SENTENZA N.243
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali), come modificato dalle sentenze della Corte costituzionale n. 115 del 1979, n. 821 del 1988, n. 471 del 1989 e n. 319 del 1991, in combinato disposto con gli articoli 457, 467 e 468 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 1° marzo 1996 dal Pretore di Lecce sul ricorso proposto da Corlianò Addolorata contro INADEL ed altri, iscritta al n. 821 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Udito nella camera di consiglio del 4 giugno 1997 il Giudice relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto in fatto
Nel corso di un procedimento civile -- promosso contro l'INADEL da Corlianò Addolorata onde ottenere il pagamento dell'indennità premio di servizio dovuta al proprio dante causa, segretario comunale deceduto in servizio, il quale con testamento olografo l'aveva istituita sua erede universale, o, in subordine, per ottenere il riconoscimento del diritto di succedere pro quota nella suddetta indennità per rappresentazione del defunto genitore, fratello del dante causa ed a questo premorto -- il Pretore di Lecce, con ordinanza emessa il 1° marzo 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali).
Secondo il rimettente, la norma stessa -- così come modificata dalla giurisprudenza di questa Corte --, in combinato disposto con gli artt. 457, 467 e 468 del codice civile, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 42, quarto comma, della Costituzione, "nella parte in cui pospone l'erede testamentario ai collaterali del lavoratore deceduto, senza alcuna condizione o limitazione, nell'acquisto dell'indennità premio di servizio nella forma indiretta, e nella parte in cui esclude il diritto di rappresentazione dei discendenti del collaterale premorto dall'acquisto della predetta indennità".
Premette il Pretore di Lecce che i ripetuti interventi, attraverso i quali la Corte ha ampliato le originarie categorie di soggetti aventi diritto all'indennità in questione nella forma indiretta -- ricomprendendovi, tra l'altro, anche i collaterali senza alcuna limitazione o condizione (sentenze n. 115 del 1979 e n. 821 del 1988), nonchè gli eredi testamentari e legittimi qualora manchino le persone indicate nella norma stessa (rispettivamente sentenze n. 471 del 1989 e n. 319 del 1991) -- risultano caratterizzati da diverse rationes decidendi, ispirate alla peculiare natura che l'indennità stessa assume a seconda che venga devoluta o meno ai prossimi congiunti ed agli altri parenti che ricevevano i mezzi di sussistenza dal prestatore di lavoro. Nel primo caso, infatti, l'indennità assolve una funzione previdenziale in favore di soggetti che, vivendo a carico del dipendente e dunque traendo il sostentamento dalla retribuzione da lui percepita, in conseguenza della sua morte rimangono pregiudicati nel rapporto alimentare instaurato con il medesimo ed acquistano, perciò, la predetta indennità iure proprio, indipendentemente dal fatto che siano o non chiamati all'eredità; mentre, nel secondo caso, emerge la natura meramente patrimoniale di retribuzione differita dell'indennità premio di servizio, la quale fa sì che i soggetti, chiamati per testamento o per legge, l'acquistino iure successionis.
Osserva peraltro il rimettente che, nella fattispecie in esame, le categorie di superstiti, destinatari iure proprio del beneficio, solo in parte sono individuate in ragione del rapporto di integrazione nel nucleo familiare del dipendente: appare, infatti, estranea a tale ratio previdenziale e assistenziale l'attribuzione in via prioritaria del beneficio in parola ai collaterali senza alcuna limitazione o condizione, atteso che questa categoria viene individuata unicamente in base al rapporto di parentela con il de cuius, senza che venga richiesta la sussistenza di un rapporto latamente alimentare con quest'ultimo. Ne consegue -- secondo il giudice a quo -- un'ingiustificata deroga al sistema generale della successione a causa di morte, atteso che la destinazione dell'indennità ai collaterali si risolve, in definitiva, nell'attribuzione di un diritto di credito avente natura retributiva e già entrato nel patrimonio del dipendente nel corso della sua vita lavorativa.
Da ciò, il prospettato contrasto con gli artt. 3 e 42, ultimo comma, della Costituzione, sotto il profilo dell'irragionevole individuazione dei soggetti, favoriti solo in virtù del rapporto di parentela e non in base a ragioni assistenziali.
In secondo luogo, ritiene il rimettente che la norma censurata, in combinato disposto con gli artt. 467 e 468 del codice civile, si porrebbe altresì in contrasto con i medesimi parametri costituzionali, là dove, menzionando soltanto i soggetti "superstiti", esclude implicitamente i discendenti del collaterale premorto dall'acquisto iure rapresentationis del diritto all'indennità di servizio.
