SENTENZA N. 67
ANNO 1959
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente
Prof. Tomaso PERASSI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Prof. Ernesto BATTAGLINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto legislativo 11 marzo 1948, n. 409, ratificato con legge 22 aprile 1953, n. 342, promosso con ordinanza emessa il 16 dicembre 1958 dal Tribunale di Bologna nel procedimento civile Vertente tra il Comune di Ravenna e il Ministero delle Finanze, iscritta al n. 53 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64 del 14 marzo 1959.
Udita nell'udienza pubblica dell'11 novembre 1959 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;
uditi l'avv. G. Marco Dallari per il Comune di Ravenna e il sostituto avvocato generale dello Stato Luigi Tavassi la Greca per l'Amministrazione finanziaria dello Stato.
Ritenuto in fatto
Nel 1943 era stato costruito un rifugio antiaereo provvisorio su un'area comunale nel centro della città di Ravenna. A seguito del decreto legislativo 11 marzo 1948, n. 409, ratificato con legge 22 aprile 1953, n. 342, il Prefetto di quella Provincia nel 1953 offriva al Comune l'indennità di espropriazione in lire 12.060, oltre agli interessi maturati. L'indennità era stata commisurata sul valore venale dell'immobile al momento della sua occupazione, ai sensi dell'art. 2 del detto decreto legislativo, il quale, nel primo comma, dispone che l'indennità di espropriazione del suolo é determinata in base al valore venale dell'immobile al momento dell'avvenuta occupazione e prescrive, con il secondo comma, che sulla somma dovuta come indennità devono corrispondersi, dalla data dell'avvenuta occupazione, gli interessi nella misura legale.
Trascorsi trenta giorni dall'offerta senza che il Comune interessato dichiarasse di accettarla, la somma veniva depositata come per legge, ed il Prefetto, in data 14 giugno 1957, decretava l'espropriazione.
Il Comune conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Bologna il Ministero delle finanze e sollevava, fra l'altro, l'eccezione di incostituzionalità del decreto legislativo del 1948, il quale, disponendo, con il richiamato art. 2, che l'indennità di espropriazione sia riferita al valore dell'immobile al momento della sua occupazione (nella specie: 1943) e non a quello del trasferimento coattivo (nella specie: 1957), consentirebbe la corresponsione di un'indennità, che, a causa della intervenuta svalutazione monetaria, sarebbe irrisoria e meramente simbolica, e ciò in evidente contrasto con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione.
Il Tribunale, con ordinanza del 16 dicembre 1958, ritenuta l'influenza della questione ai fini della decisione della causa e la sua non manifesta infondatezza, rimetteva gli atti alla Corte costituzionale, osservando come la sollevata eccezione comporti l'esame di due punti: e cioè quale sia la corretta interpretazione di "indennizzo" a norma dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, con particolare riferimento alla data cui esso deve essere riferito; e se il diritto dell'espropriato all'indennità, prima della sua liquidazione, costituisca - a norma della Costituzione - un credito di valore o di valuta.
L'ordinanza, notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle Camere legislative in data 8 e 9 gennaio e 3 febbraio 1959, fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica il 14 marzo successivo.
In questa sede si é costituito il Comune di Ravenna, il quale, nelle deduzioni depositate in cancelleria il 2 febbraio 1959, espone che, in applicazione dell'art. 2 del decreto legislativo n. 409 del 1948, secondo cui l'indennità deve riferirsi non alla data dell'espropriazione bensì a quella della occupazione provvisoria, esso Comune é stato privato di un terreno edificatorio situato al centro della città con un indennizzo totale di lire 12.000, pari a L. 30 al metro quadrato, commisurato al valore che detto immobile aveva alla data dell'occupazione, avvenuta nel 1943, e corrispondente, come afferma il Comune stesso, a meno di un millesimo del suo effettivo valore nel 1957, epoca della espropriazione definitiva. La difesa comunale sostiene che tale enorme sproporzione, per cui la misura dell'indennità si riduce ad un ammontare simbolico, dipende dall'applicazione del citato articolo 2, che, rompendo un rapporto di necessaria contestualità e disarticolando, tra due epoche monetarie profondamente diverse, la data di determinazione dell'indennità da quella del trasferimento coattivo della proprietà, ha reso possibile la irrisorietà dell'indennizzo. In tal modo - conclude il Comune - l'articolo 2 del citato decreto si rivela in contrasto con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, secondo l'interpretazione che la Corte costituzionale avrebbe dato del concetto di indennizzo con la sentenza n. 61 del 1957.
L'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi in rappresentanza dell'Amministrazione finanziaria dello Stato, nelle deduzioni depositate il 22 gennaio 1959 e nella memoria del 28 ottobre successivo, si richiama anch'essa all'interpretazione che la Corte costituzionale avrebbe dato del concetto di indennizzo di cui all'art. 42, terzo comma, della Costituzione con la citata sentenza n. 61 del 1957. L'Avvocatura sostiene che, essendo stata ritenuta non necessaria la corrispondenza dell'indennizzo con il valore venale del bene espropriato, dovrebbe dedursene che l'indennità, di cui si tratta nel presente giudizio, non può considerarsi alla stregua di quella liquidazione meramente simbolica che é stata ritenuta incompatibile con il precetto costituzionale.
