SENTENZA N. 290
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale delle leggi della Regione Sardegna riapprovate il 7 ottobre 1993 ed il 3 novembre 1993 dal Consiglio Regionale della Regione Sardegna, aventi per oggetto: "Tutela e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna", promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri, notificati il 28 ottobre ed il 19 novembre 1993, depositati in cancelleria il 5 ed il 27 novembre 1993 ed iscritti, rispettivamente, ai nn. 71 e 76 del registro ricorsi 1993.
Visti gli atti di costituzione della Regione Sardegna;
udito nell'udienza pubblica del 21 giugno 1994 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;
uditi l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno, per il ricorrente, e gli Avvocati Valerio Onida e Sergio Panunzio per la Regione.
Ritenuto in fatto
1. Il 3 agosto 1993 il Consiglio regionale della Sardegna ha approvato il testo di una legge in materia di "Tutela e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna", che è stato rinviato dal Governo il 10 settembre 1993, in quanto esorbitante per molteplici aspetti dalla competenza integrativa e attuativa posseduta dalla Regione in materia di istruzione e ordinamento degli studi (art.5, lettera a, dello Statuto speciale per la Sardegna).
In data 7 ottobre 1993 il Consiglio regionale ha riapprovato a maggioranza assoluta il testo di legge rinviato, apportandovi svariate modificazioni. Il testo così modificato è stato nuovamente rinviato dal Governo, con atto del 27 ottobre 1993, e contemporaneamente è stato impugnato, ai sensi dell'art.127 della Costituzione, con ricorso notificato il 28 ottobre 1993 e depositato il successivo 5 novembre (ricorso n. 71 del 1993).
In data 3 novembre 1993 il Consiglio regionale ha approvato nuovamente il testo di legge in questione a maggioranza assoluta.
Tale ultima delibera legislativa è stata pure impugnata dal Governo davanti alla Corte costituzionale, con ricorso n. 76 del 1993.
I due ricorsi (nn. 71 e 76 del 1993), che hanno analogo contenuto, contestano che con le delibere legislative impugnate la Regione Sardegna abbia travalicato i limiti della competenza integrativa attribuitale dall'art. 5, lettera a), dello Statuto speciale, in materia di "istruzione di ogni ordine e grado" e di "ordinamento degli studi".
In particolare il Governo ritiene che gli artt. 23 e 24 di entrambe le delibere legislative impugnate modifichino i programmi didattici delle scuole di ogni ordine e grado con interventi di carattere non meramente integrativo, che incidono profondamente sull'impianto dei programmi di insegnamento, la cui definizione spetta allo Stato.
2.- Costituitasi regolarmente in giudizio, la Regione Sardegna nel proprio atto di difesa deduce, anzitutto, l'inammissibilità del ricorso iscritto al n. 71 del Registro dei ricorsi del 1993, perchè avente ad oggetto una "legge nuova", rispetto a quella rinviata dal Governo al Consiglio regionale in data 10 settembre 1993. Il nuovo testo della legge regionale approvato il 7 ottobre 1993 a maggioranza assoluta conterrebbe, infatti, innovazioni sostanziali, riguardanti sia le disposizioni oggetto del rinvio, sia alcune disposizioni non censurate dal Governo al momento del rinvio. A seguito di tali modifiche, pertanto, il testo di legge approvato dal Consiglio regionale non potrebbe identificarsi con il precedente, rinviato dal Governo, ma dovrebbe essere qualificato come "legge nuova", alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale (si citano in particolare le sentenze n. 154 del 1990 e n. 497 del 1992). Tanto ciò appare vero, che il Governo, oltre ad aver impugnato la legge regionale davanti alla Corte costituzionale, ha reiterato il rinvio della medesima legge regionale, per gli stessi motivi addotti nel ricorso.
Anche in ordine al ricorso iscritto al n.76 del Registro dei ricorsi 1993, la Regione Sardegna dubita della sua ammissibilità essendo a suo avviso la motivazione del tutto generica.
Nel merito la Regione contesta la fondatezza delle censure mosse dal Governo nei confronti degli artt.23 e 24 della legge impugnata, osservando, innanzitutto, che le norme impugnate si inseriscono in una organica e articolata disciplina degli interventi regionali a tutela della cultura e della lingua della Sardegna, che nel loro insieme non vengono contestati dal Governo. Le censure si incentrano esclusivamente sulle due disposizioni sopra citate, sulla base dell'assunto che esse introdurrebbero programmi didattici non meramente integrativi, ma comporterebbero una profonda modificazione dell'impianto dei programmi di insegnamento.
