Sentenza n. 31/98

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SENTENZA N.31

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 39 e 47, comma 6, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con ordinanza emessa l’11 gennaio 1997 dalla Commissione tributaria provinciale di Como sui ricorsi riuniti proposti da Cattaneo Santino ed altri contro l’Ufficio delle imposte dirette di Como iscritta al n. 169 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 novembre 1997 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnativa degli avvisi di accertamento di redditi di partecipazione non dichiarati la Commissione tributaria provinciale di Como con ordinanza dell’11 gennaio 1997 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 39 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), " nella parte in cui non prevede la sospensione del processo tributario ove altro giudice debba procedere alla definizione di una controversia dalla quale dipende la decisione del ricorso" .

Con la medesima ordinanza é stata sollevata, in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 6, del menzionato decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, " nella parte in cui non prevede che la trattazione della controversia possa essere fissata oltre novanta giorni dalla pronuncia ove altro giudice debba procedere alla definizione di una controversia dalla quale dipende la decisione del ricorso" .

2. - Premette la Commissione rimettente che, in relazione ad un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, l’ufficio delle imposte dirette territorialmente competente, ritenuta l’esistenza in capo ai ricorrenti di una società di fatto, aveva proceduto ad accertare il patrimonio del preteso gruppo e, conseguentemente, a determinare il reddito societario e quello di partecipazione dei singoli soci.

Nel corso del giudizio a quo i ricorrenti, nel produrre copia della decisione di altra Commissione tributaria che aveva accolto i ricorsi proposti dalla società di fatto e dai soci relativamente ad esercizi precedenti, chiedevano –ai sensi dell’art. 47 del citato decreto legislativo n. 546 del 1992 - la sospensione dei provvedimenti impugnati dichiarando, a tal fine, che la trattazione del ricorso della società relativo all’esercizio in esame non era stata ancora fissata dalla Commissione tributaria provinciale di Varese, territorialmente competente dal 1° aprile 1996.

La Commissione rimettente, nell’accogliere l’istanza cautelare, rileva che l’art. 39 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 non contempla, tra le cause di sospensione, il rapporto di pregiudizialità tra due controversie. La previsione – nel citato articolo 39 - di specifiche cause di sospensione, comporterebbe, d’altra parte, ai sensi di quanto disposto dal comma 2 dell’art. 1 dello stesso decreto legislativo, l’inapplicabilità al processo tributario dell’istituto della sospensione necessaria di cui all’art. 295 del codice di procedura civile. Con la conseguenza che il giudice tributario dovrebbe, nell’ipotesi, come quella in esame, di pregiudizialità tra due controversie, decidere il ricorso pregiudicato indipendentemente dall’esito di quello pregiudiziale.

Da ciò deriverebbe una illegittima disparità di trattamento tra coloro che nell’ipotesi di pregiudizialità possono chiedere ed ottenere la riunione dei giudizi pendenti dinanzi allo stesso giudice tributario e la loro decisione con unica sentenza, e coloro ai quali tale possibilità é preclusa pendendo i giudizi dinanzi a giudici tributari territorialmente diversi. Inoltre, ad avviso della Commissione rimettente, sussisterebbe una del pari illegittima limitazione del diritto di difesa del ricorrente nel giudizio pregiudicato, " non sempre in grado di apprestare le difese che il ricorrente del ricorso pregiudiziale presenterà successivamente al giudice investito della relativa decisione" . Con conseguente violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione.

L’inapplicabilità della sospensione necessaria, nell’ipotesi di pregiudizialità, inciderebbe, infine, a parere della Commissione rimettente, anche sulla disciplina della tutela cautelare prevista dall’art. 47 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in quanto, stabilendo il comma 6 di tale articolo l’obbligo di fissare - nel caso di sospensione dell’atto impugnato - la trattazione della controversia non oltre novanta giorni dalla pronuncia di sospensione, ove ciò non fosse possibile - per la pendenza di un ricorso pregiudiziale - il provvedimento cautelare non potrebbe essere concesso o se concesso dovrebbe essere revocato. Conseguenza quest’ultima necessitata, a parere del giudice a quo, anche nell’ipotesi in cui si ritenesse applicabile al processo tributario l’art. 295 cod. proc. civ. (in forza del rinvio di cui all’art. 1 del citato d.lgs. n. 546 del 1992), risultando il termine di novanta giorni comunque incompatibile con l’esercizio del potere di sospensione dell’atto impugnato. Con violazione, in entrambe le ipotesi, del diritto di difesa garantito dall’art. 24, secondo comma, della Costituzione.