Posto infatti che tale indennità, rispetto ai collaterali non viventi a carico del dipendente deceduto, non ha natura diversa dagli altri diritti patrimoniali caduti in successione, e viene acquisita non già per ragioni assistenziali bensì per quelle che sottendono l'istituto della successione legittima. Secondo il giudice a quo, sono pertanto illogiche ed ingiustificate, da un lato, la discriminazione tra il collaterale "superstite", che acquista il beneficio, e il discendente del collaterale premorto, che ne viene escluso (nonostante che entrambi i soggetti, in virtù delle norme generali in materia di rappresentazione, si trovino nel medesimo rapporto di parentela col defunto) e, dall'altro lato, la previsione di attribuzioni successorie "speciali o anomale" senza che ricorrano inderogabili esigenze di solidarietà familiare, ovvero di carattere sociale o assistenziale, che si risolvono in un'irrazionale restrizione del negozio testamentario.
Considerato in diritto
1. -- Il Pretore di Lecce dubita della legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 8 marzo 1968, n. 152 (come modificato dalle sentenze della Corte costituzionale n. 115 del 1979, n. 821 del 1988, n. 471 del 1989 e n. 319 del 1991), in combinato disposto con l'art. 457 del codice civile, "nella parte in cui pospone l'erede testamentario ai collaterali del lavoratore deceduto, senza alcuna condizione o limitazione, nell'acquisto dell'indennità premio di servizio nella forma indiretta".
Secondo il rimettente, la denunciata norma si pone in contrasto con l'art. 3 Cost., là dove prevede un'ingiustificata deroga ai princìpi generali della successione mortis causa, sotto il profilo dell'irragionevole individuazione dei soggetti favoriti, operata non in base a finalità assistenziali ma solo in ragione del rapporto di parentela, e con l'art. 42, ultimo comma, Cost., nella parte in cui esclude la disponibilità per testamento di un diritto soggettivo del de cuius, già facente parte del suo patrimonio.
In via subordinata, il dubbio di costituzionalità investe lo stesso art. 3, secondo comma, della legge 8 marzo 1968, n. 152, in combinato disposto con gli artt. 467 e 468 del codice civile, "nella parte in cui esclude il diritto di rappresentazione dei discendenti del collaterale premorto dall'acquisto della predetta indennità". A giudizio del rimettente, la norma verrebbe a vulnerare gli stessi parametri sopra evocati, per l'irrazionale discriminazione tra il collaterale superstite, che acquista il beneficio, e il discendente del collaterale premorto, che ne viene escluso, nonostante che entrambi i soggetti si trovino nel medesimo rapporto di parentela col defunto, nonchè per l'irrazionale restrizione del negozio testamentario, mediante la previsione di attribuzioni successorie "speciali o anomale" senza che ricorrano inderogabili esigenze di solidarietà familiare ovvero di carattere sociale o assistenziale.
2. -- La questione principale é fondata.
2.1. -- L'estensione del diritto all'erogazione dell'indennità premio di servizio nella forma indiretta ai collaterali dell'iscritto all'INADEL, a prescindere dalla condizione della loro inabilità a proficuo lavoro, della nullatenenza e della vivenza a carico dell'iscritto stesso -- operata dalla Corte con la sentenza n. 821 del 1988 -- va temporalmente collocata nel contesto del graduale processo di equiparazione di tale particolare sistema successorio a quello, analogo nella struttura e nelle finalità, riguardante l'indennità di buonuscita dei dipendenti statali.
All'affermazione dell'essere venuta meno una razionale e adeguata giustificazione della differente disciplina, in parte qua, dei due trattamenti, era conseguita la dichiarazione dell'illegittimità costituzionale delle suddette limitazioni alla successibilità dei collaterali sancite dalla sentenza n. 115 del 1979, che a sua volta aveva ampliato le originarie categorie di superstiti menzionate nelle lettere a) e b) della norma censurata, includendovi appunto i collaterali del de cuius ma nella forma condizionata connessa all'assolvimento della precipua "funzione previdenziale ed assistenziale" dell'indennità premio di servizio, ritenuta equivalente all'indennità di buonuscita (v. anche sentenza n. 110 del 1981).
2.2. -- L'inquadramento sistematico di tale peculiare vocazione, risultante dai menzionati interventi di questa Corte sulla norma in esame, ha tuttavia subìto una complessiva radicale evoluzione che ha portato la Corte stessa dapprima ad ampliare ulteriormente le categorie dei superstiti, ricomprendendovi anche gli eredi testamentari e quelli legittimi, fatta comunque salva la preminente tutela dei soggetti chiamati ope legis, i quali, "per essere integrati nel nucleo familiare del dipendente, ricevevano sostentamento dalla retribuzione che egli percepiva, e che per la di lui morte sono rimasti privi in tutto o in parte del sostentamento" (sentenze n. 471 del 1989 e n. 319 del 1991); e, in séguito, ad esplicitare il superamento della iniziale affermazione del carattere meramente previdenziale delle indennità di fine servizio dei pubblici dipendenti, già contenuto in nuce nelle sentenze da ultimo richiamate, riconoscendo al generale complesso dei trattamenti di fine rapporto nel settore pubblico -- in stretta analogia con quelli del settore privato -- l'essenziale natura di retribuzione differita, pur se legata ad una concorrente funzione previdenziale (v. sentenze n. 243 e n. 99 del 1993). In tal modo, peraltro, sostanzialmente venivano anticipate le linee direttrici della riforma introdotta dalla legge 8 agosto 1995, n. 335, il cui art. 2, comma 5, ha disposto che "per i lavoratori assunti dal 1° gennaio 1996 alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, i trattamenti di fine servizio, comunque denominati, sono regolati in base a quanto previsto dall'articolo 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine rapporto".