Questo assunto è contestato dalla Regione Sardegna con l'osservazione che la legge impugnata si limiterebbe ad integrare i programmi nazionali, arricchendoli di alcuni contenuti diretti a valorizzare le specificità culturali regionali.
Tali integrazioni, secondo la Regione Sardegna, non sarebbero precluse dagli ordinamenti scolastici in vigore, essendo, anzi, naturale che nel concreto svolgimento dei programmi la scuola tenga conto della specifica realtà sociale e culturale in cui essa opera e in cui gli alunni sono cresciuti e crescono.
Più precisamente, la Regione ritiene che le "discipline" destinate ad integrare i programmi statali, ai sensi dell'art. 24, primo comma, della legge regionale impugnata, non si traducono in insegnamenti autonomi, ma sono destinate ad inserirsi "nei rispettivi programmi generali di insegnamento" (art. 24, secondo comma).
Così, ad esempio, la lingua e la letteratura sarde non costituirebbero vere e proprie materie di insegnamento, ma sarebbero piuttosto componenti dell'insegnamento delle materie letterarie.
Tale interpretazione sarebbe confermata, secondo la Regione, dal fatto che l'art. 24, primo comma, prevede che l'introduzione di tali discipline avvenga nelle forme stabilite dall'art. 23 della medesima legge, e cioé attraverso l'adattamento e l'integrazione dei "percorsi formativi scolastici" che devono essere posti a base dell'attività di sperimentazione prevista dalle normative statali. In altri termini, la Regione ritiene che le disposizioni impugnate si limitino ad integrare i pro grammi scolastici nazionali, sviluppando le possibilità di sperimentazione previste dalla legislazione statale, nel pieno rispetto dei limiti della competenza regionale di integrazione e di attuazione. In ogni caso, siffatti interventi sui programmi sono destinati ad essere definiti d'intesa tra la Regione e il Ministero competente (art.23, secondo e terzo comma, art. 25, primo comma, art. 27, secondo comma).
Da ultimo, la Regione sottolinea che tra le norme censurate non compare l'art. 28, secondo comma, che prevede l'integrazione in via definitiva dei programmi scolastici. Una volta ammessa implicitamente la legittimità della integrazione dei programmi scolastici in via definitiva, appaiono prive di fondamento, secondo la Regione, le censure rivolte dal Governo alle integrazioni introdotte in via sperimentale dalla Regione, d'intesa con il Ministero.
3.- In prossimità dell'udienza, la Regione ha depositato una memoria, nella quale viene rilevato un ulteriore motivo di inammissibilità di entrambi i ricorsi. Richiamando la più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, e in particolare la sentenza n. 172 del 1994, la Regione osserva che nei giudizi in via principale la deliberazione del Consiglio dei ministri deve, a pena di inammissibilità, indicare gli elementi minimi in base ai quali sia possibile determinare con sufficiente chiarezza i termini della questione che si è inteso sollevare. In particolare debbono essere indicati il parametro del giudizio e l'oggetto della impugnazione.
Ad avviso della Regione, le deliberazioni del Consiglio dei ministri che sono alla base dei presenti ricorsi non soddisfano tali requisiti di ammissibilità, considerato che contengono solo la de terminazione di impugnare dinanzi alla Corte costituzionale la legge della Regione Sardegna recante tutela e valorizzazione della lingua e della cultura della Sardegna.
Considerato in diritto
1.- Con i ricorsi indicati in epigrafe il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 23 e 24 contenuti in due leggi della Regione Sardegna, aventi il medesimo titolo (Tutela e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna), riapprovate a maggioranza assoluta dal Consiglio regionale rispettivamente il 7 ottobre 1993 e il 3 novembre 1993. Secondo il ricorrente, poichè gli articoli impugnati contengono modifiche ai programmi scolastici, la cui determinazione spetta esclusivamente allo Stato, essi violerebbero i limiti propri della competenza attuativa e integrativa attribuita dall'art. 5, lettera a), dello Statuto speciale per la Regione Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) a quest'ultima Regione in materia di "istruzione di ogni ordine e grado, ordinamento degli studi".
