Sentenza n. 244 del 1993

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SENTENZA N. 244

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14, secondo comma, del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative ed interventi di carattere assistenziale ed economico), convertito dalla legge 29 febbraio 1988, n. 47 e dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative), promosso con ordinanza emessa il 13 febbraio 1992 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel procedimento civile vertente tra Pascarella Giovanni ed il Comune di Cervino, iscritta al n. 38 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1993;

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 21 aprile 1993 il Giudice relatore Gabriele Pescatore.

 

Ritenuto in fatto

 

l. Il tribunale di S. Maria Capua Vetere, con ordinanza 13 febbraio 1992 - emanata nel corso di un giudizio di risarcimento dei danni, promosso nel 1988 dal proprietario di un immobile assoggettato nel 1985 ad occupazione d'urgenza (finalizzata all'occupazione di una strada) per la durata di cinque anni - ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 42 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, secondo comma, del d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, conv. nella l. 29 febbraio 1988, n. 47 e dell'art. 22 della l. 20 maggio 1991, n. 158 in quanto, "prorogando i termini di scadenza delle occupazioni temporanee autorizzate ai sensi dell'art. 20 della l. 22 ottobre 1971, n. 865, non consentono ai proprietari dei beni occupati, sui quali è stata realizzata l'opera pubblica, di agire in giudizio per il ristoro dei danni subiti".

 

Secondo il giudice a quo la scadenza del termine di occupazione legittima costituisce una condizione dell'azione di risarcimento e, come tale, deve verificarsi nel corso del giudizio. Per effetto delle proroghe intervenute, viceversa, il termine di scadenza - determinato con il decreto che autorizzava l'occupazione in cinque anni dall'immissione in possesso, avvenuta il 10 aprile 1985 - è stato prorogato di due anni, ai sensi dell'art. 14 del d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, convertito nella legge 29 febbraio 1988, n. 47, e ancora di altri due anni, ai sensi dell'art. 22 della l. 20 maggio 1991, n. 158. Da qui la rilevanza della questione, in quanto, in mancanza della declaratoria d'illegittimità costituzionale delle norme impugnate, la domanda di risarcimento dovrebbe essere rigettata, persistendo legittimamente l'occupazione sino al 10 aprile 1994.

 

Il contrasto delle ripetute proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni con gli artt. 24 e 42, terzo comma, della Costituzione è dedotto in riferimento alla circostanza che il proprietario del bene occupato può agire in giudizio solo per ottenere l'indennità di occupazione, la quale non copre l'intera area del pregiudizio sofferto. In fatti "il titolare del bene occupato, pur avendone perso la disponibilità per effetto della realizzazione dell'opera pubblica, nel termine autorizzato continua ad esserne il proprietario e deve, quindi, sopportare i relativi oneri" e non può agire "per il ristoro dei danni, benchè la realizzazione dell'opera pubblica abbia determinato la compressione delle facoltà connesse alla proprietà del bene occupato".

 

Le proroghe suddette - secondo il giudice a quo - con la loro continua reiterazione, pongono in essere un espediente per impedire al proprietario di ottenere l'indennità di espropriazione prevista dall'art. 42, terzo comma, della Costituzione.

 

2. Dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata, tenuto conto che ai proprietari dei beni occupati spetta, per tutto il periodo di occupazione, la relativa indennità e, al termine dell'occupazione legittima, essi potranno agire a tutela di ogni altro loro di ritto.

 

Considerato in diritto

 

l. Questa Corte è chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale dell'art. 14, secondo comma, del d.l. 29 dicembre 1987, n.534, conv. nella l. 29 febbraio 1988, n. 47 e dell'art. 22 della l. 20 maggio 1991, n. 158, i quali hanno prorogato i termini di scadenza delle occupazioni temporanee autorizzate ai sensi dell'art. 20 della l. 22 ottobre 1971, n.865.

 

Secondo il giudice a quo dette proroghe violerebbero gli artt. 24 e 42 della Costituzione, costituendo un espediente per impedire ai proprietari dei beni occupati di agire in giudizio per ottenere le indennità di espropriazione ed il risarcimento dei danni per il protrarsi del termine originariamente stabilito.

 

2. La questione non è fondata.

 

L'art. 20 della l. 22 ottobre 1971, n. 865, dopo avere statuito al primo comma che l'occupazione d'urgenza delle aree da espropriare perde efficacia se non è seguita, nel termine di tre mesi, dalla emanazione del relativo decreto, stabilì, nel secondo comma, che "l'occupazione può essere protratta fino a cinque anni dalla data di immissione nel possesso".

 

Tale ultimo termine è stato prorogato una prima volta (di un anno) dalla l.29 luglio 1980, n. 385; poi, fino al 31 maggio 1982, dall'art. 1 del d.l. 28 luglio 1981, n. 396, così come conv. dall'articolo unico della l.25 settembre 1981, n. 535; successivamente, fino al 31 dicembre 1982, dall'art. 1 del d.l.29 maggio 1982, n. 298, conv. nella l. 29 luglio 1982, n. 481, e fino al 31 dicembre 1983 dall'articolo unico della l. 23 dicembre 1982, n. 943. Dette proroghe sono successive alla declaratoria d'illegittimità costituzionale - pronunciata con la sentenza n. 5 del 1980 - dei criteri di determinazione dell'indennità di espropriazione delle aree a destinazione edificatoria, stabiliti dalla legge n. 10 del 1977.

