SENTENZA N.246
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 21 e 33, comma 6, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), promosso con ordinanza emessa il 26 gennaio 1996 dal T.A.R. per la Calabria, sezione di Catanzaro, sul ricorso proposto da Scarfone Elsa contro il Ministero della pubblica istruzione ed altri, iscritta al n. 393 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 9 aprile 1997 il Giudice relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 4, 32 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 21 e 33, comma 6, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), perchè assicurano il diritto di precedenza nell'assegnazione della sede di lavoro soltanto al disabile che abbia un grado di invalidità superiore ai due terzi o con minorazioni iscritte alle categorie prima, seconda e terza della tabella A annessa alla legge 10 agosto 1950, n. 648 (art. 21) e comunque "in situazione di gravità" (art. 33, comma 6), anzichè riconoscere tale diritto a tutti i disabili. Siffatta limitazione violerebbe gli articoli 4 e 38 della Costituzione, che tutelano il diritto al lavoro come strumento di integrazione sociale (si richiamano, nella giurisprudenza di questa Corte, le sentenze n. 163 del 1983 e 50 del 1990), i diritti inviolabili dell'uomo (art. 2 della Costituzione), il principio di eguaglianza (si richiama la fattispecie, più favorevole rispetto a quelle in esame, di cui al comma 5 dell'art. 33 della legge n. 104 del 1992). Vi sarebbe altresì lesione dell'art. 32 della Costituzione, dal momento che la garanzia della vicinanza del luogo di lavoro, rispetto alla residenza, agevola la tutela dell'integrità fisica del disabile.
2. E' intervenuto nel senso dell'inammissibilità, e comunque dell' infondatezza, il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato dall'Avvocatura dello Stato.
L'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 - assunto dal giudice rimettente quale tertium comparationis - varrebbe per l'assistenza continuativa di un disabile grave. Il giudice a quo - prosegue l'Avvocatura - richiede alla Corte una sentenza additiva che estenda la tutela a tutti i disabili, la cui individuazione sarebbe rimessa non a dati tecnici prestabiliti, ma al bisogno individuale accertato in sede giudiziale; le forme di tutela e i benefici accordati ai disabili incidono, però, su diritti e aspettative di altri soggetti e sull'organizzazione del lavoro pubblico e privato.
Considerato in diritto
1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 4, 32 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 21 e 33, comma 6, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), perchè assicurano il diritto di precedenza nell'assegnazione della sede di lavoro soltanto al disabile che abbia un grado di invalidità superiore ai due terzi o con minorazioni iscritte alle categorie prima, seconda e terza della tabella A annessa alla legge 10 agosto 1950, n. 648 (art. 21) e comunque "in situazione di gravità" (art. 33, comma 6), anzichè riconoscere il diritto a tutti i disabili: a tal riguardo, il Collegio richiama l'art. 33, comma 5, della stessa legge n. 104 del 1992, relativo all'assistenza del disabile da parte del genitore o del familiare lavoratore, che può scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio.
2. La questione non é fondata.
Esaminando alcuni aspetti della legge n. 104 del 1992, questa Corte ne ha sottolineato l'ampia sfera di applicazione, diretta ad assicurare la tutela dei disabili: essa incide sul settore sanitario e assistenziale, sulla formazione professionale, sull'integrazione scolastica, e risponde all'auspicio rivolto al legislatore per l'introduzione di una normativa di garanzia (sentenze nn. 325 del 1996, 406 del 1992, 215 del 1987).
Tale disciplina é espressione di una complessa ponderazione legislativa delle diverse esigenze; le norme denunciate dal giudice a quo si inseriscono razionalmente nel sistema.
Non vi é lesione del principio di uguaglianza, perchè non vale il richiamo, quale tertium comparationis, dell'art. 33, comma 5, della legge n. 104, che riguarda una fattispecie diversa da quella in esame e che, inoltre, é stato interpretato da una parte della giurisprudenza in senso restrittivo, per la sola assistenza continuativa di un disabile grave. Nè é fondata la censura mossa con riguardo all'art. 2 della Costituzione: la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo é proprio il fine ispiratore della legge n. 104; e non se ne può isolare una singola disposizione - che introduce una disciplina favorevole al disabile, seppur circoscritta dai requisiti prima illustrati - per ipotizzare la lesione del citato parametro costituzionale.
La garanzia della vicinanza del luogo di lavoro rispetto alla residenza é strumento che agevola la tutela dell'integrità fisica del disabile, ma non può certo dedursi la violazione dell'art. 32 della Costituzione con riferimento alle condizioni poste al "diritto di precedenza" nell'assegnazione della sede. Considerazioni analoghe valgono per i parametri concernenti la tutela del diritto al lavoro (artt. 4 e 38 della Costituzione) che vanno interpretati riconoscendo al legislatore uno spazio per operare la ragionevole ponderazione degli interessi in gioco, e dunque l'introduzione di limiti nell'attribuzione di diritti e nel riconoscimento di altre situazioni soggettive di garanzia dei lavoratori disabili.
Nel dichiarare infondate le censure mosse agli articoli 21 e 33, comma 6, della legge n. 104, la Corte deve però segnalare l'esigenza di una verifica della normativa, con particolare riguardo all'adeguatezza della tabella A allegata alla legge 10 agosto 1950, n. 648: essa descrive le lesioni e le infermità che danno diritto alla pensione vitalizia o all'assegno rinnovabile, ed é richiamata dall'art. 21 della legge n. 104 per individuare i soggetti che hanno diritto di precedenza nell'assegnazione della sede di lavoro. La tabella risente, evidentemente, del tempo in cui é stata redatta, e non tiene conto di menomazioni di indubbia gravità, come quelle che discendono da interventi chirurgici.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 21 e 33, comma 6, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 4, 32 e 38 della Costituzione, dal Tribunale regionale amministrativo per la Calabria, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Francesco GUIZZI
Depositata in cancelleria il 18 luglio 1997.