In via preliminare, la Regione Sardegna eccepisce l'inammissibilità dei ricorsi, essendo stato proposto, il primo (n.71/1993 R.r.) contro una "legge nuova", in violazione dell'art. 127 della Costituzione, e, il secondo (n. 76/1993 R.r.), con una motivazione del tutto generica. Sempre secondo la Regione, ambedue i ricorsi sarebbero inammissibili sotto l'ulteriore profilo per il quale essi risulterebbero basati su delibere governative dalle quali non sarebbe possibile desumere con sufficiente chiarezza i termini della questione sollevata.
2.- Va, innanzitutto, respinta l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Sardegna nei confronti di ambedue i ricorsi per l'asserita indeterminatezza delle delibere del Consiglio dei ministri che sono alla base dei ricorsi stessi.
Tanto nella delibera adottata il 26 ottobre 1993, quanto in quella adottata il 12 novembre 1993, il Consiglio dei ministri ha approvato il medesimo testo, consistente nella "determinazione di impugnare dinanzi alla Corte costituzionale la legge della Regione Sardegna recante tutela e valorizzazione della lingua e della cultura della Sardegna".
Risulta evidente, pertanto, che nella delibera contestata dalla resistente è indicata semplicemente la legge regionale oggetto di impugnazione, mentre è affermazione costante di questa Corte (v., ad esempio, sent. n. 496 del 1993) che, se pure in modo sintetico, la determinazione del Consiglio dei ministri volta a promuovere il giudizio di costituzionalità deve indicare l'oggetto e il parametro del giudizio stesso, in modo da rendere sufficientemente determinata o, quantomeno, determinabile nella sua sostanza la questione proposta.
Tuttavia, la stessa Corte, distinguendo dall'ipotesi regolata dall'art. 2, secondo comma, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, quella disciplinata dall'art. 127, terzo e quarto comma, della Costituzione (o dalle corrispondenti disposizioni contenute negli Statuti speciali, come quelle stabilite dall'art. 33 dello Statuto speciale per la Sardegna), ha recentemente precisato (v. sent. n. 172 del 1994) che quest'ultima ipotesi è particolarmente connotata dall'inserimento della promozione della questione di costituzionalità nell'ambito di un procedimento di formazione di una determinata legge regionale. E, se quest'inserimento comporta che i termini del giudizio debbano essere puntualmente precisati in relazione alle specifiche disposizioni che si intendono censurare e invocare a parametro del giudizio stesso, nello stesso tempo consente che la questione di costituzionalità, ove non risulti chiaramente individuabile dalla delibera relativa al ricorso, possa essere determinata anche alla luce delle fasi precedenti del procedimento legislativo, segnatamente alla luce dell'atto di rinvio deliberato dal Consiglio dei ministri al fine del riesame, da parte del Consiglio regionale, dei dubbi di legittimità nutriti dal Governo nei confronti della stessa legge. Poichè nel caso in questione gli atti di rinvio, che hanno preceduto l'impugnazione proposta con ambedue i ricorsi, contengono una puntuale determinazione sia delle disposizioni di legge contestate, sia delle norme statutarie ritenute violate, la Regione Sardegna non può fondatamente lamentarsi della indeterminatezza della questione di costituzionalità quale risulta dalle delibere del Consiglio dei ministri.
3.- Del pari è da respingere l'eccezione di inammissibilità relativa al secondo dei ricorsi proposti dal Presidente del Consiglio dei ministri, basata sull'asserita insufficienza della motivazione addotta. In realtà, il ricorso, oltre a contenere i termini della questione, espone, se pure succintamente, i motivi che sorreggono i dubbi di legittimità costituzionale sollevati. E tanto basta per far ritenere ammissibile il ricorso.
4.- Da accogliere è, invece, l'eccezione di inammissibilità proposta contro il primo dei ricorsi depositati sul presupposto che questo avrebbe ad oggetto una "legge nuova" rispetto a quella precedentemente approvata, con lo stesso titolo, dal Consiglio regionale in data 3 agosto 1993 e rinviata dal Governo il 10 settembre 1993.
