SENTENZA N. 186
ANNO 1985
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 85, secondo comma, 86, primo comma, e 87, secondo comma, del d.P.R. 27 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) promossi con numero tre ordinanze emesse rispettivamente il 5 giugno 1981, il 7 giugno 1982 e il 31 gennaio 1983 dalla Corte dei Conti sui ricorsi proposti da Di Stefano Maria, Pilla Nicolina e Mormina Marianna e il Ministero della Pubblica Istruzione iscritte ai nn. 195, 217 e 648 del registro ordinanze 1983 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 225, 246 dell'anno 1983 e n. 18 dell'anno 1984.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 19 marzo 1985 il Giudice relatore Francesco Greco;
udito l'Avvocato dello Stato Carlo Solimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1) Di Stefano Maria, vedova Aloisi, ricorreva alla Corte dei Conti avverso il provvedimento del 22 novembre 1978 con cui il Ministero delle Finanze aveva revocato, con decorrenza 1 gennaio 1976, la pensione di riversibilità, concessale con decorrenza 17 dicembre 1969 quale madre di Aloisi Iolanda, deceduta il 16 dicembre 1969, già aiuto procuratore delle imposte di registro, in quanto titolare di un reddito superiore a lire 960.000, per cumulo con la pensione indiretta, attribuitale a seguito della morte del marito, ex dipendente dello Stato.
La Corte dei Conti, con ordinanza 5 giugno 1981 (R.O. n. 195/83), sollevava eccezione di incostituzionalità dell'art. 85, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, per violazione degli artt. 3 e 38 Cost., per disparità di trattamento rispetto all'avente diritto alla riversibilità della pensione di guerra.
Il giudice a quo ha osservato che il legislatore, precedentemente, aveva ritenuto la stessa condizione per la sussistenza dello stato di bisogno, sia per la pensione ordinaria indiretta (art. 12 L. n. 46 del 1958), sia per la pensione di guerra di riversibilità (artt. 71 e 73, legge 10 agosto 1950, n. 548), fissandola in un reddito non superiore a lire 240.000. Successivamente, senza ragionevole motivo, aveva elevato il reddito presuntivo alla ricorrenza della condizione di nullatenenza solo con riferimento alla pensione indiretta di guerra, lasciandolo immutato per la pensione ordinaria indiretta.
Questa Corte, con sentenza n. 133 del 12 luglio 1972, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 12, terzo comma, della legge 15 febbraio 1958, n. 46 (recante nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato) proprio per la disparità di trattamento che si verificava tra il pensionato indiretto ordinario (fattispecie di orfano maggiorenne per il quale, per la nullatenenza, era richiesta l'esistenza di un reddito non superiore a lire 240.000) ed il pensionato di riversibilità di guerra per il quale, invece, si teneva conto dell'ammontare complessivo del reddito, ai fini dell'imposta complementare.
Successivamente, però, con la sostituzione all'imposta complementare dell'IRPEF (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 e successive modificazioni, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, all'art. 85, secondo comma), ha considerato nullatenente il possessore di un reddito, ai fini dell'IRPEF, di lire 960.000 annue, al netto delle detrazioni di imposta. Invece, l'art. 70 del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (T.U. sulle pensioni di guerra), per la pensione di guerra di riversibilità, ha stabilito una presunzione di nullatenenza a favore dei titolari di reddito annuo complessivo di lire 2.400.000. al lordo degli oneri deducibili di cui all'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 e successive modificazioni, dando anche facoltà al Ministro del Tesoro di rivedere tale limite in relazione alle modificazioni che sarebbero intervenute in materia di tassazione del reddito delle persone fisiche. E, fino all'epoca dell'ordinanza de qua, detto limite é stato elevato a lire 3.000.000.
