Sentenza n. 112/98

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SENTENZA N.112

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI              

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 28 aprile 1997 dal Pretore di Ancona – Sezione distaccata di Fabriano, nel corso di due procedimenti penali riuniti, iscritta al n. 483 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 1998 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

1. – Il Pretore di Ancona – Sezione distaccata di Fabriano, procede nei confronti di due imputati di omicidio colposo aggravato, ai quali é ascritto di aver cagionato la morte della vittima con due condotte colpose concorrenti, alla guida dei rispettivi autoveicoli, in violazione delle norme sulla circolazione stradale. Avvenuta la costituzione di parte civile dei familiari della vittima, il difensore di uno degli imputati osservava con nota scritta che l’art. 83 del codice di procedura penale consente alla sola parte civile, e non all’imputato, che pure vi avrebbe interesse, di citare il responsabile civile (nella specie l’impresa assicuratrice), ciò che comporta che a mente degli articoli 538 e 540 del codice di procedura penale l’imputato stesso si vede esposto da solo alle conseguenze economiche di una eventuale sentenza di condanna nonostante abbia ottemperato alle previsioni della legge 24 dicembre 1969, n. 990 sulla assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore. Il difensore annunciava di voler pertanto sollevare questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 83 per contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione e tale questione formalmente sollevava all’udienza dibattimentale, in sede di questioni preliminari, a’ sensi dell’art. 491 del codice di procedura penale.

Tanto premesso, il Pretore si pone anzitutto il problema della rilevanza della questione in relazione all’avvenuto decorso del termine per la citazione del responsabile civile, fissato nell’art. 555, terzo comma, del codice di procedura penale secondo quanto stabilito con sentenza n. 453 del 17 novembre 1992 di questa Corte costituzionale; ma subito rileva essere evidente che, non essendo prevista dalla legge la citazione del responsabile civile da parte dell’imputato, l’imputato stesso non avrebbe potuto in alcun modo attivarsi in tal senso, mentre, in caso di accoglimento della questione di costituzionalità, sarebbe sempre possibile chiedere la restituzione nel termine.

2. – Ritenuta così la rilevanza della questione e passando alla valutazione della sua non manifesta infondatezza, il Pretore sottopone ad analisi la sentenza n. 38 del 16 febbraio 1982 di questa Corte (ribadita nell’ordinanza n. 120 del 18 giugno 1982), con la quale la stessa questione, sollevata allora in relazione agli articoli 107 e 110 del codice di procedura penale del 1930, fu giudicata non fondata. In proposito l’ordinanza del giudice a quo osserva che il riferimento, in detta sentenza contenuto, alla non incidenza sul diritto di difesa dell’imputato di un possibile contrasto di giudicati non esaurisce il problema della disparità di trattamento fatta dalla legge processuale (sotto il codice del 1930 come sotto il codice vigente) all’imputato rispetto al responsabile civile. L’imputato, quando nel processo penale vi sia costituzione di parte civile, si trova ad essere convenuto in detto processo anche per gli interessi civili, "che non di rado, anzi, assumono un rilievo pratico pari se non superiore a quello di essere mandato assolto dall’accusa". "Nel caso di condanna penale e conseguente condanna al risarcimento dei danni ed eventuale provvisionale" – prosegue l’ordinanza – "l’imputato sarà tenuto al pagamento anche di ingenti somme, mentre il responsabile civile rimasto estraneo al processo non sarà tenuto che in una fase successiva ed eventuale". Per converso, il responsabile civile (in particolare l’impresa assicuratrice tenuta a’ sensi della legge n. 990 del 1969) "potrà decidere di intervenire volontariamente nel processo penale secondo una sua libera scelta, mentre l’imputato assicurato non ha un corrispondente potere di chiamare l’impresa assicuratrice ai fini di essere manlevato nei confronti della domanda di risarcimento dei danni avanzata nei suoi (soli) confronti dalla parte civile. E ciò non può non configurare un’indubbia disparità di trattamento processuale, assolutamente non giustificata da alcuna diversità di posizioni".