La rilevanza delle questioni di costituzionalità, sollevate dalla Commissione rimettente, discenderebbe, poi, dal fatto che essendo stata disposta la sospensione dei provvedimenti impugnati, occorrerebbe fissare la data di trattazione della controversia pur in assenza della definizione del ricorso (pregiudiziale) avverso l’accertamento del reddito societario.

3. - E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza delle questioni.

La difesa erariale ritiene che la disposizione di cui all’art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992 legittimerebbe le commissioni tributarie a decidere, incidenter tantum, ogni questione pregiudiziale civile o amministrativa, non potendosi procedere alla sospensione del processo tributario se non nei casi espressamente previsti dalla citata norma. Ciò, tuttavia, non escluderebbe che, ove ricorra un’ipotesi di sospensione necessaria per la risoluzione di una questione pregiudiziale con efficacia di giudicato, potrebbe comunque farsi applicazione dell’art. 295 cod. proc. civ. in forza del generale rinvio alle norme del codice di procedura civile contenuto nell’art. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992.

Tuttavia, rileva l’interveniente, la necessità della sospensione del processo non si verificherebbe nel caso in esame poichè i soci, essendo vincolati, ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), a quegli atti (dichiarazione, accertamento, giudicato) con i quali si determina il reddito della società, sarebbero privi della possibilità di contestare il proprio reddito di partecipazione; sicchè i ricorsi in tal senso proposti dovrebbero essere dichiarati inammissibili.

Ad avviso della difesa erariale, infine, la questione di costituzionalità dell’art. 47, comma 6, del d.lgs. n. 546 del 1992 sarebbe, oltre che irrilevante, infondata, in quanto il previsto termine di novanta giorni non inciderebbe sulla validità della sospensione dell’atto impugnato nell’ipotesi in cui la trattazione della controversia non fosse - giustificatamente - fissata.

Considerato in diritto

1. - Le questioni sottoposte all’esame della Corte hanno per oggetto gli articoli 39 e 47, comma 6, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), che disciplinano, rispettivamente, la sospensione del processo tributario e la sospensione, in via cautelare,dell’atto impugnato.

2. - L’art. 39 del citato d.lgs. n. 546 del 1992 dispone che il processo tributario é sospeso quando é presentata querela di falso oppure debba essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio.

La Commissione tributaria provinciale di Como ritiene che tale norma, nella parte in cui non prevede " la sospensione del processo tributario ove altro giudice debba procedere alla definizione di una controversia dalla quale dipende la decisione del ricorso" , contrasti con l’art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento tra coloro che, nell’ipotesi di pregiudizialità, possono chiedere ed ottenere la riunione dei giudizi pendenti dinanzi allo stesso giudice tributario, e coloro ai quali tale possibilità é preclusa pendendo i giudizi dinanzi a giudici territorialmente diversi.

Ad avviso della Commissione rimettente, la disposizione denunciata sarebbe altresì in contrasto con l’art. 24, secondo comma, della Costituzione, per l’illegittima limitazione del diritto di difesa del ricorrente del giudizio pregiudicato " non sempre in grado di apprestare le difese che il ricorrente del ricorso pregiudiziale presenterà successivamente al giudice investito della relativa decisione" .

2.1. - Il giudice a quo dubita, inoltre, della legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 6, del d.lgs. n. 546 del 1992.

Detta norma, nel disciplinare il procedimento cautelare, prevede che nei casi di sospensione dell’atto impugnato la trattazione della controversia debba essere fissata entro novanta giorni dalla pronuncia di sospensione.

Ove tale termine non possa essere rispettato, per la pendenza di altro procedimento pregiudiziale, ne conseguirebbe, ad avviso del giudice a quo, l’impossibilità di concedere o, se concesso, l’obbligo di revocare il provvedimento cautelare. Con violazione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Costituzione.

3. - L’Avvocatura dello Stato ritiene che entrambe le questioni siano infondate.

Riguardo alla prima, si assume che la norma denunciata riconoscerebbe alle commissioni tributarie il potere di decidere incidenter tantum ogni questione pregiudiziale alla controversia ad esse devoluta e che sarebbe comunque possibile applicare al processo tributario – in forza del generale rinvio alle norme del codice di procedura civile contenuto nell’art. 1 del citato d.lgs. n. 546 del 1992 - la sospensione per pregiudizialità di cui all’art. 295 del codice di procedura civile.

Quanto alla seconda, non vi sarebbe, ad avviso della difesa erariale, un obbligo di revoca del provvedimento cautelare qualora il termine imposto dalla disposizione denunciata non fosse – per giustificati motivi - rispettato.

