Sentenza n. 499 del 1995

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SENTENZA N. 499

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 17 gennaio 1995 dal Pretore di Campobasso, nel procedimento civile vertente tra l'INAIL e Trentalange Pasquale, iscritta al n. 110 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visto l'atto di costituzione dell'INAIL; udito nella udienza pubblica del 7 novembre 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto; udito l'avv. Adriana Pignataro per l'INAIL.

Ritenuto in fatto

 

1. Nel corso di un procedimento civile promosso dall'INAIL nei confronti di un datore di lavoro al quale in sede penale era stata applicata ex artt. 444 e ss. del codice di procedura penale la pena della multa per il delitto di cui all'art. 590, terzo comma, cod. pen. per ottenere il rimborso delle prestazioni assicurative erogate in favore di un dipendente infortunato sul lavoro, il Pretore di Campobasso, con ordinanza emessa il 17 gennaio 1995, ha sollevato in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione questione di legittimità dell'art. 10, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nella parte in cui non consente che, ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'INAIL, l'accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche allorquando sia stata pronunciata nei confronti del datore di lavoro sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen. Premette il remittente che, in seguito agli interventi di questa Corte sulla normativa de qua (con le sentenze n. 22 del 1987 e n. 102 del 1981), allo stato attuale rispetto all'originaria previsione legislativa, che consentiva al giudice civile di accertare la responsabilità per un fatto che avrebbe costituito reato anche in presenza di una pronuncia penale di rito di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia -, l'INAIL può agire in regresso: a) avvalendosi direttamente della sentenza affermativa di responsabilità penale facente stato nel giudizio civile; b) giovandosi del potere-dovere del giudice civile di accertare incidentalmente la sussistenza del fatto reato, in caso di sentenza di condanna sprovvista di efficacia di giudicato in sede civile; c) in presenza di sentenza di non doversi procedere per morte del reo, amnistia o prescrizione; d) nel caso di proscioglimento istruttorio o archiviazione; e) nell'ipotesi di assoluzione del datore di lavoro nel giudizio penale al quale l'INAIL non abbia potuto partecipare. Rileva, peraltro, il Pretore a quo che l'avvenuta definizione del giudizio penale, promosso contro il datore di lavoro convenuto nel processo civile, con sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta delle parti, non gli consente di valutare il merito della proposta domanda di regresso. Ciò in quanto, da un lato, l'art. 445, comma 1, cod. proc. pen. esclude espressamente che il patteggiamento rivesta efficacia nei giudizi civili ed amministrativi, mentre, dall'altro lato, la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 251 del 1991) e di legittimità (Cassazione, sezioni unite penali, 27 marzo 1992, imp. Di Benedetto) ha posto in rilievo come l'applicazione concordata di pena non rivesta i caratteri di una vera e propria sentenza di condanna, in assenza di un accertamento pieno dei fatti e di un'affermazione incondizionata della fondatezza dell'accusa. Pertanto, l'impossibilità di ricondurre la fattispecie in quelle ipotesi di condanna penale, le quali, pur non facendo stato nei confronti dell'Istituto previdenziale in sede di regresso, tuttavia consentono l'accertamento del fatto reato da parte del giudice civile, realizza una situazione irragionevolmente lesiva dei diritti di azione e di difesa dell'INAIL, garantiti ex art. 24 della Costituzione, con violazione altresì dell'art. 3 della Costituzione, stante la disparità di trattamento rispetto ad analoghi casi in cui, anche in presenza di pronunzie penali che non entrano nel merito della fondatezza dell'accusa, non è precluso all'Istituto di coltivare in sede civile l'azione di regresso.

2. Si è costituito in giudizio l'INAIL, (depositando altresì una memoria nell'imminenza dell'udienza), il quale ha sostenuto, in via interpretativa sulla base della richiamata giurisprudenza costituzionale che ha affermato la possibilità di agire in regresso indipendentemente dall'esito del processo penale al quale l'Istituto non abbia potuto partecipare -, la propria legittimazione a proporre la relativa domanda civile anche in presenza di un patteggiamento, equiparabile nel suo contenuto ad una sentenza di condanna. Ha aggiunto l'Istituto che, solo ragionando in senso contrario alla luce della giurisprudenza di legittimità, secondo cui con il patteggiamento verrebbe affermata solo implicitamente la responsabilità dell'imputato -, si verificherebbero effettivamente le lesioni dei principi costituzionali prospettate dal Pretore a quo, con conseguente fondatezza della sollevata questione.