Al di là di queste considerazioni, l’ordinanza del Pretore affronta un altro e diverso profilo della questione, più specificamente inerente al sistema proprio della legge n. 990 del 1969, concernente l’assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore. Secondo tale sistema, colui che ha subìto un danno in relazione alla circolazione dell’autoveicolo può esercitare direttamente l’azione nei confronti dell’assicuratore sulla base di quanto espressamente disposto dall’art. 18 della legge, dandosi così vita, a’ termini dell’art. 23 della legge stessa, ad un litisconsorzio necessario con l’assicurato. Nel processo civile – osserva l’ordinanza – nulla vieta dunque al danneggiante convenuto di chiamare in garanzia l’assicuratore, mentre tale possibilità non é data allo stesso danneggiante quando si trovi ad essere imputato nel processo penale, dove é tuttavia in corso l’azione civile per il risarcimento del danno. In quest’ultimo caso la statuizione giurisdizionale potrà essere fatta valere nei soli confronti del danneggiante per il preciso disposto dell’art. 651 del codice di procedura penale, e non già nei confronti dell’assicuratore che non sia stato citato nel processo nè vi sia volontariamente intervenuto. Vero é che il danneggiante assicurato potrà rivalersi nei confronti dell’assicuratore agendo contro lo stesso in via di regresso, ma solo in un separato ed autonomo processo e sul presupposto che abbia effettuato il pagamento dell’intero debito (art. 1299 codice civile).

Dopo avere svolto altre considerazioni relative al significato dell’art. 651 del codice di procedura penale (dalle quali sembrerebbe anche voler dedurre che la legge processuale penale esclude che una citazione del responsabile civile da parte dell’imputato possa avvenire sulla sola base di regole generali del sistema civile), il giudice a quo conclude sollevando questione di legittimità costituzionale del citato art. 83 del codice di procedura penale in riferimento agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione: all’art. 3 sotto il duplice profilo della disparità di trattamento tra imputato e responsabile civile, data l’equiparabilità perfetta dei loro ruoli rispetto a quello dell’azione civile, e della disparità di trattamento esistente tra l’imputato contro il quale vi é costituzione di parte civile per il risarcimento del danno da circolazione di autoveicoli nel processo penale e il convenuto per analoga azione nel processo civile, dove vi é la possibilità della chiamata in garanzia dell’assicuratore; all’art. 24 perchè, preclusagli nel processo penale in cui é convenuto dalla parte civile la chiamata in garanzia del responsabile civile, l’imputato si trova a dover sopportare da solo le conseguenze civili del reato non solo in sede penale, ma anche nella successiva sede civile non potendosi escludere che si trovi perdente nell’azione di regresso o in altra autonoma azione da lui intentata al responsabile civile; ed all’art. 97 perchè il possibile contrasto di pronunce giurisdizionali in sede penale e in sede civile, "derivante da norme assolutamente incongrue e neppure necessarie o indefettibili alla differenza tra i due processi confligge sicuramente con il principio di buon andamento dell’amministrazione della giustizia". In conclusione l’ordinanza "dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede la possibilità per l’imputato, nel caso di costituzione di parte civile, di chiamare o chiedere l’autorizzazione a chiamare, nel processo, il responsabile civile".

3. – Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. L’Avvocatura ritiene anzitutto valide, anche con riferimento al codice vigente che nulla ha innovato, sotto i profili denunziati, rispetto al sistema del codice precedente, le considerazioni che indussero la Corte costituzionale, nel 1982, a disattendere la analoga questione sollevata in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost., in ordine alla disciplina dettata dagli articoli 107 e 110 del codice di procedura penale del 1930. Inconferente sarebbe poi, secondo l’Avvocatura generale, il richiamo all’art. 97, che secondo la costante giurisprudenza costituzionale attiene esclusivamente alle leggi concernenti l’ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l’aspetto amministrativo, mentre é estraneo all’esercizio della funzione giurisdizionale nel suo complesso.

Infine, mentre il rischio di contrasto tra giudicati sarebbe escluso dalla diversità soggettiva delle parti nel giudizio penale rispetto a quello civile, i rilievi svolti dal rimettente in tema di economia di giudizio, pure potendo formare oggetto di valutazione da parte del legislatore nel proprio ambito discrezionale, non sembrerebbero assumere risalto sul piano costituzionale.

