SENTENZA N. 99
ANNO 1973
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO Presidente
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Giulio GIONFRIDA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 27 del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 27 aprile 1971 dalla Corte suprema di cassazione - sezione III civile - nel procedimento civile vertente tra Federici Gabriele e Corradetti Carolina, vedova Marchei, iscritta al n. 331 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 290 del 17 novembre 1971;
2) ordinanza emessa il 9 luglio 1971 dal tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra gli eredi di Cosentino Giuseppe e Caputo Vittorio, iscritta al n. 360 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 290 del 17 novembre 1971;
3) ordinanza emessa il 13 gennaio 1972 dalla Corte di appello di Catania nel procedimento civile vertente tra Ferrari Paolo ed Agostino e Di Francesco Nunziato ed altro, iscritta al n. 106 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 122 del 10 maggio 1972.
Udito nella camera di consiglio del 15 maggio 1973 il Giudice relatore Giulio Gionfrida.
Ritenuto in fatto
In un procedimento civile - pendente innanzi alla Corte di cassazione, a seguito del ricorso proposto da Gabriele Federici avverso la sentenza di secondo grado, che ne aveva confermato la condanna, quale responsabile civile della morte di Enrico Marchei (in quanto proprietario del mezzo investitore, il conducente del quale, Tonino Testardi, era stato appunto, condannato, per omicidio colposo con sentenza penale irrevocabile) - la Corte di cassazione, con ordinanza 27 aprile 1971, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 27 del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.
Nella motivazione del provvedimento di rinvio, espressamente si richiama la sentenza n. 55 del 1971 di questa Corte - dichiarativa dell'illegittimità dell'art. 28 del codice di procedura penale "nella parte in cui dispone che, nel giudizio civile o amministrativo, l'accertamento dei fatti materiali, oggetto di giudizio penale, sia vincolante anche nei confronti di coloro che vi rimasero estranei perché non posti in condizione di intervenire" - e, conseguentemente, si osserva che, in realtà, "considerazioni identiche (a quelle che, nella detta sentenza, sorreggono l'affermazione di contrasto dell'art. 28 del codice di procedura penale con l'art. 24 della Costituzione) potrebbero prospettarsi per l'art. 27 del codice di procedura penale, giacché, in base a tale norma, la sentenza di condanna ha autorità di cosa giudicata, quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità e alla responsabilità del condannato, anche nei confronti del responsabile civile, quantunque questi non sia stato citato, come non lo fu il Federici, nel procedimento penale, ad istanza della parte civile.
Il medesimo dubbio di legittimità dell'art. 27 del codice di procedura penale é stato sollevato anche dal tribunale di Napoli, con ordinanza 8 giugno 1971, nel procedimento instaurato dagli eredi di Giuseppe Cosentino contro Vittorio Caputo (proprietario dell'auto, alla cui guida Angelo Caputo aveva investito ed ucciso il Cosentino, venendo per questo condannato, per omicidio colposo, con sentenza penale irrevocabile); nonché dalla Corte di appello di Catania, con ordinanza resa, il 13 gennaio 1972, nel procedimento civile Vertente tra Paolo e Agostino Ferrari e Nunziato Di Francesco.
Tutte le ordinanze indicate sono state ritualmente notificate, comunicate e pubblicate.
Nessuna delle parti si é costituita in questa sede, né ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - Le ordinanze indicate in epigrafe sottopongono all'esame di questa Corte la questione se contrasti con l'art. 24 della Costituzione l'art. 27 del codice di procedura penale nella parte in cui consente che l'efficacia del giudicato penale, quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità e alla responsabilità del condannato, nel giudizio civile per risarcimento del danno, operi anche nei confronti del responsabile civile rimasto estraneo al giudizio penale.
I giudizi, in quanto sollevano una medesima questione, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Questa Corte, con sentenza n. 55 del 1971, ha già dichiarato la illegittimità dell'art. 28 del codice di procedura penale nella parte in cui dispone che nel giudizio Civile o amministrativo l'accertamento dei fatti materiali che furono oggetto di un giudizio penale sia vincolante nei confronti di coloro che rimasero ad esso estranei perché non posti in condizione di intervenirvi.
Nella pronuncia si é richiamato il principio, costantemente riconosciuto nella giurisprudenza della Corte, che per la esigenza di pienezza e di effettività del diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione é necessario che sia assicurata la instaurazione di un contraddittorio tra le parti. E si é rilevato che il contrasto con tale principio della efficacia vincolante dell'accertamento dei fatti materiali di cui alla predetta norma dell'art. 28 nei confronti di terzi rimasti estranei al giudizio penale, per impossibilità giuridica (in quanto non legittimati) o di fatto (perché non posti in condizione di intervenirvi) di partecipare al giudizio penale, non può giustificarsi con l'invocare la esigenza di economia processuale né quella di evitare contraddizioni meramente logiche fra giudicati diversi.
Le stesse ragioni valgono a dimostrare la fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 27 c.p.p., nella parte denunciata.
É vero che nel giudizio penale spettano al responsabile civile i diritti e le garanzie riconosciuti all'imputato (art. 123 c.p.p.), per ciò che concerne non solo l'accertamento se egli debba rispondere del danno cagionato dal reato, ma anche la responsabilità dell'imputato (cfr., per l'impugnazione, articolo 203, ultimo comma), ma la sua partecipazione al giudizio non può aversi se non a seguito di citazione ad istanza della parte civile o mediante intervento volontario dello stesso responsabile civile, il che presuppone in ogni caso che vi sia stata costituzione di parte civile (art. 112).
In difetto di tale costituzione, anche l'innovazione normativa prevista dall'art. 8 della legge 5 novembre 1969, n. 932, concernente l'avviso di procedimento, resta inoperante nei confronti del responsabile civile.
Va poi considerato, pur nell'ipotesi di costituzione di parte civile, che può verificarsi che il responsabile civile non sia stato posto in condizione di partecipare al giudizio, o per omissione dell'avviso predetto, ovvero, se chiamato dalla stessa parte civile, per nullità della citazione o della notificazione: nel qual caso, restando salvo l'esercizio davanti al giudice civile dell'azione di danni contro il responsabile civile (art. 111, comma terzo), questi non potrebbe, a norma dell'art. 27, porre in discussione la sussistenza del fatto, la sua illiceità, e la responsabilità del condannato, con evidente violazione del diritto di difesa.
Lo stesso é a dire per le ipotesi in cui il responsabile civile sia stato messo fuori causa a istanza del pubblico ministero o dell'imputato, a norma degli artt. 116 e seguenti, ovvero di ufficio dal giudice (art. 120).
In tutte le dette ipotesi in cui il responsabile civile non é stato in condizione di intervenire nel giudizio penale o di parteciparvi compiutamente per le cause predette, la estensione nei suoi confronti del vincolo di cui all'art. 27 c.p.p. importa violazione dell'art. 24 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 27 del codice di procedura penale, nella parte in cui dispone che nel giudizio civile o amministrativo la pronuncia del giudice penale ha autorità di cosa giudicata, quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità e alla responsabilità del condannato o di colui al quale sia stato conceduto il perdono giudiziale, anche nei confronti del responsabile civile che sia rimasto estraneo al giudizio penale perché non posto in condizione di parteciparvi.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1973.
Francesco PAOLO BONIFACIO – Giuseppe VERZÌ – Giovanni BATTISTA BENEDETTI – Luigi OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI – Nicola REALE – Paolo ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA. – Guido ASTUTI
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 27 giugno 1973.