SENTENZA N.333
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna, notificato il 4 marzo 1997, depositato in Cancelleria il 13 successivo per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Direttore generale dell’Ufficio centrale per i beni culturali ambientali e paesaggistici del Ministero per i beni culturali e ambientali, emesso il 18 dicembre 1996 recante "Decentramento dei poteri di tutela ambientale e paesaggistica" ed iscritto al n. 10 del registro conflitti 1997.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 2 giugno 1998 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Fabio Dani per la Regione Emilia-Romagna e l’Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso notificato in data 4 marzo 1997 e depositato in data 13 marzo 1997, la Regione Emilia-Romagna ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in ordine al decreto del Direttore generale dell’Ufficio centrale per i beni ambientali e paesaggistici del Ministero per i beni culturali e ambientali 18 dicembre 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 gennaio 1997, n. 3, recante "Decentramento dei poteri di tutela ambientale e paesaggistica" con il quale é stato delegato ai soprintendenti territorialmente competenti, sia pure limitatamente agli interventi interessanti il territorio di un unico Comune, l’esercizio dei poteri di autorizzazione in via surrogatoria e di annullamento delle autorizzazioni rilasciate dalle Regioni, nell’ambito del rapporto di delega dallo Stato, ai sensi dell’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497.
Preliminarmente, la ricorrente afferma la propria legittimazione a sollevare il conflitto - a prescindere dal carattere, traslativo o libero, della delega concessa alle Regioni nella materia di cui si tratta - fondata sull’interesse ad esercitare le funzioni delegate nel rispetto del quadro previsto dalla Costituzione per il rapporto di delega, interesse il cui fondamento costituzionale non potrebbe essere negato.
Nel merito, si lamenta nel ricorso che la delega ai soprintendenti territorialmente competenti dell’esercizio dei poteri ministeriali di autorizzazione in via surrogatoria e di annullamento delle autorizzazioni rilasciate dalle Regioni assoggetterebbe l’azione di queste ultime al controllo di organi di livello territoriale addirittura inferiore a quello regionale, stravolgendo il principio costituzionale, desumibile dalla Costituzione (artt. 118 e 121), alla stregua del quale i poteri statali in ordine alle attività delegate sarebbero necessariamente di competenza del Governo centrale, e non potrebbero essere tramutati in funzioni di organi periferici locali.
Tale "statuto costituzionale" del rapporto di delega emergerebbe, in particolare, dall’art. 121, ultimo comma, della Costituzione, secondo il quale il Presidente della Giunta regionale dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del "Governo centrale", trovando, poi, conferma nella legislazione attuativa del dettato costituzionale. Così, già l’art. 2 della legge n. 382 del 1975 prevedeva che, in caso di persistente inattività delle Regioni nell’esercizio di funzioni delegate, qualora si trattasse di atti da assumersi entro termini necessari, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, disponesse il compimento degli atti relativi in sostituzione della Regione. Parimenti, la legge n. 400 del 1988 (art. 2, comma 3, lettera e)), da una parte ribadisce la competenza governativa per le direttive da impartire tramite il Commissario del Governo per l’esercizio delle funzioni amministrative delegate alle Regioni; dall’altra, dispone che lo stesso Commissario segnala al Governo la mancata adozione, da parte delle Regioni, degli atti delegati, e provvede al compimento dei relativi atti sostitutivi in esecuzione delle deliberazioni del Consiglio dei ministri.
In ossequio al predetto principio costituzionale, l’art. 82, nono comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 dispone che le Regioni diano comunicazione delle autorizzazioni rilasciate al Ministro per i beni culturali e ambientali, e che il Ministro possa annullare con provvedimento motivato tali autorizzazioni, o provvedere in via sostitutiva in caso di inerzia delle Regioni. In tal caso, le regole sui rapporti generali inerenti alle deleghe sono adattate alla situazione specifica, prevedendosi la competenza non del Governo nella sua collegialità, ma del Ministro competente, ma resta salvo il principio sopra enunciato, secondo il quale le relazioni tra Stato delegante e Regioni delegate sono rapporti tra queste e il centro governativo. Fra l’altro, nel caso in esame, la violazione di tale principio non avverrebbe neppure ad opera del Ministro, ma addirittura del direttore generale dell’Ufficio centrale per i beni ambientali e paesaggistici, privo di un potere costituzionalmente riconosciuto.