A partire dalla sentenza n. 158 del 1988, questa Corte ha costantemente affermato (v., ad esempio, sentt. nn.79, 80 e 561 del 1989, 122 e 154 del 1990, 497 del 1992, 316 del 1993) che, ai sensi dell'art.127 della Costituzione (e degli articoli corrispondenti degli Statuti speciali, fra i quali l'art. 33 dello Statuto speciale per la Sardegna), una legge regionale rinviata va considerata come "nuova" nell'ipotesi in cui il legislatore in sede di riesame abbia apportato modificazioni, implicanti mutamenti del significato normativo, che non si limitano a incidere sulle disposizioni oggetto del rinvio, ma toccano (anche) disposizioni non interessate dal rinvio governativo.
Poichè il testo di legge oggetto del ricorso de quo, ancorchè approvato a maggioranza assoluta, contiene numerose modifiche delle disposizioni normative votate con la delibera legislativa oggetto del rinvio, delle quali soltanto alcune concernono le disposizioni censurate dal Governo al momento del rinvio, mentre molte altre riguardano parti della legge totalmente estranee alle osservazioni governative, si deve concludere che, sulla base dei criteri recentemente indicati, la legge oggetto del ricorso deve considerarsi come "nuova", ai sensi e agli effetti dell'art. 127 della Costituzione. E, in verità, contrariamente a quel che sembra supporre il Governo (che ha effettuato un rinvio per il riesame contestualmente alla proposizione del ricorso ora dichiarato inammissibile), nessun dubbio può ragionevolmente sussistere in proposito, poichè, come questa Corte ha già precisato (v. sent. n. 497 del 1992), gli anzidetti criteri hanno carattere "formale", e non "sostanziale", facendo dipendere la "novità" della legge, non già dall'importanza o dall'incisività dei cambiamenti apportati, ma dal dato certo ed evidente che la disposizione comunque modificata nel suo significato normativo sia o non sia stata interessata dalle censure formulate nell'atto di rinvio.
5.- Fondata è la questione di legittimità costituzionale sollevata con il ricorso iscritto al n.76 del registro dei ricorsi del 1993.
In materia di istruzione e di ordinamento degli studi, la ripartizione delle competenze fra lo Stato e la Regione Sardegna è tale che al primo spetta il potere di stabilire le "norme generali", dirette a garantire il godimento del diritto sociale all'istruzione in condizioni di eguaglianza, mentre alla seconda compete l'emanazione delle norme di attuazione e di integrazione. Questa è la distribuzione delle competenze quale risulta da un raffronto fra l'art.33, secondo comma, della Costituzione e l'art. 5, lettera a), dello Statuto speciale per la Regione Sardegna. In base alla ricordata disposizione della Costituzione, infatti, la "Repubblica detta le norme generali sull'istruzione". E non v'è dubbio che in tal caso, diversamente da quanto si verifica di regola nel testo costituzionale e da quella che era stata la dichiarata intenzione dei costituenti, l'espressione "la Repubblica" allude allo Stato come insieme dei poteri centrali, e non già come complesso dei molteplici poteri pubblici dislocati in tutto l'ordinamento giuridico, dal momento che soltanto l'ente rappresentativo dell'intera comunità nazionale è in grado di dettare le regole generali vòlte ad assicurare, senza distinzione di aree geografiche, un trattamento scolastico in condizioni di eguaglianza a tutti i cittadini. A questa esigenza di fondamentale omogeneità di trattamento si conforma anche l'art. 5, lettera a), dello Statuto speciale per la Sardegna, che nella predetta materia attribuisce alla Regione soltanto la "facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione".
Nell'ambito della potestà di determinazione delle "norme generali", spetta allo Stato individuare le discipline oggetto di insegnamento in ciascun tipo di scuola, oltre a stabilire l'orario di studio da dedicare a ogni disciplina. Non v'è dubbio, infatti, che, al fine di garantire un trattamento scolastico in condizioni di eguaglianza a tutti i cittadini, occorra assicurare un minimo di omogeneità dei programmi scolastici. Tale esigenza, per quel che concerne la scuola dell'obbligo, va collegata, in particolare, alla necessità di garantire a tutti, in modo sostanzialmente eguale, l'alfabetizzazione e un livello minimale di cultura generale, mentre, per quel che riguarda l'istruzione superiore, è indubbiamente connessa al riconoscimento del valore legale dei titoli di studio, diretti ad attestare la preparazione culturale e professionale del loro titolare. E dall'anzidetta esigenza non può discostarsi la Regione Sardegna nell'esercizio della competenza legislativa di attuazione e d'integrazione ad essa attribuita dall'art. 5, lettera a), del proprio Statuto di autonomia, il cui contenuto è significativamente diverso tanto dall'attribuzione della potestà legislativa di tipo concorrente alle Province autonome di Trento e di Bolzano a tutela delle minoranze linguistiche presenti nel proprio territorio (art. 9, n. 2, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e relative norme di attuazione), quanto dalle garanzie riconosciute alla Regione Valle d'Aosta in relazione agli adattamenti alle necessità locali da apportare agli insegnamenti scolastici in cooperazione con il Ministero della pubblica istruzione (art. 3, lett. g, e art. 40 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta e relative norme di attuazione).