Pertanto, secondo il giudice a quo, l'art. 85, secondo comma, d.P.R. n. 1092 del 1973 violava:
a) l'art. 3 della Costituzione perché aveva ripristinato il sistema del duplice apprezzamento per le pensioni ordinarie e per le pensioni di guerra, ancorando il limite per la sussistenza dello stato di bisogno, per le une a lire 960.000 e per le altre a lire 2.400.000; e, per giunta, in misura fissa per le une ed in misura variabile per le altre;
b) l'art. 38 Cost. in quanto, per effetto dei vigenti meccanismi di indicizzazione (legge n. 177 del 1976) il detto limite di lire 960.000 può essere superato, sicché la pensione ordinaria indiretta é soggetta a revoca ed é di fatto revocata per cumulo con altra pensione già in godimento dell'interessato, nonostante che si rimanga al di sotto del limite dell'imposizione IRPEF e nonostante che la pensione diventi insufficiente a soddisfare i bisogni elementari di vita del pensionato ed il soggetto inabile al lavoro rimanga privo di quelle provvidenze assistenziali preordinate al soddisfacimento dei suoi bisogni.
II) La stessa Corte dei Conti, con successiva ordinanza del 7 giugno 1982 (R.O. n. 217/83) ha sollevato identica questione di costituzionalità nel giudizio promosso da Pilla Nicolina, quale madre del dr. Giuseppe De Vita, segretario generale della Camera di commercio di Campobasso, deceduto il 15 dicembre 1972, a seguito della revoca della pensione provvisoria di riversibilità, concessale con decreto 9 luglio 1973, per mancanza del requisito di nullatenenza.
Ha rilevato che il limite per le pensioni ordinarie indirette é rimasto fermo a lire 960.000, mentre, per le pensioni di guerra di riversibilità, é aumentato fino a lire 5.200.000 per effetto dell'art. 12 del d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 843.
III) Con ordinanza del 31 gennaio 1983 (R.O. n. 648/83), nel giudizio proposto da Mormina Marianna, orfana maggiorenne di dipendente statale deceduto il 30 dicembre 1947, a seguito di rigetto della domanda di pensione di riversibilità del 22 ottobre 1977, ha sollevato questione di incostituzionalità, oltre che dell'art. 85, secondo comma, anche degli artt. 86, primo comma, e 87, secondo comma, dello stesso d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092.
Oltre alle considerazioni sostanzialmente identiche a quelle delle precedenti ordinanze ed innanzi riferite, ha rilevato che il denunciato art. 85 del d.P.R. n. 1092 va interpretato nel senso che l'importo di lire 960.000 si riferisce al reddito complessivo, al netto delle detrazioni previste nell'art. 10 del d.P.R. n. 597 del 1973, sul quale si applicano le aliquote crescenti per scaglioni di reddito (art. 11, d.P.R. n. 597 cit.) e che su tale importo non sono consentite le detrazioni soggettive di cui agli artt. 15 e 16 dello stesso d.P.R. in quanto, al tempo in cui il menzionato limite é stato posto, le detrazioni erano già operanti nella loro articolazione ed estensione (quota esente, coniugi e figli a carico, spese di produzione del reddito ecc. ...).
Costituiva, quindi, una prima ragione della disparità di trattamento il fatto che per le pensioni di guerra il limite é stato determinato in una somma al lordo delle deduzioni, di cui al citato art. 10, d.P.R. 597/73.
Il giudice a quo, però, ha avvertito che, nonostante il limite fissato sia di entità superiore alle lire 960.000, il trattamento per il pensionato di guerra di riversibilità può essere deteriore in quanto quest'ultimo, per effetto della deduzione degli oneri, può divenire titolare di un reddito inferiore a lire 960.000.
Infine, lo stesso giudice a quo ha indicato, come altre irragionevoli sperequazioni e diseguaglianze, la diversità del momento di rilevanza dei detti requisiti per l'una e per l'altra specie di pensione.
Infatti, mentre per coloro che pretendono la pensione civile e militare ordinaria lo stato di nullatenenza deve esistere al momento della morte del dante causa (artt. 86, primo comma, e 87, secondo comma, d.P.R. n. 1092 del 1973), per coloro che chiedono la pensione di guerra, la nullatenenza può verificarsi in qualsiasi momento successivo, a distanza anche di anni dalla morte del dante causa ed in presenza così di un'evidente interruzione del nesso di causalità tra l'indigenza ed il suo fatto causativo.