Inoltre, la delega ai soprintendenti dell’esercizio dei poteri in questione violerebbe il principio di buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione, in quanto il passaggio dei poteri statali dall’organo centrale a quello periferico comporterebbe il venire meno di quella funzione di coordinamento e di unificazione dei comportamenti degli enti delegati, che costituisce una delle fondamentali ragioni della previsione del potere di cui si tratta.
Parimenti, risulterebbe violato il principio di equilibrata concorrenza e di cooperazione delle competenze statali e di quelle regionali in materia di tutela del paesaggio, sancito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 302 del 1988, in quanto l’attribuzione di un potere di sindacato nei confronti delle Regioni ad un organo di livello territoriale inferiore comporterebbe un effetto di delegittimazione delle stesse, contraddicendo irrazionalmente la stessa delega di funzioni.
Infine, la ricorrente denuncia la violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, essendo stato il decreto in questione emanato in assenza di una previa valutazione delle posizioni delle Regioni, titolari delle potestà delegate in materia.
2.- Nel giudizio si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha preliminarmente eccepito la inammissibilità del conflitto, alla stregua del rilievo che il provvedimento impugnato attiene ad una materia, in ordine alla quale la Regione é titolare di competenze soltanto delegate, con permanenza in capo allo Stato di poteri di intervento diretto a tutela del paesaggio.
Inoltre, rileva l’Avvocatura, il decreto di cui si tratta ha finalità e contenuti meramente organizzatori dell’esercizio di competenze statali, non presentando, quindi, alcuna diretta incidenza nella sfera della Regione. Nè varrebbe il rilievo della ricorrente secondo il quale, ai sensi dell’art. 121, ultimo comma, della Costituzione, sarebbe solo il Governo centrale a poter impartire istruzioni al Presidente della Regione per l’esercizio delle funzioni delegate. Secondo l’Avvocatura, infatti, il decreto impugnato non riguarderebbe funzioni riconducibili al predetto disposto costituzionale.
Nel merito, il conflitto sarebbe infondato, vertendosi in materia di poteri decentrati, specificamente preordinati a realizzare la garanzia estrema del valore estetico-culturale, sotto la responsabilità ultima dello Stato, cui, pertanto, spetterebbe di regolare ed organizzare l’esercizio nel rispetto delle norme che disciplinano il funzionamento delle amministrazioni statali.
3.- Nell’imminenza della data fissata per l’udienza pubblica, la Regione Emilia-Romagna ha depositato una memoria nella quale insiste per l’accoglimento del ricorso, soffermandosi ancora, in particolare, sulla tesi secondo la quale poteri di amministrazione attiva dello Stato, che riguardino le questioni delegate alle Regioni, dovrebbero essere esercitati a livello di governo centrale. Nè, in contrario, potrebbe valere, secondo la ricorrente, il richiamo all’art. 125 della Costituzione, ai sensi del quale il controllo di legittimità sugli atti della Regione é esercitato dallo Stato in forma decentrata, versandosi, nella fattispecie, in un caso diverso da quello della funzione di controllo, cui si riferisce la predetta norma costituzionale. Infatti, i poteri statali in questione non obbediscono ad uno scopo di controllo, ma piuttosto ad una finalità di amministrazione attiva a salvaguardia dell’interesse pubblico alla tutela del paesaggio.
Considerato in diritto
1.- Il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Emilia-Romagna nei confronti dello Stato in ordine al decreto del Direttore generale dell’Ufficio centrale per i beni ambientali e paesaggistici del Ministero per i beni culturali ed ambientali 18 dicembre 1996, recante "Decentramento dei poteri di tutela ambientale e paesaggistica" con il quale é stato delegato ai soprintendenti territorialmente competenti - sia pure limitatamente agli interventi interessanti il territorio di un unico comune - l’esercizio dei poteri di autorizzazione in via surrogatoria e di annullamento delle autorizzazioni rilasciate, nell’ambito del rapporto di delega dallo Stato alle Regioni, ai sensi dell’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, denuncia la violazione degli artt. 118 e 121, ultimo comma, della Costituzione anche in relazione all’art. 2 della legge n. 382 del 1975, all’art. 2, comma 3, lettera e), della legge n. 400 del 1988, e all’art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, come modificato dall’art. 1 del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431; nonchè dell’art. 97 della Costituzione e del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.