Considerato in diritto

 

1. Il Pretore di Campobasso dubita della legittimità costituzionale dell'art. 10, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui non consente che, ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'INAIL, l'accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche allorquando sia stata pronunciata nei confronti del datore di lavoro sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen. Secondo il remittente che prospetta l'impossibilità di considerare detto provvedimento come una vera e propria sentenza di condanna penale, la quale, pur non facendo stato nei confronti dell'Istituto previdenziale in sede di regresso, tuttavia consenta l'accertamento del fatto reato da parte del giudice civile la norma de qua si porrebbe in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, cagionando una lesione dei diritti di azione e di difesa dell'INAIL, in relazione alla facoltà di agire in regresso nei confronti dei responsabili civili degli infortuni subiti dai lavoratori assi curati, e con l'art. 3 della Costituzione, stante la disparità di trattamento rispetto agli analoghi casi in cui (in virtù delle sentenze n. 22 del 1967 e n. 102 del 1981 della Corte costituzionale), anche in presenza di pronunzie penali che non entrino nel merito della fondatezza dell'accusa, non è escluso all'Istituto di coltivare in sede civile l'azione di regresso.

2. La questione non è fondata, nei sensi di cui appresso. Questa Corte, nel quadro di una complessiva opera di estensione dell'originaria previsione legislativa de qua secondo cui l'accertamento del fatto reato in sede di regresso, non preceduto dalla pronuncia di una sentenza penale di condanna facente stato nel giudizio civile, era possibile nei soli casi di sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia -, con sentenza n. 102 del 1981 ebbe già a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, quinto comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965 "nella parte in cui non consente che, ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'INAIL, l'accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel caso in cui la sentenza di condanna penale non faccia stato nel giudizio civile instaurato dall'INAIL". Ebbene, attraverso un'interpretazione logica conforme a Costituzione della norma in tal modo emendata, è agevole riportare sotto l'applicabilità di questa anche il caso in esame: così da escludere che si verifichi la paradossale situazione paventata dal giudice remittente. Infatti, alla sentenza prevista dall'art. 444 cod. proc. pen. non si può certamente riconoscere natura di vera e propria sentenza di condanna, stante il profilo negoziale che la caratterizza e la conseguente carenza di quella piena valutazione dei fatti e delle prove che costituisce nel giudizio ordinario la premessa necessaria per l'applicazione della pena. Ciò nondimeno, occorre considera re che il successivo art. 445, comma 1, espressamente la equipara "a una pronuncia di condanna", tuttavia facendo salve le diverse disposizioni di legge che ne escludono alcuni effetti tipici, fra cui la stessa "efficacia nei giudizi civili o amministrativi". Appunto quest'ultima esclusione, disposta dal medesimo art. 445, comma 1 e che appare intrinsecamente conforme alla peculiare natura della sentenza de qua, non fondata sull'accertamento pieno della responsabilità dell'imputato -, abilita il giudice civile a conoscere incidentalmente di tale responsabilità, esattamente come avviene nel caso della vera e propria sentenza di condanna penale che non faccia stato nel giudizio promosso dall'INAIL in sede di regresso. Si viene così ad eliminare il dubbio di illegittimità costituzionale prospettato dal giudice a quo, il quale occorre ancora una volta ribadire nell'operare la ricognizione del contenuto normativo della disposizione da applicare, deve costantemente essere guidato dalla preminente esigenza del rispetto dei precetti costituzionali e quindi, ove un'interpretazione si riveli confliggente con alcuno di essi, è tenuto ad adottare le possibili letture alternative ritenute aderenti al parametro costituzionale, altrimenti vulnerato (v., da ultimo, sentenza n. 149 del 1994 e ordinanze n. 226 e n. 121 del 1994).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Campobasso con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 23/11/95.

Mauro FERRI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria l'11/12/95.