ORDINANZA N. 81
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
- Avv. Ugo SPAGNOLI
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e successive modificazioni ed integrazioni (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), promosso con l'ordinanza emessa il 14 aprile 1994 dalla Commissione tributaria di 1x grado di Verbania sui ricorsi riuniti proposti da Cocconi Arturo contro l'Ufficio imposte dirette di Verbania, iscritta al n. 343 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi.
RITENUTO che nel corso dei procedimenti instaurati da Cocconi Arturo, avverso due avvisi di accertamento emessi dall'Ufficio delle imposte dirette di Verbania, che aveva elevato i redditi dichiarati dal contribuente, la commissione tributaria di primo grado di quella città, previa la riunione dei due giudizi, ha sollevato, in relazione a
vari parametri costituzionali, questione di legittimità costituzionale dell'intero D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), nella parte in cui non regola gli istituti dell'astensione e della ricusazione del giudice tributario;
che il giudice a quo ha premesso, in fatto, che due dei tre componenti il collegio vantano rapporti di credito con l'ufficio imposte dirette di Verbania, parte in causa nel procedimento;
che in particolare un componente ha presentato a quell'Ufficio imposte dirette, per alcuni anni, le dichiarazioni annuali dei propri redditi (servendosi del modello 740) dalle quali risultano crediti d'imposta, per milioni, di cui è in attesa di rimborso;
che un altro componente ha presentato, allo stesso ufficio, l'istanza di rimborso per ritenute, a suo dire indebitamente operate, senza ricevere risposta favorevole, instaurando un contenzioso con vari uffici dell'amministrazione finanziaria (tra i quali quello parte in causa nel giudizio a quo);
che nessun componente il collegio ha, peraltro, ritenuto di doversi astenere, in considerazione del fatto che non esisterebbero norme sull'astensione e sulla ricusazione dei giudici tributari;
che - sempre ad avviso del collegio - l'articolo 51, primo comma, n. 3, codice di procedura civile, richiamato dall'art. 39, primo comma, del D.P.R. n. 636 del 1972, non sarebbe .compatibile/ con il procedimento che si svolge davanti alle Commissioni tributarie;
e che conseguentemente, se al processo tributario si applicasse tale disposizione la maggior parte delle commissioni tributarie rimarrebbe paralizzata;
che migliore disciplina non sarebbe rinvenibile neppure nel decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), per il nuovo processo tributario;
che, ad avviso della commissione tributaria rimettente, i giudici non devono soltanto assicurare l'imparziale applicazione della legge, ma devono anche apparire indipendenti ed imparziali;
che essendo costoro, nella gran parte, anche contribuenti del fisco, si trovano in una situazione singolare ed anomala (in taluni casi addirittura inquietante) per il cumulo della figura di controllore e controllato, inerendo ad essi il potere di annullamento degli atti di uffici tributari, nei confronti dei quali, come contribuenti, si trovano in una situazione di soggezione e, a volte, anche che per rimuovere tali situazioni, censurate dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di indipendenza dei giudici speciali (sentt. nn. 196 del 1982, 128 del 1974 e 121 del 1970), occorrerebbe stabilire, per i componenti le commissioni tributarie, il domicilio fiscale in un comune diverso da quello di residenza, posto in altra regione, così come gi previsto per alcuni contribuenti dall'art. 59 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi);
che, pur trattandosi di una soluzione di competenza del legislatore, la commissione rimettente ritiene comunque, in relazione alla questione di costituzionalità, di segnalare alla Corte, per violazione degli artt. 3, primo coma, 97, primo comma, 100, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione, tutta la normativa che regola il processo tributario in quanto non prevede l'astensione e la ricusazione del giudice, particolarmente quando quest'ultimo ha rapporti di credito o una causa pendente con l'ufficio tributario che è parte nella causa;
che la questione avrebbe rilevanza nel processo a quo, perché radicherebbe per due componenti il collegio, se fondata, il dovere di astenersi nel giudizio principale;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione;
che, secondo l'interventore, si applicano al processo tributario le norme del codice di procedura civile (sent. n. 196 del 1982) ed è alla luce di questo che vanno risolti i problemi posti dal giudice a quo;
che se è vero che i giudici tributari sono anche contribuenti, tanto non autorizza a ritenere interessato su ogni questione sottopostagli, in ragione dell'ufficio ricoperto, il singolo giudice tributario chiamato a decidere della causa;
che potrebbero verificarsi, al pi, ragioni di astensione a norma dell'art. 51, primo comma, n. 1, codice di procedura civile, quando il giudice tributario ha interesse diretto, come contribuente, in un'altra controversia vertente sull'identica questione di diritto a lui sottoposta;
che se anche la generalità dei giudici tributari fosse interessata alla medesima questione non per questo le commissioni tributarie dovrebbero bloccarsi rifiutando di decidere della causa; e, infatti, vi sono precedenti di decisioni del giudice amministrativo che esplicano effetti sull'intera categoria dei magistrati dello stesso ordine, essendo stata superata la difficoltà - se e in quanto rilevata - alla stregua del canone dell'esercizio normale della giurisdizione.
CONSIDERATO che l'ordinanza, pur indicando le disposizioni costituzionali che si assumono violate dal D.P.R. 636 del 1972, non fornisce alcuna motivazione in ordine ad essa;
che non è dato sapere quali particolari e specifiche ragioni riguardino le pretese violazioni degli indicati artt. 3, primo comma, 97, primo comma, 100, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione, anche in considerazione della genericità della normativa impugnata (un intero testo di legge) e della perplessità della motivazione svolta nell'ordinanza sulla legislazione applicabile al caso esaminato;
che, pertanto, non risultando sufficientemente determinato il thema decidendum, la questione va dichiarata inammissibile (sentt. 191 del 1992, 483 del 1991 e 137 del 1985).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 97, primo comma, 100, secondo comma e 108, secondo comma della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Verbania con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1995.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Francesco GUIZZI, Redattore
Depositata in cancelleria il 6 marzo 1995.