Sentenza n. 382/98

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SENTENZA N. 382

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Veneto, notificato il 21 aprile 1997 e depositato in Cancelleria il 29 successivo, per conflitto di attribuzione sollevato a seguito dell'invito a presentarsi, indirizzato - in data 26 novembre 1996 - dalla Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Venezia al Consigliere della Regione Veneto Ivo Rossi, per essere interrogato come persona sottoposta ad indagini (ex artt. 370, 375 e 549 del codice di procedura penale), in ordine al "reato di cui all'art. 361 del codice penale perchè nella sua qualità di pubblico ufficiale ... ometteva di denunciare all'autorità giudiziaria il reato di cui all'art. 727 del codice penale presumibilmente commesso dall'Associazione tutela animali di Galzignano", ed iscritto al n. 26 del registro conflitti 1997.

Udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1998 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi gli avvocati Luigi Manzi e Mario Bertolissi per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

  1.- Con ricorso notificato il 21 aprile 1997 (R. Confl. n. 26 del 1997), la Regione Veneto ha impugnato, "per regolamento di competenza", l'atto indirizzato, in data 26 novembre 1996, dalla Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Venezia ad un consigliere regionale, onde invitarlo a presentarsi per l'interrogatorio, quale persona sottoposta ad indagini (ex artt. 370, 375 e 549 cod. proc. pen.) in ordine a fatti rientranti nell'art. 361 cod. pen., per aver omesso, nella qualità di pubblico ufficiale, di denunciare all'Autorità giudiziaria il reato di cui all'art. 727 cod. pen. (maltrattamento di animali), presumibilmente commesso dall'ATA (Associazione tutela animali) di Galzignano.

  2.- Premette la Regione Veneto che, in data 27 febbraio 1996, il predetto consigliere aveva presentato un'interpellanza alla Giunta, chiedendo di rendere note le iniziative prese al fine di assicurare l'applicazione della legge regionale n. 60 del 1993, concernente "Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo", atteso che, secondo quanto riportato dalla stampa, si erano verificate carenze nel servizio di controllo sanitario sull'attività di raccolta di cani randagi, effettuata dall'Associazione tutela animali di Galzignano.

  Secondo la Regione, non vi sarebbe dubbio che, considerata l'articolazione temporale degli eventi come pure la loro relazione causale, detto invito a comparire sia da porre in diretta connessione con la predetta interpellanza, in quanto proprio il contenuto della stessa rivela la conoscenza di una probabile notitia criminis, la cui omessa denuncia ha determinato l'avvio delle indagini per il reato di cui all'art. 361 cod. pen. Di qui la lamentata lesione delle prerogative di libertà di valutazione e di decisione spettanti al consigliere regionale, con violazione dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione, e, di riflesso, anche degli artt. 121 e 123, poichè la compressione della libertà di opinione e di voto si rifletterebbe negativamente sull'intera organizzazione dell'ente e sull'esercizio delle relative funzioni.

  Con riguardo alla portata delle guarentigie fissate dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione, la ricorrente rammenta che la giurisprudenza costituzionale, dopo aver affermato che le attribuzioni dei consigli regionali si inquadrano nell'esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite, ha, altresì, ribadito che l'esonero da responsabilità dei componenti dell'organo in questione va visto come funzionale alla tutela delle più elevate funzioni di rappresentanza politica, in primis quella legislativa, volendosi garantire da qualsiasi interferenza la libera formazione della volontà politica.

  Precisato che nell'ambito dell'immunità, di cui alla predetta disposizione, vanno ricomprese, oltre alla funzione legislativa, anche quelle di indirizzo politico e di controllo, nonchè di autorganizzazione interna, il ricorso, nel ripercorrere l'evoluzione della giurisprudenza costituzionale, sostiene che l'immunità dei consiglieri coprirebbe senz'altro "le questioni poste attraverso interrogazioni, interpellanze, mozioni, risoluzioni ed altri analoghi istituti, quando questi ineriscano - come nel caso all'esame - all'esercizio di competenze consiliari".