Le ordinanze, tutte regolarmente comunicate e notificate, sono state pubblicate rispettivamente nella Gazzetta Ufficiale del 17 agosto 1983, n. 225, 7 settembre 1983, n. 246 e 18 gennaio 1984, n. 18.
IV) Nei giudizi promossi con le ordinanze 5 giugno 1981 e 7 giugno 1982 (nn. 195/83 e 217/83) ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato. Con due atti difensivi di identico contenuto, ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità della questione relativa all'art. 85, secondo comma, d.P.R. n. 1092 del 1973, deducendo che la normativa applicabile ai fini della determinazione delle condizioni soggettive per il conseguimento del diritto al trattamento di riversibilità é quella vigente al momento della morte del dipendente o del pensionato e che i mutamenti successivi di essa non possono far acquistare il diritto originariamente insussistente, ma possono solamente determinare la perdita di quello legittimamente acquisito precedentemente; che, pertanto, nella fattispecie di cui alle ricordate ordinanze, si doveva far riferimento alle norme vigenti alle date del gennaio 1976 e del gennaio 1973 per determinare rispettivamente la sussistenza del mutamento delle condizioni economiche che a suo tempo avevano consentito l'erogazione del trattamento indiretto nel primo caso e, nell'altro, l'accertamento delle condizioni stesse.
Sicché, la disciplina delle pensioni di guerra da assumere a parametro non era quella di cui al d.P.R. n. 915/78 ma quella della legge 18 marzo 1968, n. 313 che, per l'acquisto del diritto al trattamento pensionistico da parte dei genitori, collaterali ed assimilati, richiedeva la sussistenza di un reddito non assoggettabile all'imposta complementare (artt. 20 e 67), da ragguagliare, quindi, all'IRPEF, secondo il disposto dell'art. 88 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. Si trattava di condizioni del tutto omogenee a quelle richieste, ai medesimi fini, dall'art. 85, T.U. del 1973 sulle pensioni ordinarie.
Nel merito, l'Avvocatura Generale ha rilevato l’insussistenza della lamentata disparità di trattamento in quanto il regime differenziato trova giustificazione nel carattere diverso delle due pensioni: l'una, quella di guerra, risarcitoria ed avente causa dalla guerra, l'altra, remunerativa ed avente causa da un rapporto di lavoro o di impiego, tanto più che in questo ultimo caso, lo stato di bisogno degli aventi diritto normalmente nasce dalla morte del lavoratore appartenente alla famiglia.
Onde non sussisterebbe la necessità di porre, come requisito comune per le due categorie, una uniforme condizione economica ben potendo il legislatore, nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali, operare graduatorie.
Inoltre, a giudizio della stessa Avvocatura dello Stato, la denunciata disparità di trattamento sarebbe più apparente che reale in quanto i minimi di reddito posti a confronto sarebbero costituiti, da un lato (cioé per le pensioni ordinarie), da una somma al netto degli oneri deducibili; dall'altro, per le pensioni di guerra, da una somma al lordo degli stessi, di guisa che il maggiore importo della seconda rispetto alla prima trova giustificazione proprio in tale circostanza.
Per quanto riguarda la dedotta violazione dell'art. 38 Cost., ha rilevato che il precetto costituzionale non trova applicazione per le pensioni di riversibilità in quanto esse, per la funzione che le caratterizza, non costituiscono quelle provvidenze dirette a garantire al lavoratore adeguati mezzi di soddisfacimento delle sue esigenze di vita e, per ogni cittadino, il mantenimento e l'assistenza sociale.
Considerato in diritto
1. - I tre giudizi propongono questioni in parte identiche ed in parte connesse, per cui possono essere riuniti per essere decisi con una sola sentenza.
2. - Delle questioni proposte é opportuno che sia esaminata per prima quella relativa agli artt. 86, primo comma, e 87, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, sollevata con l'ordinanza 31 gennaio 1983 (R.O. n. 648/83).
