Sentenza n. 275/98

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SENTENZA N.275

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 190–bis del codice di procedura civile promosso con ordinanza emessa il 30 giugno 1997 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra il Fallimento Trevitex in liquidazione s.p.a. e il Banco di Napoli s.p.a. iscritta al n. 655 del registro ordinanze 1997 e publicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di costituzione del Banco di Napoli s.p.a. nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 21 aprile 1998 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi l’avvocato Giuseppe Tarzia per il Banco di Napoli s.p.a. e l’Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso del giudizio civile promosso dal fallimento della s.p.a. Trevitex nei confronti della s.p.a. Banco di Napoli per la nullità o, in via subordinata, l’inefficacia di un atto di costituzione di pegno, il Giudice istruttore del Tribunale di Milano, in funzione di giudice unico, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 190-bis del codice di procedura civile, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Il giudice a quo premette, in punto di rilevanza, che la causa pendente dinanzi a sè deve ritenersi devoluta alla competenza del giudice istruttore in funzione di giudice unico, non potendosi far rientrare tra quelle che l’art. 48 della legge di Ordinamento giudiziario affida alla decisione collegiale del tribunale. Tale competenza monocratica sussiste, nonostante i dubbi sollevati al riguardo dalla dottrina all’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 353 del 1990 di riforma del processo civile, sia per le cause aventi ad oggetto la domanda di nullità del pegno che per quelle aventi ad oggetto la revocatoria dello stesso. Ed infatti l’azione revocatoria fallimentare deve ritenersi affidata alla competenza del giudice istruttore come giudice unico, non potendosi ricomprendere in alcuna delle ipotesi di cui al numero 5) del citato art. 48, ove il legislatore ha previsto la competenza del collegio in forza del carattere impugnatorio in senso lato dei giudizi stessi.

Tutto ciò premesso, il Giudice istruttore del Tribunale di Milano osserva che l’art. 190-bis cod. proc. civ. ha introdotto per le cause affidate alla decisione del giudice unico un sistema diverso da quello previsto dall’art. 275 cod. proc. civ. per le cause devolute alla competenza del collegio. Mentre in quest’ultimo caso, infatti, la legge prevede lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica indipendentemente dalla richiesta di discussione della causa, nel caso di decisione monocratica la norma impugnata diversifica la procedura a seconda che le parti avanzino o meno siffatta richiesta. Ed infatti, qualora vi sia la domanda di discussione orale, il giudice istruttore fissa l’udienza dopo aver disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali.

Una simile previsione, a parere del giudice a quo, viola gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Non potendo infatti ritenersi soddisfacenti le motivazioni secondo cui l’omissione delle memorie di replica si giustificherebbe sulla base di presunte esigenze di celerità del processo davanti al giudice unico o in forza di una maggiore semplicità delle cause devolute al medesimo, ne risulta la totale mancanza di una spiegazione idonea a giustificare la diversità di trattamento rispetto alle cause affidate al giudizio collegiale. Siffatta diversità deve ritenersi irrazionale e, come tale, lesiva dell’art. 3 Cost., in considerazione della sostanziale unicità del processo davanti al tribunale; oltre a ciò, la medesima urta anche contro il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., sia perchè l’esigenza di garantire la difesa scritta é ancora più evidente nelle cause affidate alla decisione monocratica sia perchè la parte che subisce la richiesta di discussione orale si vede privata della possibilità di rispondere alla comparsa conclusionale dell’avversario con la propria memoria di replica.

Sulla base di tali rilievi il giudice rimettente - dopo aver richiamato le sentenze di questa Corte n. 265 e n. 353 del 1994 e n. 284 del 1995, nelle quali é stata sindacata la diversità di regimi processuali sotto il profilo della ragionevolezza - ha chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 190-bis cod. proc. civ. nella parte in cui non prevede che, anche nel processo davanti al giudice monocratico, "in caso di richiesta di una parte di fissazione dell’udienza di discussione il giudice debba disporre oltre allo scambio delle comparse conclusionali anche quello delle memorie di replica".