  3.- Quanto alla vicenda che ha dato luogo al conflitto, ad avviso della ricorrente l'interpellanza presentata dal consigliere regionale indagato configurerebbe uno dei modi in cui si estrinseca, in forma non legislativa, la funzione di indirizzo politico e di controllo del Consiglio sulla Giunta regionale, dovendosi, da un lato, escludere che si verta nell'ambito di "fatto materiale", non coperto dalla clausola costituzionale di cui all'art. 122, quarto comma, della Costituzione, e, dall'altro, considerare che il consigliere regionale si é attivato nell'esercizio di una competenza propria.

  Rilevato che, diversamente ragionando, la funzione di indirizzo politico e di controllo del consigliere regionale (e, per suo tramite, del Consiglio) sulla Giunta rimarrebbe frustrata, se non altro, per il timore di incorrere in omissioni rilevanti sotto il profilo penale, la ricorrente chiede che la Corte dichiari che non spetta allo Stato (e per esso alla Procura presso la Pretura circondariale di Venezia) emettere atti di invito a presentarsi, finalizzati all'accertamento di responsabilità penale per fatti ricompresi nell'area di operatività dell'art. 122, quarto comma, e, suo tramite, degli artt. 121 e 123 della Costituzione e che, per l'effetto, annulli l'atto di invito indicato in epigrafe.

  4.- Con memoria difensiva, depositata nell’imminenza dell’udienza, la Regione Veneto ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

  Nel rilevare che, probabilmente, nel caso di specie, l'Autorità giudiziaria ha omesso di inquadrare esattamente l'art. 357 cod. pen. nell'ambito del sistema costituzionale, la ricorrente prospetta l'eventualità che, anche in ragione dell'enorme disordine normativo, il consigliere regionale, venendo a conoscenza di continuo di fattispecie penalmente rilevanti, di fatto "sia investito di addebiti che lo privano di significative potenzialità in ordine all'efficacia della funzione di controllo".

  Osservato, peraltro, che, nella fattispecie, la tutela apprestata al consigliere regionale dall’art. 122, quarto comma, della Costituzione non collide con alcun altro valore costituzionalmente protetto, in posizione antagonista, la difesa della Regione deduce che, nel caso in questione, il consigliere regionale ha esercitato un’attività di controllo politico, che rimane estranea - in quanto tale - alla nozione di pubblico ufficiale, fissata dall’art. 357 cod. pen.

Considerato in diritto

  1.- La Regione Veneto ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, a seguito dell'invito a presentarsi, datato 26 novembre 1996, rivolto dalla Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Venezia ad un consigliere regionale, per essere interrogato, quale persona sottoposta ad indagini in ordine a fatti rientranti nell'art. 361 cod. pen., in quanto, nella sua qualità di pubblico ufficiale, avrebbe omesso di denunciare all'Autorità giudiziaria il reato di cui all'art. 727 del codice penale (maltrattamento di animali), presumibilmente commesso dall'ATA (Associazione tutela animali) di Galzignano.

  Secondo la ricorrente detto procedimento va ricollegato, sul piano dell'articolazione temporale degli eventi come pure su quello della loro connessione, all'interpellanza n. 106 del 27 febbraio 1996, con la quale il consigliere indagato, in relazione ad alcune notizie di stampa, secondo le quali la competente USL non avrebbe provveduto ad effettuare i previsti controlli sanitari, aveva chiesto alla Giunta regionale di rendere note le iniziative prese al fine di assicurare l'applicazione della legge regionale n. 60 del 1993, concernente "Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo". Presentando l'interpellanza, il predetto consigliere avrebbe dimostrato di essere a conoscenza di una probabile notitia criminis, la cui omessa denuncia avrebbe determinato l'avvio dell'indagine giudiziaria, della quale si duole la Regione, ritenendola invasiva delle prerogative garantite ai componenti del Consiglio regionale dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione, nonchè, in via mediata, delle attribuzioni in materia di organizzazione e di funzioni degli organi, riconosciute alla Regione dagli artt. 121 e 123 della Costituzione stessa.

  2.- Il ricorso é fondato.

  3.- Dispone l'art. 122, quarto comma, della Costituzione che i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.