Considerato in diritto

1. – Il Pretore di Ancona – Sezione distaccata di Fabriano, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale nella parte in cui esso non prevede, nel caso di costituzione di parte civile, che anche l’imputato possa chiedere al giudice che procede la citazione del responsabile civile. La questione, sorta in un processo per omicidio colposo a seguito di circolazione di autoveicoli, é sollevata con riferimento a più parametri e sotto una pluralità di profili. Viene evocato l’art. 3 della Costituzione con la denuncia di due distinte lesioni del principio di eguaglianza. La prima lesione si avrebbe per la differente posizione fatta all’imputato e al responsabile civile (che nella causa civile inserita nel processo penale si trovano rispetto all’azione civile in una piena equiparabilità di ruoli), in quanto il responsabile civile, che può essere chiamato in causa soltanto dalla parte civile (o dal pubblico ministero nella speciale situazione prevista dall’art. 77, numero 4), può intervenire volontariamente a tutela dei propri interessi (art. 85 cod. proc. pen.), mentre all’imputato non é data la possibilità di ottenerne la presenza nel processo. La seconda lesione dell’art. 3 si avrebbe invece per la disparità di posizione fatta al danneggiante nel processo penale rispetto a quella che egli ha nel processo civile. In quest’ultimo il convenuto può chiamare in garanzia il responsabile civile (nella specie l’impresa assicuratrice), la cui posizione, nell’ambito della legge 24 dicembre 1969, n. 990, é disciplinata dagli articoli 18 e 23 della legge stessa, mentre nel processo penale, all’imputato che si trova ad essere parimenti convenuto dal danneggiato costituitosi parte civile, tale potere di chiamata in garanzia non é in alcun modo attribuito, con esclusione dunque incongrua e non giustificata. La lesione dell’art. 24 Cost. si avrebbe invece perchè, una volta preclusagli la chiamata in garanzia del responsabile civile nel processo civile per risarcimento del danno innestato nel processo penale, l’imputato si trova a dover sopportare da solo le conseguenze civili del reato ascrittogli, non solo in sede penale (dove può essere condannato al risarcimento del danno ed anche al pagamento di una provvisionale), ma anche nella successiva sede civile "non potendosi, addirittura, escludere che si trovi perdente nell’azione di regresso (o in altra autonoma azione, se non si accede alla tesi della solidarietà) da lui intentata al responsabile civile". Infine verrebbe in considerazione anche l’art. 97 della Costituzione, "confliggendo sicuramente con il principio del buon andamento dell’amministrazione della giustizia il possibile contrasto di pronunce giurisdizionali, contrasto che non può neppure ascriversi ad una fisiologica tolleranza del sistema nel suo complesso, in quanto derivante da norme assolutamente incongrue e neppure necessarie o indefettibili alla differenza tra le funzioni del processo penale e quelle del processo civile".

Il giudice a quo prende le mosse dalla sentenza n. 38 del 1982 di questa Corte (ribadita nella ordinanza n. 120 dello stesso anno), con la quale analoga questione di legittimità costituzionale degli articoli 107 e 110 dell’allora vigente codice di procedura penale del 1930, relativi alla citazione del responsabile civile nel processo penale, sollevata in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione, fu dichiarata non fondata; e implicitamente riconosce che il sistema in materia non é cambiato da quello allora vigente nè sotto il profilo della posizione fatta alle singole parti (parte civile, imputato, responsabile civile) e ai diritti da loro esercitabili in seno al processo penale, nè sotto il profilo dell’efficacia delle sentenze penali (di condanna o di proscioglimento) sul processo civile di danno, dato che con le dichiarazioni di parziale illegittimità costituzionale degli articoli 27 e 28 del codice di procedura penale del 1930, intervenute ad opera delle sentenze n. 55 del 1971 e n. 99 del 1973 di questa Corte, il sistema relativo all’efficacia delle sentenze penali nei giudizi civili o amministrativi di danno già aveva assunto connotati analoghi a quelli sanciti negli articoli 651 e 652 del codice oggi vigente. Tuttavia il rimettente ripercorre il ragionamento svolto nella sentenza suddetta per contestare come "non appagante" l’aver circoscritto l’indagine circa il possibile contrasto di giudicati sull’azione civile prendendo quale punto di riferimento il solo ambito della difesa penale dell’imputato e trascurando invece il peso gravante sull’imputato stesso per effetto della condanna al risarcimento del danno. Ma oltre a ribadire così, sotto questo profilo, l’argomento (già disatteso dalla sentenza n. 38 del 1982) di una ingiustificata disuguaglianza di posizioni tra l’imputato e il responsabile civile, con connessa lesione anche del diritto di difesa dell’imputato, l’ordinanza del giudice a quo si sofferma ampiamente su altro aspetto della dedotta lesione dell’art. 3 Cost., che nel 1982 non era stato menomamente sollevato e non aveva pertanto formato oggetto di esame da parte della Corte costituzionale: e cioé la disparità di trattamento dell’imputato assoggettato alla azione di risarcimento del danno nel processo penale rispetto al convenuto per la stessa azione in sede civile, al quale é riconosciuto il diritto di chiamare in garanzia il responsabile civile.