 

Questa Corte (sent. n. 223 del 1983) ravvisò uno stretto collegamento fra quelle proroghe e la normativa dettata dall'art. 1 della legge n. 385 del 1980, dichiarata incostituzionale per violazione degli artt. 42 e 136 della Costituzione, in quanto diretta - tra l'altro - ad impedire la piena ed immediata operatività della sentenza n. 5 del 1980. Fu pronunciata, pertanto, la illegittimità dell'articolo unico della legge n. 535 del 1981, nonchè quella conseguenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, delle altre su menzionate norme di proroga, non impugnate dai giudici remittenti.

 

Nella stessa sentenza n. 223, peraltro, la Corte costituzionale auspicò un intervento legislativo che desse "una nuova e permanente disciplina delle indennità per la espropriazione delle aree edificabili", eliminando l'incertezza circa i possibili costi degli espropri, rendendoli economicamente ragionevoli, pur nel rispetto dell'art. 42 della Costituzione. Ciò in conformità del principio secondo il quale l'indennizzo garantito dalla Costituzione non deve corrispondere necessariamente al valore reale del bene, ma essere "congruo" in relazione al contemperamento fra l'"interesse generale" all'espropriazione e l'interesse del proprietario al giusto ristoro per il sacrificio del suo diritto (cfr. al riguardo, per la giurisprudenza più antica le sentenze n.67 del 1959 e n. 91 del 1963 e, per quella più recente, le sentenze n. 216 del 1990 e nn. 1022 e 530 del 1988).

 

3. La nuova disciplina delle indennità di espropriazione, pur essendo necessaria ed urgente, ha avuto un iter legislativo estremamente lento ed è stata attuata solo con la legge 8 agosto 1992, n. 359 (art. 5 bis aggiunto, in sede di conversione, al d.l. 11 luglio 1992, n. 333). Tale ritardo ha esplicato gravi riflessi sull'attività amministrativa, determinando situazioni di incertezza e di asseriti inadempimenti e creando un diffuso contenzioso.

 

Le norme impugnate dai giudici remittenti - così come il precedente art. 1, comma 5 bis, aggiunto al d.l. 22 dicembre 1984, n. 901 dalla legge di conversione 1* marzo 1985, n. 42 - sono state emanate (secondo quanto si evince dai lavori parlamentari) al fine di protrarre la validità delle occupazioni dei suoli connesse ai procedimenti espropriativi, in attesa che il Parlamento procedesse all'approvazione della nuova disciplina delle indennità di esproprio.

 

A tale scopo, ai sensi dell'anzidetto comma 5 bis, per le occupazioni di urgenza in corso alla data di entrata in vigore di quest'ultima, la scadenza del termine quinquennale di cui al secondo comma dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, è stata prorogata di un anno e la proroga è stata successivamente protratta, complessivamente, di altri quattro anni dall'art.14, secondo comma, del d.l. n.534 del 1987 e dall'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158.

 

Trattasi di un periodo di tempo sicuramente lungo, che non ha consentito la tempestiva liquidazione ed il pagamento delle indennità di espropriazione, nonchè l'esperibilità delle azioni per il risarcimento dei danni da occupazione illegittima. Ma tali ritardi, determinati da riconosciute esigenze obiettive, sorrette da motivi di pubblico interesse, non possono essere considerati tali da compromettere i diritti del proprietario con lesione dell'art. 42 della Costituzione.

 

Va osservato al riguardo che le norme di adozione delle proroghe in questione sono sorrette da una ratio diversa da quella posta a fondamento della disciplina dichiarata illegittima con la sentenza n. 223 del 1983.

 

Quest'ultima normativa era elusiva di una dichiarazione d'incostituzionalità, mentre la disciplina in esame persegue lo scopo di dare attuazione all'invito di questa Corte volto a realizzare la sistemazione della materia in modo conforme ai principi dalla Corte stessa fissati.

 

É da rilevare poi, secondo quanto è stato affermato con la sentenza n. 365 del 1992, che l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, nello statuire che la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale, "dà fondamento e disciplina, con le relative implicazioni costituzionali, non soltanto agli atti espropriativi in senso proprio, ma pure a quelli inerenti all'occupazione del bene, imponendo un giusto indennizzo anche per la durata di tale occupazione, che impedisce al proprietario la disponibilità e il godimento del bene". Tale indennizzo, dopo la declaratoria d'illegittimità costituzionale - contenuta nella sentenza n. 470 del 1990 - dell'art. 20, quarto comma, della legge n. 865 del 1971 (nel testo modificato dall'art. 14 della l. 28 gennaio 1977, n. 10), può essere, invero, richiesto dall'interessato sin dal momento dell'occupazione del bene.

 

Ne deriva che le norme impugnate, pur pro traendo la legittimità delle occupazioni, determinando alcune remore temporali nell'ambito del procedimento espropriativo, non producono lesione all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, trovando la loro giustificazione nella peculiarità della situazione alla quale hanno inteso provvedere.

 

Ed è inoltre da osservare che alle anzidette remore, che gravano il proprietario, corrisponde il suo diritto a chiedere l'immediata liquidazione dell'indennità di occupazione.

 

La legittimità delle proroghe preclude l'esistenza di un diritto al risarcimento del danno e la conseguente tutela ex art. 24 della Costituzione. É pertanto infondata anche la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento a tale norma.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.14, secondo comma, del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative ed interventi di carattere assistenziale ed economico), convertito dalla legge 29 febbraio 1988, n. 47 e dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n.158 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative), sollevata in riferimento agli artt. 24 e 42 della Costituzione, dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con l'ordinanza in dicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/05/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Gabriele PESCATORE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 19/05/93.