6.- Gli artt. 23 e 24 della legge regionale impugnata prevedono una disciplina unitaria vòlta a tutelare e a valorizzare le culture e le lingue diffuse in Sardegna mediante progetti di ambito regionale e locale, stabiliti d'intesa col Ministero della pubblica istruzione, diretti a individuare "i percorsi formativi scolastici con l'introduzione delle aree disciplinari" relative alla lingua e letteratura sarde, alla storia della Sardegna, alla storia dell'arte, alla musica e alla danza sarde, alla geografia e alla ecologia della Sardegna. Tale integrazione dovrebbe realizzarsi attraverso un procedimento il cui inizio è previsto entro un anno dall'entrata in vigore della legge (art. 25) e il cui sviluppo prevede, dapprima, una fase di sperimentazione (art. 27) e, successivamente, una modificazione definitiva dei "programmi ministeriali nel sistema delle scuole di ogni ordine e grado" (art. 28, secondo comma).
Per quanto i termini usati dal legislatore regionale negli articoli impugnati rivelino una certa ambiguità, l'esame delle disposizioni contestate nell'ambito della complessiva disciplina predisposta non lascia dubbi sul fatto che gli interventi previsti sono diretti a incidere illegittimamente sulla competenza, di esclusiva spettanza dello Stato, concernente la determinazione degli insegnamenti curriculari mediante l'inserimento nei programmi scolastici di nuove materie.
Questa interpretazione, contestata dalla Regione nelle sue memorie difensive, è confermata sia dal dato testuale che l'impugnato art. 24 espressamente stabilisce un elenco di discipline da inserire nei programmi scolastici, sia dalla previsione che "l'introduzione delle aree disciplinari" debba avvenire, a norma dell'art. 23, secondo comma, d'intesa con il competente ministero (intesa che, peraltro, non è oggetto specifico di contestazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri).
Quest'ultima previsione, in particolare, sarebbe del tutto superflua ove l'obiettivo della legge fosse soltanto quello di valorizzare la cultura sarda nell'ambito degli spazi di libertà concessi ai singoli istituti scolastici nell'attuazione dei pro- grammi stabiliti per tutte le scuole dal Ministero della pubblica istruzione, mentre ha un senso soltanto nella prospettiva di modificare i programmi scolastici, la quale ovviamente non può esser realizzata senza il coinvolgimento dell'autorità statale competente a determinare e a modificare i predetti programmi.
Nè, infine, può riconoscersi pregio all'altra affermazione della Regione, secondo la quale quest'ultima avrebbe semplicemente utilizzato gli spazi che le leggi statali lasciano nell'ambito delle attività di sperimentazione, poichè nella stessa legge impugnata la sperimentazione configura semplicemente una fase temporanea del processo di integrazione delle discipline scolastiche (art. 27), destinato a concludersi, all'esito positivo della verifica della sperimentazione, in definitiva modificazione dei programmi delle scuole (art. 28).
Poichè, dunque, le disposizioni impugnate esorbitano dalla competenza di integrazione e di attuazione attribuita alla Regione Sardegna dall'art.5, lettera a), del proprio Statuto speciale, va dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 23 e 24 della legge oggetto del presente giudizio.
Tale dichiarazione d'incostituzionalità finisce per colpire, in realtà, tutto il titolo IV della legge medesima, che contiene norme dirette a disciplinare le varie fasi del processo di modificazione dei programmi scolastici, previsto in via generale dalle disposizioni impugnate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 23 e 24 e dell'intero titolo IV della legge della Regione Sardegna, dal titolo "Tutela e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna", riapprovata dal Consiglio regionale sardo nella seduta del 3 novembre 1993.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 1994.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Antonio BALDASSARRE, Redattore
Depositata in cancelleria il 13/07/1994.