La Corte dei Conti ha rilevato che i detti articoli, prevedendo che il requisito di nullatenenza, richiesto per il conseguimento della pensione ordinaria di riversibilità, deve sussistere al momento della morte del lavoratore o del pensionato, violano l'art. 3 della Costituzione in quanto si verifica disparità di trattamento rispetto alla riversibilità delle pensioni di guerra per le quali il detto requisito può sorgere in qualsiasi momento, successivo alla morte del dante causa ed a distanza anche di anni, sicché può prodursi anche una evidente interruzione del nesso di causalità tra il presunto fatto determinativo dell'indigenza e l'indigenza stessa. La stessa Corte dei Conti afferma che, in base ai rispettivi ordinamenti, le pensioni di riversibilità, ordinaria e di guerra, hanno assoluta identità di causa e ragione di essere in quanto predisposte alla realizzazione del fine di assistere soggetti privi di sostegno materiale e versanti in istato di bisogno.
La questione é manifestamente infondata.
Questa Corte ha già deciso (sent. nn. 7 e 8 del 1980; sent. n. 142 del 1984), e non ha motivo di mutare la propria giurisprudenza, che le norme de quibus sono costituzionalmente legittime in quanto non sussiste irrazionalità della disciplina della pensione ordinaria di riversibilità rispetto alla diversa disciplina della pensione di riversibilità di guerra e, quindi, violazione dell'art. 3 Cost., trattandosi di due istituti di diversa natura.
Invero, la pensione di riversibilità ordinaria ha natura retributiva e, in aderenza ad essa, funzione assistenziale. Essa é diretta ad assicurare al superstite la continuità del sostentamento che già gravava sul defunto onde correttamente é richiesto un nesso causale tra lo stato di bisogno dell'avente diritto (e che essa é diretta ad ovviare) e l'evento morte del dante causa. Essendo tale la ragione della normativa, il momento in cui devono sussistere le condizioni per ottenere il beneficio é quello in cui avviene la perdita del sostegno che il dante causa assicurava.
La pensione di guerra, invece, ha natura risarcitoria; il ché comporta valutazioni legislative peculiari che possono non trovare riscontro nella disciplina delle pensioni ordinarie. La riversibilità di essa, poi, risponde ad esigenze di ordine naturale ed etico; agli aventi causa del pensionato di guerra deceduto é fatto un trattamento di particolare favore, sicché, correttamente, non si ha riguardo al momento della insorgenza dello stato di bisogno.
Non é irrazionale ed ingiustificata, quindi, la diversa disciplina legislativa che tiene conto di queste differenziazioni.
3. - La Corte dei Conti, con tutte e tre le ordinanze, denuncia poi l'illegittimità costituzionale dell'art. 85, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento della pensione ordinaria di riversibilità rispetto alla pensione di riversibilità di guerra, per quanto riguarda il requisito di nullatenenza.
All'uopo rileva che, in un primo momento, per entrambe le pensioni si richiedeva un reddito, ai fini della imposta complementare, inferiore a lire 240.000; successivamente, per le pensioni di guerra, l'art. 9 della legge n. 318 del 1967 richiedeva che il reddito esistente non fosse assoggettabile all'imposta complementare; la Corte Costituzionale, poi, con la sentenza n. 133 del 1972, ha eliminato la disparità di trattamento stabilendo che anche per le pensioni ordinarie di riversibilità si doveva ritenere prevista la non assoggettabilità del reddito all'imposta complementare.
A seguito della soppressione della complementare e dell'istituzione dell'IRPEF, il limite reddituale era stato fissato, per entrambe le pensioni, in lire 960.000, al netto delle deduzioni e delle detrazioni di cui agli artt. 10, 15 e 16 del d.P.R. n. 597 del 1973.
Ma poi, per effetto del d.P.R. n. 915 del 1978 (art. 70), per le pensioni di guerra di riversibilità, detto limite era stato elevato a lire 2.400.000 lorde, sempre ai fini dell'IRPEF, con facoltà di aumento da parte del Ministero del Tesoro che, in effetti, l'ha aumentato, per il 1980, a lire 3.200.000 lorde e, per il 1981, a lire 5.200.000 sempre lorde.