2.— Si é costituito nel giudizio davanti alla Corte il Banco di Napoli s.p.a., concludendo per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale prospettata dal rimettente.

La parte privata si associa alle considerazioni svolte dal giudice a quo per ciò che concerne la rilevanza della questione.

In ordine alla non manifesta infondatezza il Banco di Napoli osserva che l’attuale formulazione dell’art. 190-bis cod. proc. civ. é il risultato di un dibattito parlamentare che ha portato alla modificazione della norma rispetto a quella proposta nella stesura originaria. In un primo tempo, infatti, la preclusione dello scambio delle memorie di replica in caso di richiesta di discussione orale era stata prevista per le cause di valore inferiore a lire cinquanta milioni e per quelle di infortunistica stradale con soli danni alle cose; successivamente il Senato ha modificato la norma nel senso attuale e, pur non essendo sfuggito il problema all’esame della Camera dei deputati (che aveva proposto un emendamento al riguardo), il testo é stato poi approvato nella versione oggi vigente.

Il sistema così delineato urta, secondo il Banco di Napoli, contro entrambi i parametri costituzionali indicati dal giudice a quo. Ed infatti é palese la violazione del principio di eguaglianza, in conseguenza del diverso trattamento riservato alla decisione delle cause a seconda della composizione singola o collegiale del giudice; la differenza non trova una logica spiegazione nè nella presunta minore difficoltà delle cause devolute al giudice unico, nè in una diversità globale tra i due tipi di processi. Altrettanto evidente é la violazione dell’art. 24 Cost., perchè l’art. 190-bis cod. proc. civ. impone a ciascuna delle parti di valutare fin dal momento della precisazione delle conclusioni quale sia la migliore strategia processuale da seguire, per di più consentendo che la scelta unilaterale di una parte (che chiede la discussione orale) sottragga all’altra la facoltà di depositare le memorie di replica.

3.— E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione sia dichiarata non fondata. La difesa erariale concorda col giudice rimettente in ordine alla rilevanza della questione, mentre contesta radicalmente la presunta violazione degli indicati parametri costituzionali.

Per ciò che riguarda l’art. 3 Cost. l’Avvocatura dello Stato sostiene che é proprio la diversa composizione dell’organo giudicante a determinare la differente procedura di cui alla norma impugnata. Il giudice monocratico, che solitamente é lo stesso che ha condotto l’intera fase istruttoria, normalmente conosce già gli atti di causa sicchè, una volta garantito il contraddittorio con lo scambio delle comparse conclusionali e con la discussione orale, la soppressione delle memorie di replica trova una sua condivisibile spiegazione. Davanti al giudice collegiale, invece, la necessità di chiarire ogni aspetto della causa agli altri due componenti che non hanno seguito l’istruttoria spiega il ricorso ad un uso più solenne della forma scritta nell’attività difensiva.

Neppure sussiste, secondo la difesa erariale, alcuna violazione dell’art. 24 Cost., poichè é comunque salvo il principio del contraddittorio "ad armi pari", in considerazione della possibilità di interloquire al momento della discussione e della sostanziale posizione di uguaglianza nella quale le parti si trovano davanti al giudice.

4.— In prossimità dell’udienza il Banco di Napoli ha presentato un’articolata memoria, insistendo per l’accoglimento delle già rassegnate conclusioni.

Preliminarmente la parte privata ribadisce, in piena adesione a quanto detto dal giudice rimettente, la rilevanza della questione, perchè sia la domanda principale che quella subordinata avanzate nel giudizio a quo, l’una di nullità del pegno e l’altra di revocatoria fallimentare, devono ritenersi devolute alla competenza del giudice istruttore in funzione di giudice unico.

Tanto premesso, la stessa parte passa ad analizzare l’importanza che può assumere nel presente giudizio il sopravvenuto decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, istitutivo del giudice unico di primo grado.