Le questioni sarebbero, comunque, irrilevanti in quanto i soci accomandanti, essendo vincolati all’accertamento del reddito societario, sarebbero privi di autonoma legittimazione a contestare l’accertamento del proprio reddito di partecipazione.

4. - Va preliminarmente disattesa l’eccezione di irrilevanza delle questioni prospettata dalla difesa erariale nei termini precedentemente esposti.

Questa Corte, infatti, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), affermando attraverso una interpretazione adeguatrice di detta norma che " al socio accomandante, privo di legittimazione processuale nel giudizio relativo all’accertamento del reddito societario ai fini dell’imposta ILOR, deve ritenersi sempre consentita, allorchè gli sarà notificato l’accertamento del suo reddito personale, la possibilità di tutelare i suoi diritti, contestando anche nel merito l’accertamento del suo reddito di partecipazione nonostante l’intervenuta definitività dell’accertamento del reddito societario ai fini ILOR" (ordinanza n. 5 del 1998). Siffatta interpretazione, dalla quale questa Corte ritiene di non doversi discostare, vale, pertanto, ad escludere l’inammissibilità dei ricorsi proposti dai soci accomandanti per contestare l’accertamento del loro reddito di partecipazione.

5. - Nel merito la prima questione va dichiarata infondata.

5.1 - Questa Corte, sotto il vigore della previgente disciplina del contenzioso tributario di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, aveva ritenuto applicabile al processo tributario, sulla base del rinvio alla legislazione processualcivilistica contenuto nell’art. 39 del citato decreto presidenziale, la disciplina della sospensione necessaria per pregiudizialità di cui all’art. 295 del codice di procedura civile.

La disposizione denunciata, innovando sul punto, ha limitato nel processo tributario l’ambito della sospensione necessaria per pregiudizialità ai soli casi in cui sia stata presentata querela di falso o debba essere decisa – in via pregiudiziale - una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio.

Pertanto, ferma restando l’applicabilità di altre ipotesi di sospensione (quali, a titolo esemplificativo, la sospensione per proposizione di regolamento di giurisdizione di cui all’art. 367, primo comma, cod. proc. civ. in relazione all’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, per instaurazione del procedimento di ricusazione di cui all’art. 52, terzo comma, cod. proc. civ. in relazione all’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, per questione incidentale di legittimità costituzionale di una norma di legge sollevata ai sensi dell’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87), il giudice tributario deve decidere, incidenter tantum, tutte le questioni pregiudiziali diverse da quelle contemplate dalla disposizione denunciata, salvo il diritto delle parti di svolgere le difese relative a tali questioni.

Questa Corte ha, d’altro canto, costantemente affermato l’ampia discrezionalità del legislatore nel conformare gli istituti processuali fermo il limite della non irrazionalità delle sue scelte (v. sentenze n. 295 del 1995, nn. 65 e 94 del 1996 e n. 451 del 1997, nonchè ordinanze n. 7 e n. 424 del 1997).

Nella specie, con la norma denunciata il legislatore, limitando i casi di sospensione del processo, ha inteso rendere più rapida e agevole la definizione del processo tributario oberato di una rilevante mole di contenzioso. Finalità in sè del tutto legittima anche sotto l’aspetto, non certo secondario, della tutela dei diritti del contribuente.

La limitazione della sospensione per pregiudizialità nel processo tributario rappresenta, pertanto, una scelta del legislatore che, in quanto non lesiva del criterio di ragionevolezza, si sottrae al sindacato di legittimità costituzionale.

La possibilità accordata al contribuente, alla stregua di una corretta interpretazione del sistema, di far valere nel processo pregiudicato - indipendentemente dal corso e dall’esito del giudizio pregiudiziale - tutte le sue difese, rende poi priva di fondamento la violazione, dedotta dal giudice a quo, del precetto costituzionale di cui all’articolo 24, secondo comma, della Costituzione.

6. - Anche la seconda questione risulta infondata.

6.1 - Il potere delle commissioni tributarie di decidere, incidenter tantum, ogni questione pregiudiziale alle controversie ad esse devolute, fa venir meno la stessa premessa da cui muove la riferita censura di costituzionalità, ben potendo la trattazione del ricorso essere fissata, nell’ipotesi di pregiudizialità, entro i novanta giorni dall’emissione del provvedimento cautelare.

Sicchè, anche ad aderire alla tesi del carattere perentorio di tale termine, nessun ostacolo é dato ravvisare alla sua puntuale osservanza da parte del giudice tributario.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 39 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Como con l’ordinanza in epigrafe;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 6, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, dalla predetta Commissione tributaria con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Annibale MARINI

Depositata in cancelleria il 26 febbraio 1998.