Nell'ordinanza del 31 gennaio 1983, la Corte dei Conti ha rilevato anche che, nelle suddette situazioni, per la diversità del limite reddituale, al netto per le pensioni di riversibilità ordinarie ed al lordo per le pensioni di riversibilità di guerra, per queste ultime poteva accadere che il trattamento fosse meno favorevole in quanto, a seguito delle deduzioni e delle detrazioni, esso, al netto, poteva scendere al di sotto delle lire 960.000.
La questione non é fondata.
La Corte rileva anzitutto che solo due delle tre fattispecie, e cioé quelle di cui alle ordinanze n. 217/83 e 648/83, riguardano la mancata concessione della pensione di riversibilità per carenza del requisito di nullatenenza; la terza fattispecie, quella cioé di cui all'ordinanza n. 195/83, riguarda, invece, la revoca, disposta ai sensi dell'art. 86, secondo comma, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (non impugnato dinanzi a questa Corte), della pensione di riversibilità goduta dalla pensionata per la morte della figlia, per effetto del cumulo con altra pensione di riversibilità concessa alla stessa pensionata per la morte del marito. Essendosi, per effetto del detto cumulo, superato il tetto delle lire 960.000, si é determinata la perdita del requisito della nullatenenza.
Ora, i due momenti che hanno rilievo per la sussistenza del requisito di nullatenenza e, quindi, per l’eventuale declaratoria d’illegittimità di cui trattasi, sono, rispettivamente, per le prime due fattispecie quello della morte del dante causa, per la terza fattispecie quello della revoca della pensione goduta.
I primi due eventi sono accaduti rispettivamente il 13 dicembre 1972 e il 30 dicembre 1947; il terzo, invece, l'1 gennaio 1976.
Tutti e tre i detti eventi si sono quindi verificati in epoca in cui il trattamento della pensione ordinaria di riversibilità era identico a quello della pensione di riversibilità di guerra, essendosi la diversità cominciata a verificare per effetto del successivo d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915.
Conseguentemente non sussiste la denunciata violazione dell'invocato precetto costituzionale.
4. - La Corte dei Conti, con le ordinanze 5 giugno 1981 e 7 giugno 1982, ha denunciato anche che l'art. 85, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973 viola l'art. 38 Cost., rilevando che la prevista revoca della pensione di riversibilità ordinaria per superamento del limite di lire 960.000 danneggia un soggetto inabile al lavoro, senza mezzi di sussistenza, il quale, conseguentemente, rimane privato delle provvidenze economiche che sono preordinate al soddisfacimento di fini assistenziali.
La questione é manifestamente infondata.
Questa Corte ha già ritenuto (sent. 15 febbraio 1980, n. 14) che la pensione di riversibilità ha carattere e contenuto diversi dai mezzi assistenziali e previdenziali previsti dall'art. 38, primo comma, Cost. il quale non impone al legislatore di attribuire il trattamento pensionistico della specie di cui trattasi anche nelle ipotesi di inabilità al lavoro o di indigenza, per le quali, invece, con appositi mezzi, da organi o istituti predisposti a tal fine dallo Stato, é garantita l'assistenza al cittadino in caso di inabilità o di indigenza, di infortunio sul lavoro o di invalidità, di malattia o di vecchiaia o di disoccupazione involontaria.
In altri termini, dalla norma costituzionale non discende un principio di ordine generale in materia di previdenza ed assistenza operante per ogni forma di trattamento pensionistico.
Né, in base al secondo comma dello stesso art. 38 Cost., sussiste un diritto garantito dalla Costituzione alla famiglia del lavoratore, ma solo un diritto assistenziale del lavoratore mentre la tutela del nucleo familiare é affidata alla legge ordinaria.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 86, primo comma, e 87, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dalla Corte dei Conti con ordinanza 31 gennaio 1983;
b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 85, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dalla Corte dei Conti con le tre ordinanze in epigrafe;
c) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 85, secondo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, in riferimento all'art. 38 della Costituzione, sollevata dalla Corte dei Conti con ordinanze 5 giugno 1981 e 7 giugno 1982.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 giugno 1985.
Guglielmo ROEHRSSEN - Francesco GRECO
Depositata in cancelleria il 28 giugno 1985.