2.3. -- Tali indennità, dunque, costituiscono ormai una porzione del compenso dovuto per il lavoro prestato, la corresponsione del quale viene differita -- appunto in funzione previdenziale -- onde agevolare il superamento delle difficoltà economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione: spiegandosi, con ciò, perchè esse, nel caso di decesso del lavoratore in servizio, facciano già parte integrante del suo patrimonio.
In conformità a quanto da ultimo sottolineato nella sentenza n. 106 del 1996 da questa Corte (allora chiamata soltanto ad estendere la previsione della successibilità per testamento o ex lege nell'indennità di buonuscita maturata dal dipendente statale deceduto in servizio), va pertanto ribadito che la forma di devoluzione anomala dell'indennità -- attribuita, in deroga ai princìpi generali della successione mortis causa, esclusivamente a favore di determinati soggetti -- può trovare razionale fondamento e giustificazione nella richiamata concorrente funzione previdenziale del trattamento stesso, solo in considerazione del fatto che come destinatarie di questo siano indicate persone integrate nel nucleo familiare del de cuius, dalla retribuzione del quale esse ricevevano un sostentamento, venuto a cessare, in tutto o in parte, dopo la sua morte. Essendo altrimenti chiaro che, in assenza di tali soggetti -- a favore dei quali opera una riserva legale di destinazione -- perde qualunque rilevanza la suddetta concorrente funzione previdenziale, espandendosi in tutta la sua portata la natura retributiva dell'indennità stessa, la cui devoluzione non può che essere soggetta alle normali regole successorie.
2.4. -- La preferenza accordata dalla norma in esame alla posizione del collaterale non vivente a carico del de cuius, rispetto a quella dell'erede testamentario, determina pertanto l'irrazionale previsione di una vocazione anomala, la quale non trova fondamento nelle menzionate specifiche esigenze di solidarietà familiare che, sole, possono giustificare la deviazione dai generali princìpi codicistici in materia.
L'affermata connotazione unitaria, per natura e per funzione, delle varie categorie di indennità di fine rapporto -- pur se governate da diversi meccanismi di provvista e di erogazione dei singoli trattamenti -- consente peraltro a questa Corte di mutuare la disciplina dettata per i lavoratori privati dall'art. 2122 del codice civile e, quindi, di dichiarare l'illegittimità costituzionale -- in riferimento all'art. 3 della Costituzione -- della denunciata norma, nella parte in cui prevede che, in mancanza delle persone indicate nella norma stessa, i collaterali non viventi a carico del de cuius siano preferiti agli eredi testamentari ovvero agli eredi legittimi senza osservare le normali regole delle successioni legittime di cui al titolo II del libro secondo del codice civile.
Restano così assorbiti, tanto i profili legati all'altro parametro evocato dal rimettente (art. 42 Cost.), quanto la questione sollevata in via subordinata onde censurare la stessa norma (in combinato disposto con gli articoli 467 e 468 cod. civ.) nella parte in cui escluderebbe dalla devoluzione mortis causa il diritto di rappresentazione dei discendenti del collaterale premorto.
2.5. -- La generale portata di questa pronuncia non può non investire anche la omologa disposizione contenuta nell'art. 5, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), come sostituito dall'art. 7 della legge 29 aprile 1976, n. 177, la cui disciplina ebbe a fungere da tertium comparationis per la parificazione del trattamento degli aventi causa dei dipendenti degli enti locali a quello dei dipendenti statali (sentenza n. 821 del 1988).
In via conseguenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, si deve quindi -- sulla base delle stesse considerazioni svolte in ordine all'ingiustificata previsione di vocazioni anomale prive di un razionale fondamento legato alla prioritaria tutela di esigenze di solidarietà familiare -- dichiarare l'illegittimità costituzionale di detta norma, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che, in caso di morte del dipendente statale in attività di servizio, l'indennità di buonuscita, nella misura che sarebbe spettata al dipendente, competa, in mancanza degli altri soggetti indicati nella norma medesima, ai fratelli ed alle sorelle del de cuius soltanto a condizione che questi vivessero a suo carico.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali), nella parte in cui prevede che, nell'assenza delle persone ivi indicate, i collaterali non viventi a carico del de cuius siano preferiti agli eredi testamentari e, in mancanza di questi, agli eredi legittimi;
dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), come sostituito dall'art. 7 della legge 29 aprile 1976, n. 177, nella parte in cui non prevede che, nel caso di morte del dipendente statale in attività di servizio, l'indennità di buonuscita competa, nell'assenza degli altri soggetti ivi indicati, ai fratelli ed alle sorelle del de cuius solo a condizione che gli stessi vivessero a carico di lui.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Cesare RUPERTO.
Depositata in cancelleria il 18 luglio 1997.