Osserva al riguardo il Banco di Napoli che l’art. 63 del decreto citato ha abrogato l’art. 190-bis del codice di procedura civile, peraltro trasfondendone il contenuto, in maniera pressochè inalterata, nel nuovo art. 281-quinquies del medesimo codice. Tuttavia l’intervenuta abrogazione della norma impugnata non consentirebbe di emettere una pronuncia di restituzione atti o di inammissibilità, e ciò per una serie di motivi. Innanzitutto, perchè la legge di delega 16 luglio 1997, n. 254, ha fissato l’efficacia delle nuove norme decorso il periodo di centoventi giorni dalla data di pubblicazione delle medesime nella Gazzetta Ufficiale, il che comporta che alla data della discussione della presente questione le stesse non saranno ancora applicabili. In secondo luogo, l’art. 135 del citato decreto prevede che le cause pendenti in tribunale vengano decise sulla base delle norme abrogate se in tali cause siano state già precisate le conclusioni o si sia verificata la spedizione in decisione, e ciò implica che nel caso concreto dovrebbe comunque applicarsi l’impugnato art. 190-bis cod. proc. civ., essendo state precisate le conclusioni in data 6 maggio 1997.

La parte privata, in ogni modo, osserva che la Corte potrà valutare l’opportunità di estendere la pronuncia di incostituzionalità anche nei confronti dell’art. 281-quinquies del codice di rito.

Passando al merito della questione, il Banco di Napoli insiste perchè la medesima venga dichiarata fondata, con argomentazioni che sostanzialmente si riportano a quelle di cui all’atto di costituzione.

Considerato in diritto

1.— Il Giudice istruttore del Tribunale di Milano ritiene che l’art. 190-bis cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede che, anche nel processo davanti al giudice istruttore in funzione di giudice unico, in caso di richiesta di una parte di fissazione dell’udienza di discussione, il giudice debba disporre, oltre allo scambio delle comparse conclusionali, anche quello delle memorie di replica, sia in contrasto:

1) con l’art. 3 Cost., per l’ingiustificata disparità di trattamento che si crea rispetto alle cause devolute alla decisione del tribunale in composizione collegiale, nelle quali lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica avviene comunque, ossia anche in caso di richiesta di discussione orale; disparità che non trova alcuna giustificazione nè in presunte esigenze di accelerazione, nè in una minore complessità delle cause decise dal tribunale in composizione monocratica;

2) con l’art. 24 Cost., in considerazione della necessità di garantire pienamente il contraddittorio nelle cause affidate al giudice unico e della possibilità che la legge riconosce a ciascuna delle parti di precludere all’altra, richiedendo unilateralmente la discussione orale, la presentazione delle memorie di replica.

2.— Prima di passare al merito, la Corte é chiamata a valutare l’incidenza sulla rilevanza della questione della sopravvenuta normativa contenuta nel decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51. Tale decreto – che ha portato a definitivo compimento il progetto di affidare il giudizio di primo grado ad un giudice nella grande maggioranza dei casi monocratico – oltre ad abrogare (art. 63), infatti, la norma impugnata nel presente giudizio, ha formulato un nuovo art. 281-quinquies cod. proc. civ., nel cui capoverso viene dettata una norma di contenuto assai simile a quella dell’abrogato art. 190-bis dello stesso codice. E’ per questo che il Banco di Napoli ha chiesto alla Corte di estendere la declaratoria di illegittimità costituzionale anche alla norma nuova.

Ritiene peraltro questa Corte che il presente giudizio debba svolgersi esclusivamente sulla norma impugnata; e ciò per il fatto che l’art. 247 del decreto legislativo n. 51 del 1998, pur stabilendo l’immediata entrata in vigore delle norme ivi dettate, ne differiva in origine l’efficacia a dopo il decorso del termine di cui all’art. 1, comma 1, lettera r) della legge delega 16 luglio 1997, n. 254. E poichè tale termine é stato successivamente fissato al 2 giugno 1999 (art. 1 della legge 16 giugno 1998, n. 188), l’art. 190-bis cod. proc. civ. é ancora applicabile nel giudizio a quo e va sottoposto al richiesto scrutinio di costituzionalità.