2.- Preliminarmente deve essere esattamente inquadrato il provvedimento impugnato nel sistema di organizzazione e di ripartizione delle competenze nell’ambito dei principi relativi alle amministrazioni pubbliche, quale introdotto dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), che ha separato "i compiti di direzione politica e quelli di direzione amministrativa", con "l’affidamento ai dirigenti - nell’ambito delle scelte di programma degli obiettivi e delle direttive fissate dal titolare dell’organo - di autonomi poteri di direzione, di vigilanza e di controllo" (art. 2 della legge-delega n. 421 del 1992), di modo che "gli organi di governo" restano affidatari, tra l’altro, delle funzioni di definire gli obiettivi e i programmi da attuare e di verificare la rispondenza dei risultati della gestione amministrativa (art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 29 del 1993): la espressione "organi di governo" deve essere intesa non in senso proprio giuridico-costituzionale, come limitata a Consiglio dei ministri e ministri, ma come riferimento agli organi di direzione e di guida (politico-amministrativa) in quanto riguardanti tutte le amministrazioni dello Stato compresi gli istituti e scuole, le aziende ed amministrazioni statali ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni e tutti gli altri enti pubblici ed istituzioni indicati nell’art. 1 del d.lgs. n. 29 del 1993.
Di contro ai dirigenti spetta la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, compresa l’adozione degli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno (art. 3, comma 2, del d.lgs. citato). Con la conseguenza - che come del resto conferma la prassi - "gli atti di gestione di competenza dell’organo di Governo prima dell’entrata in vigore della riforma spettano ora ai dirigenti preposti alle strutture di più elevato livello", di modo che sulla base dell’indicato criterio si ritengono, ad esempio, demandati al dirigente generale i provvedimenti di vincolo previsti dalla legge 1° giugno 1939, n. 1089, nonchè quelli di annullamento ai sensi della legge 8 agosto 1985, n. 431, e al Direttore generale gli atti di annullamento e quelli surrogatori ai sensi della legge 8 agosto 1985, n. 431 (d.m. dei beni culturali ed ambientali 24 maggio 1994, in Gazzetta Ufficiale 3 giugno 1994, n. 128). I profili della organizzazione e della conseguente ripartizione delle competenze interne nell’ambito di ciascuna amministrazione sono affidati, come esercizio di potere di organizzazione, alle stesse amministrazioni pubbliche che "assumono ogni determinazione per l’organizzazione degli uffici al fine di assicurare la economicità, speditezza e rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa" (art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 29 del 1993).
Tale sistema é stato sviluppato dai sopravvenuti interventi legislativi di cui alla legge 15 marzo 1997, n. 59 art. 11, comma 4 e al d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, che ha ulteriormente chiarito e precisato in particolare le fonti del potere di organizzazione delle amministrazioni pubbliche, che "definiscono secondo principi generali fissati da disposizione di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti-organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali dell’organizzazione degli uffici". Resta confermata la spettanza ai dirigenti dell’adozione degli "atti e provvedimenti amministrativi, compresi gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno" con conseguente assunzione di responsabilità. Infine, vengono chiariti espressamente sia il potere di organizzazione dei dirigenti di uffici dirigenziali generali dello Stato (il Capo II del d.lgs. n. 29 del 1993 é ora limitato nell’applicazione alle sole amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo), sia le funzioni degli altri dirigenti, i quali "svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali" ( art. 17 del d.lgs n. 29 del 1993, nel testo sostituito dall’art. 12 del d.lgs. n. 80 del 1998), secondo i principi previgenti in materia di delega amministrativa interna nella amministrazione dello Stato.