2. – Conviene prendere le mosse da quest’ultima censura, che – come si é detto – non fu oggetto di esame da parte della sentenza n. 38 del 1982. Sotto questo profilo la questione di illegittimità costituzionale é fondata.

3. – Vengono in considerazione, ad un tempo, la legge 24 dicembre 1969, n. 990, da un lato, e gli articoli 1917, comma ultimo, del codice civile e 106 del codice di procedura civile dall’altro.

Nella legge n. 990 del 1969, istitutiva dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, interessano, ai fini del giudizio di comparazione devoluto alla Corte attraverso l’ordinanza di rimessione, gli articoli 18 e 23. Il primo comma dell’art. 18 stabilisce che "il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante per i quali a norma della presente legge vi é l’obbligo di assicurazione ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell’assicuratore, entro i limiti delle somme per le quali é stata stipulata l’assicurazione". L’art. 23 statuisce che "nel giudizio promosso contro l’assicuratore a norma dell’art. 18, comma primo, della presente legge, deve essere chiamato nel processo anche il responsabile del danno". Queste due disposizioni, ovviamente da inquadrarsi nel complesso della legge a cui appartengono, bastano, ad avviso di questa Corte, per collocare la particolare responsabilità civile in questione tra i casi di responsabilità civile ex lege ai quali si riferisce il comma secondo dell’art. 185 del codice penale quando stabilisce il principio per cui "ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui": ovviamente nel processo civile ove l’azione di responsabilità per danno sia esercitata, per qualsiasi motivo, indipendentemente o separatamente dall’azione penale e nel processo penale ove vi sia (e finchè vi sia) costituzione di parte civile del danneggiato. Un orientamento, questo, implicitamente confermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale, proprio con riferimento alla legge n. 990 del 1969, ha avuto occasione di osservare che la citazione della società assicuratrice si identifica nella creazione di una "nuova figura di responsabile civile" (v. sentenza n. 24 del 1973, n. 7 del Considerato in diritto). Tale é del resto anche il pensiero della dottrina e della giurisprudenza; e l’esperienza giudiziaria insegna che esistono casi nei quali la parte civile cita nel processo penale per reati commessi con violazione delle norme sulla circolazione di autoveicoli l’impresa assicuratrice come responsabile civile. Nè é qui superfluo rimarcare che sotto questo aspetto il processo penale si allinea pienamente sul modello del processo civile, nel quale l’art. 18 della legge n. 990 del 1969 abilita il danneggiato all’azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell’assicuratore.

Quando la Corte di cassazione esclude l’azione civile diretta del danneggiato contro l’assicuratore in sede civile (e conseguentemente esclude la citazione dell’assicuratore medesimo come responsabile civile nel processo penale) ciò avviene solo con riferimento a quelle assicurazioni che hanno la loro fonte esclusiva nel contratto, osservandosi che in questi casi l’assicuratore é soltanto tenuto verso l’assicurato, ovviamente nei limiti del capitale assicurato. Ma la stessa Corte di cassazione riconosce invece esplicitamente che l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante da circolazione di autoveicoli a motore e di natanti configura una responsabilità civile dell’assicuratore ex lege, da inquadrarsi nell’ambito di applicazione dell’art. 185 del codice penale (cfr. ex plurimis Cass. pen., Sez. VI, 8 novembre 1977, n. 15974; Sez. IV, 14 maggio 1987, n. 10910; Sez. IV, 12 aprile 1988, n. 10354; Sez. IV, 10 aprile 1997, n. 4940).