3.— Nel merito, la questione non é fondata.

Il giudice rimettente ritiene che l’alternativa posta dalla norma impugnata – nel procedimento dinanzi al tribunale in funzione di giudice unico – tra la discussione orale e lo scambio delle memorie di replica vulneri gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Ma in realtà non sussiste alcuna delle lamentate lesioni.

  Va innanzitutto ribadito il principio generale che il legislatore é dotato di ampia discrezionalità nel dettare le norme processuali, con l’unico limite della ragionevolezza (v., ex plurimis, le sentenze n. 451 del 1997 e n. 31 del 1998).

Nel caso specifico é indubbio che il legislatore del 1990, regolando la fase conclusiva del processo davanti al tribunale, ha disciplinato in modo differenziato la procedura a seconda che la decisione sia affidata al collegio oppure al giudice unico. Ferma restando in entrambi i casi la facoltatività dell’udienza di discussione orale, il legislatore ha stabilito che nelle sole cause di spettanza collegiale la richiesta di tale udienza non esclude la presentazione di memorie di replica; davanti al giudice unico, invece, il deposito delle memorie di replica e la discussione orale si presentano come alternativi, nel senso che l’uno esclude l’altra.

In realtà, questa differenza di rito non é la sola, perchè dal confronto tra gli artt. 190 e 190-bis con l’art. 275 del codice di rito risulta che nelle cause collegiali la richiesta di discussione orale deve essere riproposta "al presidente del tribunale alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica", con una duplicazione che é assente nel processo davanti al giudice monocratico.

Ciò che rileva in questa sede in modo particolare, peraltro, é che la lamentata diversità, pur determinando alcune perplessità evidenziate dalla dottrina, non é arbitraria. Il legislatore, stante la diversità tra i due organi dello stesso ufficio, ben poteva modellare il rito secondo un trattamento differenziato; cosa che realmente ha fatto in una maniera che, non potendo definirsi irragionevole, non assurge al livello di violazione dell’invocato principio costituzionale di eguaglianza.

4.— Parimenti deve negarsi che sussista alcuna violazione dell’ulteriore parametro di cui all’art. 24 Cost.

In proposito occorre ribadire che, pur essendo indubbio il carattere di inviolabilità del diritto di difesa nell’ambito di qualsiasi procedimento giurisdizionale (v. sentenza n. 212 del 1997), costituisce costante orientamento di questa Corte quello per cui tale diritto può diversamente atteggiarsi nell’ambito dei diversi procedimenti; ciò che conta in modo essenziale é che "non ne siano pregiudicati lo scopo e le funzioni" (v. sentenza n. 220 del 1994, sentenza n. 119 del 1995 ed ordinanza n. 388 del 1996).

Con particolare riguardo all’art. 190-bis oggi impugnato, i principi ora richiamati impongono di verificare se il rapporto tra le difese scritte e quelle orali nel processo davanti al giudice unico sia tale da frustrare l’effettività del contraddittorio.

Sulla base di queste premesse risulta chiaro che porre un’alternativa tra difesa scritta e discussione orale nel processo civile non può determinare alcuna lesione di un adeguato contraddittorio, anche perchè le parti permangono su di un piano di parità. Nè può dirsi che l’art. 24 Cost. sia vulnerato per il fatto che una sola delle parti, chiedendo la discussione orale, precluda all’altra il diritto alle memorie di replica. Tale richiesta, infatti, non esclude comunque la possibilità per entrambe le parti di esporre integralmente e in condizioni di parità le proprie tesi difensive, nell’immediatezza derivante dalla presenza dei contraddittori innanzi al giudice.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 190-bis del codice di procedura civile sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice istruttore del Tribunale di Milano con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Fernando SANTOSUOSSO

Depositata in cancelleria il 17 luglio 1998.