Come rammenta anche la Regione Veneto, la giurisprudenza costituzionale, nel delineare l'ambito delle guarentigie di cui godono i consiglieri stessi, ai sensi della menzionata disposizione, ha da tempo rilevato (sentenza n. 81 del 1975) che le loro attribuzioni si inquadrano nell'esplicazione di autonomie che, benchè non attinenti a profili di sovranità, sono da considerare costituzionalmente garantite. In argomento é stato, inoltre, precisato (sentenze nn. 69 e 70 del 1985) che l'esonero da responsabilità dei componenti dell'organo va visto come preordinato alla tutela delle funzioni di rappresentanza politica, in primis quella legislativa, il cui esercizio si é ritenuto di sottrarre al controllo giudiziario, al fine di garantire da qualsiasi interferenza la libera formazione della volontà politica. In relazione a tali principi la Corte ha considerato ricomprese nel cennato ambito, come risulta delimitato dalla Costituzione e dalle leggi statali, anche le funzioni di indirizzo e quelle che, comunque, si traducono in comportamenti preordinati al controllo politico (sentenze nn. 209 del 1994 e 29 del 1966), fra i quali senza dubbio rientrano anche le interrogazioni e le interpellanze, quali atti consiliari tipici, strumentali - per l'appunto - al sindacato esercitato dal Consiglio nei confronti della Giunta (sentenza n. 274 del 1995).

4.- Per quanto più specificamente attiene all'interferenza posta in essere, nel caso concreto, dall'iniziativa dell'Autorità giudiziaria in ordine all'esercizio delle funzioni consiliari, vero é che i fatti oggetto di indagine non riguardano strettamente i voti dati e le opinioni espresse, bensì elementi di conoscenza di fatti penalmente rilevanti, che il componente dell'organo regionale, secondo l'Autorità procedente, avrebbe avuto l'obbligo di denunciare. Tuttavia é da ritenere che, se alla sfera di garanzia ex art. 122 restano estranei i comportamenti del consigliere che non possono considerarsi espressione delle attribuzioni proprie della carica (sentenza n. 432 del 1994), sarebbe, peraltro, riduttivo ritenere che la funzione di rappresentanza politica, garantita dalla citata disposizione, si risolva negli atti tipici. In tal senso depone l'orientamento espresso, recentemente, da questa Corte in tema di immunità parlamentare, evidenziando il nesso funzionale che, in presenza di attività oggetto di indagine penale, rende operante la prerogativa dell'art. 68 della Costituzione (sentenza n. 289 del 1998). Tale orientamento, nonostante la diversa posizione dei componenti delle Camere rispetto ai componenti dei consigli regionali, appare estensibile al caso qui in esame, a fronte dell'analogo tenore, per entrambe le categorie, della disposizione sull'irresponsabilità per le opinioni espresse ed i voti dati nell'esercizio delle funzioni. Il che porta conclusivamente a ritenere che, nell'ambito dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione, rientrino non solo le attività nelle quali si estrinseca il diritto di interrogazione o di interpellanza, ma, altresì, gli elementi conoscitivi utilizzati ai fini dell'esercizio di quel diritto e che si pongono in funzionale connessione con il medesimo.

L'interpellanza, infatti, non é che una domanda, rivolta all'Esecutivo in sede di sindacato ispettivo- politico, per conoscere i motivi o gli intendimenti della condotta del medesimo, sulla scorta anche di circostanze delle quali il rappresentante venga a conoscenza, e per trarne eventuali conseguenze politiche.

E', perciò, palese che la Procura della Repubblica presso la Pretura di Venezia con la sua iniziativa - pur facendo riferimento, formalmente, non già all'interpellanza presentata, ma ad elementi di conoscenza ad essa preesistenti e da essa risultanti (e senza che sia necessario affrontare qui il problema della qualificazione del consigliere regionale come pubblico ufficiale, quando acquisisca notizie di reato al di fuori dell'esercizio delle sue funzioni pubbliche) - ha in sostanza sottoposto a sindacato, indirettamente, proprio il contenuto dell'atto di esercizio, da parte del consigliere, della sua funzione di controllo politico.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara che non spetta allo Stato, e per esso alla Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Venezia, di emettere l'atto di invito a presentarsi, di cui in epigrafe, indirizzato al consigliere regionale, indagato per il reato di cui all'art. 361 del codice penale, e, conseguentemente, annulla detto atto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 novembre 1998.

Presidente: Giuliano VASSALLI

Redattore: Massimo VARI

Depositata in cancelleria il 27 novembre 1998.