Ciò premesso, é evidente che nel giudizio civile di danno, cagionato dalla circolazione di autoveicoli a motore, il danneggiante convenuto ben può chiamare in garanzia l’impresa assicuratrice a’ sensi dell’art. 106 del codice di procedura civile, al quale é correlato, per quanto riguarda i rapporti di assicurazione della responsabilità civile, l’art. 1917, comma ultimo, del codice civile. Nè giova ad escludere questa possibilità il carattere di "garanzia impropria" generalmente (ma non senza contrasti) attribuito al tipo di rapporto assicurativo in discorso, carattere che assume rilievo per un ordine totalmente diverso di problemi, e precisamente ai fini della competenza per connessione di cui all’art. 32 del codice di procedura civile.

4. – Se, dunque, é fuori discussione la chiamata in garanzia dell’assicuratore da parte dell’assicurato convenuto in un giudizio civile per il risarcimento del danno provocato con la circolazione di autoveicoli sottoposti alle norme della legge per l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile, diviene fondato domandarsi perchè analogo potere non sia attribuito all’imputato nel processo penale. La posizione del convenuto chiamato a rispondere del proprio fatto illecito in autonomo giudizio civile e quella dell’imputato per il quale, in relazione allo stesso tipo di illecito, vi sia stata costituzione di parte civile del danneggiato nel processo penale sono assolutamente identiche: con la conseguenza che il principio costituzionale di eguaglianza é violato da un sistema come quello degli articoli 83 e seguenti del codice di procedura penale, per effetto del quale l’assicuratore, quando sia responsabile civile a’ sensi di legge può entrare nel processo solo in forza di citazione della parte civile (o del pubblico ministero nel caso previsto dall’art. 77, numero 4) o in forza del proprio intervento volontario. Nè si può trascurare di considerare che un sistema nel quale il danneggiato, costituendosi parte civile, diviene il dominus dell’estensione soggettiva degli effetti civili della sentenza penale, oltre ad apparire inadeguato rispetto ai ricordati strumenti di accesso del responsabile civile nel processo penale, risulta ben poco coerente rispetto al modello prefigurato dall’art. 651 del codice di procedura penale in ordine agli effetti di natura extra penale del giudicato penale, potendo tali effetti realizzarsi nei confronti del responsabile civile solo nel caso in cui egli sia stato citato o sia intervenuto volontariamente nel processo penale. Così da comprovare, ancora una volta, l’irrazionalità di una disciplina legislativa che, deviando – senza alcun plausibile motivo – dallo schema del rapporto processuale civile, priva l’imputato di ogni possibilità di coinvolgere nella pretesa di danno avanzata dalla parte civile il civilmente responsabile.

Non sembra infine possibile arrivare alla medesima conclusione in semplice via di interpretazione, sia perchè il principio di cui all’ultimo comma dell’art. 1917 del codice civile non può portare a tanto sia perchè la particolare disciplina dettata dal codice di procedura civile per la chiamata in garanzia non si presta ad essere utilizzata nello speciale contesto del giudizio civile di danno innestato nel processo penale mediante la costituzione di parte civile. Come si legge in una sentenza della Corte di cassazione, sia pure con riferimento a rapporti assicurativi diversi da quelli qui in esame, "gli istituti civilistici, quando vengono calati nel contesto del giudizio penale subiscono delle ‘reazioni di adattamento’, ma occorre che gli ‘adattamenti’ siano previsti da norme specifiche o che siano conseguenze necessitate da evidenti esigenze di equità e di armonizzazione" (Cass. pen., Sez. IV, 10 aprile 1997, n. 4940). Deve dunque dichiararsi la illegittimità costituzionale della norma denunciata per violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo sin qui esaminato, restando assorbiti gli altri profili di illegittimità denunciati dal giudice a quo sia in relazione allo stesso art. 3 sia in relazione agli articoli 24 e 97 della Costituzione. La chiamata in causa del responsabile civile da parte dell’imputato presuppone ovviamente la previa costituzione di parte civile e la permanenza della presenza di quest’ultima nel processo penale (cfr. in particolare l’art. 83, comma 6, cod. proc. pen.).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria prevista dalla legge 24 dicembre 1969, n. 990, l’assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 aprile 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Giuliano VASSALLI

Depositata in cancelleria il 16 aprile 1998.