Detta delega é in effetti una semplice esplicitazione della norma di carattere generale già introdotta dall’art. 14 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, che prevedeva tra l’altro espressamente la facoltà di delega di attribuzioni da organi centrali ad organi periferici.
3.- Così inquadrato l’atto denunciato con il conflitto di attribuzione, deve escludersi la idoneità dello stesso a ledere la sfera di competenza costituzionalmente assegnata alla Regione (ed é questo, nella specie, il profilo che in ipotesi potrebbe legittimare la proposizione di un conflitto di attribuzione da parte della Regione stessa).
Il provvedimento impugnato riguarda esclusivamente - per i profili che qui interessano - una scelta organizzativa statale nell’esercizio di una parte di funzioni rimaste allo Stato all’atto del conferimento della delega da Stato a Regioni, ed in particolare la individuazione della competenza, tra gli organi statali, per l’autorizzazione in via surrogatoria e l’annullamento delle autorizzazioni rilasciate nell’ambito del rapporto di delega Stato-Regioni, ai sensi dell’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, limitatamente agli interventi interessanti il territorio di un unico comune.
La Regione contesta non già la titolarità da parte dello Stato del suddetto potere di autorizzazione in via surrogatoria o di annullamento, ma che questo venga esercitato, anzichè da un organo statuale di governo centrale, da un organo periferico o addirittura di livello territoriale inferiore alle Regioni.
In sostanza, la controversia tra Regione e Stato riguarda esclusivamente un elemento organizzatorio di un potere pacificamente spettante allo Stato, nell’ambito della sfera di funzioni ad esso riservate all’atto della disciplina del conferimento della delega alle Regioni.
Poichè le anzidette funzioni statali riguardano l’esercizio di attività tecnico-amministrativa - al di fuori di compiti e responsabilità di direzione politica - in materia non riservata ad organi costituzionalmente rilevanti in funzione di garanzia dei rapporti tra Stato e Regioni (sentenza n. 270 del 1998), deve essere esclusa l’ammissibilità del conflitto da parte della Regione in relazione ad atto statale che abbia individuato l’organo dell’amministrazione statale affidatario dell’esercizio delle funzioni stesse, secondo una scelta non contrastante con i criteri, fissati dalla legge, di economicità, speditezza e rispondenza al pubblico interesse.
Non é possibile, infatti, ravvisare nell’anzidetto atto organizzatorio del potere statale nè invasione, nè menomazione della sfera regionale, difettando quell’interesse a ricorrere qualificato dalla finalità di ripristinare l’integrità delle competenze regionali (argomentando anche da sentenze n. 244 del 1997, n. 25 del 1996, n. 29 del 1995, ancorchè relative a questioni di legittimità proposte in via principale), che é comune sia ai giudizi di legittimità costituzionale proposti in via principale dalle Regioni (art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1), sia ai conflitti di attribuzione tra Regioni e Stato (art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87).
Con ciò non si nega, in radice ed in via generale, che la Regione possa avvalersi del conflitto di attribuzione in materia oggetto di delega anche al di fuori delle ipotesi di delega propriamente traslativa, quando si possa ravvisare una sorta di statuto della delega costituzionalmente rilevante ai fini della sfera garantita alla Regione, ma si esclude che, in relazione alla particolare conformazione della delega cui si riferisce il presente conflitto, sia configurabile una riserva di poteri statali in capo al Ministro, quale organo responsabile politico a garanzia dei rapporti tra Stato e Regione, dipendendo invece la titolarità dell’esercizio delle funzioni tecnico-amministrative da una scelta organizzativa dello Stato, modificata con un intervento del legislatore statale, che ha innovato trasferendo in via generale la gestione amministrativa dall’area ministeriale a quella dirigenziale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Direttore generale dell’Ufficio centrale per i beni ambientali e paesaggistici del Ministero per i beni culturali e ambientali 18 dicembre 1996, recante "Decentramento dei poteri di tutela ambientale e paesaggistica", sollevato dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1998.
Presidente: Giuliano VASSALLI
Redattore: Riccardo CHIEPPA
Depositata in cancelleria il 24 luglio 1998.