle pensioni ordinarie al verificarsi delle stesse condizioni di reddito stabilite dal sopravvenuto art. 70 del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni, per la riversibilità delle pensioni di guerra".

 

2. La questione non è fondata.

 

Il d.P.R. n. 915 del 1978, successivo alla sentenza n.133 del 1972, attribuisce alla pensione di guerra natura di "atto risarcitorio, di doveroso riconoscimento e di solidarietà da parte dello Stato nei confronti di coloro che, a causa della guerra, abbiano subito menomazioni all'integrità fisica o la perdita di un congiunto". La diversità di natura rispetto alla pensione ordinaria si riflette sulla funzione del limite di reddito cui è subordinata nell'uno e nell'altro istituto la riversibilità della pensione, talchè deve essere confermata, anche sotto questo profilo, la giurisprudenza di questa Corte che ha escluso in generale la confrontabilità, ai fini dell'art. 3 Cost., della disciplina delle pensioni ordinarie con quella delle pensioni di guerra (sent. n. 186 del 1985).

 

La riversibilità della pensione ordinaria agli orfani maggiorenni inabili al lavoro conserva parzialmente a questa categoria di superstiti la pensione, di cui in vita del titolare già beneficiavano indirettamente, come forma di assistenza nel senso dell'art. 38, primo comma, Cost.: il limite di reddito previsto dalla legge è qui un indice di "nullatenenza", ovvero di mancanza "dei mezzi per vivere". La riversibilità della pensione di guerra, invece, adempie solo indirettamente una funzione assistenziale, senza perciò essere strettamente subordinata alla condizione di indigenza: nei casi previsti dall'art. 70 del d.P.R. n. 915 del 1978 il riferimento alle condizioni economiche del richiedente si fonda piuttosto su una valutazione, correlata alla politica di bilancio e ai criteri di allocazione della spesa pubblica, per cui, nel caso di morte del titolare della pensione (per cause diverse dalla guerra), si ritiene che l'estensione a certe categorie di superstiti dell'atto risarcitorio e di solidarietà nazionale costituito dalla pensione diretta debba essere limitata a coloro che non dispongono di un reddito superiore a una certa soglia, possibilmente non ridotta al concetto di nullatenenza. É significativa in proposito l'estraneità di questo concetto alle norme sulla riversibilità delle pensioni di guerra.

 

Pertanto la determinazione del limite di reddito, in rapporto al limite previsto per la riversibilità della pensione ordinaria, rientra nella discrezionalità del legislatore, onde una disuguaglianza di disciplina non può subire censure di irrazionalità fino a quando non assuma proporzioni manifesta mente eccessive. La denunciata disparità non può dirsi eccedente questo limite.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.85, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei Conti con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/11/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Luigi MENGONI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 18/11/93.