L'Avvocatura dello Stato rileva che lo scopo del decreto legislativo n. 409 del 1948 é stato quello di sanare, attraverso la dichiarazione retroattiva di pubblica utilità, quelle situazioni di fatto che, a causa degli eventi bellici, determinarono a suo tempo misure di occupazione per la costruzione di opere destinate alla difesa antiaerea. Esso avrebbe adottato, cioè, una soluzione analoga a quella prevista dalla legge per il risanamento della città di Napoli, nel senso di considerare le occupazioni effettuate in passato come occupazioni definitive ai fini della espropriazione. Ed é per questo che il decreto in parola prescrive che l'indennizzo va commisurato al valore dell'immobile al momento della sua occupazione e prevede il pagamento degli interessi dalla data dell'occupazione stessa.
In altre parole, attraverso la sanatoria operata dal decreto del 1948, n. 409, il proprietario del bene espropriato verrebbe a trovarsi nella stessa situazione di chi avesse subito l'espropriazione dell'immobile al momento in cui questo venne effettivamente occupato, Senza aver potuto riscuotere il relativo indennizzo sia pure per colpa della pubblica Amministrazione. E poiché il credito dell'espropriato é un credito di valuta, l'eventuale ritardo nella liquidazione dell'indennità di esproprio, in applicazione del principio nominalistico sancito dall'art. 1277 del Codice civile, può legittimare soltanto il pagamento degli interessi di mora, ma non consente una rivalutazione dell'indennità per effetto della sopravvenuta svalutazione monetaria.
A sostegno di tale tesi, l'Avvocatura dello Stato osserva che le opere permanenti di protezione antiaerea rientrano nella categoria delle "opere destinate alla difesa nazionale", prevista nel primo comma dell'articolo 822 del Codice civile: con la conseguenza che dette opere, data la loro natura, entrano a far parte del demanio dello Stato fin dal momento della loro costruzione, sicché il trasferimento nel demanio statale - e quindi la data alla quale l'indennizzo deve riferirsi - coincide con quella dell'occupazione delle aree stesse.
Tale argomentazione troverebbe una conferma sia nel disposto dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 409 del 1948, che fa riferimento alle norme in materia di espropriazione per pubblica utilità Soltanto per quanto concerne la liquidazione dell'indennità, sia nel successivo articolo 5, che, con una statuizione puramente dichiarativa, considera di pertinenza del demanio dello Stato le opere permanenti di protezione antiaerea.
Vero é, prosegue l'Avvocatura, che in difetto di una norma legislativa l'occupazione si sarebbe potuta ritenere abusiva o divenuta tale per decorso del biennio e, in questa seconda ipotesi, si sarebbe dovuto procedere a nuova espropriazione, con conseguente liquidazione dell'indennità alla stregua del nuovo potere d'acquisto della moneta, ma nessun precetto della Costituzione impedisce che, in via legislativa, siano sanate situazioni irregolari, specie se conseguenti ad eventi eccezionali, come quelli bellici.
In conclusione, secondo l'Avvocatura dello Stato, il criterio di determinazione dell'indennità di espropriazione adottato dal decreto legislativo del 1948 potrà, se mai, ritenersi rigoroso, ma non in contrasto con i precetti costituzionali, e pertanto la questione di legittimità, oggetto del presente giudizio, deve ritenersi infondata.
All'udienza i difensori delle parti hanno illustrato le già dedotte conclusioni, insistendovi.
Considerato in diritto
É da rilevare preliminarmente che nell'attuale controversia non si discute se sia o no legittimo il sistema adottato dal decreto legislativo 11 marzo 1948, n. 409, per definire le Situazioni provvisorie che si erano determinate nel periodo bellico con l'occupazione delle aree occorrenti per la costruzione di rifugi antiaerei: l'attuale controversia ha per oggetto esclusivamente la legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 2, primo e secondo comma, di quel decreto legislativo, riflettente l'indennità di espropriazione. E, pertanto, l'esame, che la Corte si accinge a fare, delle deduzioni difensive in ordine al sistema adottato dal decreto legislativo ha lo scopo non di accertare la legittimità dell'intero sistema di detto decreto, bensì quello di indagare se, nel quadro del sistema in cui é inserita, la particolare norma denunziata sia o non sia in contrasto con la Costituzione.
In aderenza alla realtà dei fatti, le supreme magistrature, ordinaria e amministrativa, hanno dichiarato che il decreto del 1948 ha sostituito ope legis ad un preesistente stato di occupazione di fatto un rapporto di occupazione e di espropriazione per pubblica utilità soggetto alla disciplina della legge 25 giugno 1865, n. 2359, con riferimento al momento dell'occupazione dell'area. In questa sede non é necessario esaminare se la originaria situazione fu quella di una occupazione di fatto giustificata soltanto dall'urgenza e dalla necessità del tempo di guerra o se fu quella di una requisizione in uso. L'una o l'altra situazione sono state, per così dire, travolte dalla nuova disciplina, che ex tunc il decreto legislativo é venuto a stabilire: ecco perché, ai fini che interessano in questa sede (legittimità della norma relativa all'indennità di espropriazione) non si presenta rilevante una indagine in ordine alla qualificazione del rapporto originario, in quanto, comunque esso si consideri - occupazione di fatto o requisizione - il criterio stabilito dal decreto legislativo resta sempre quello di sottoporre, fin dall'inizio, il rapporto stesso al regime dell'espropriazione per pubblica utilità.
Contro la logica del sistema, che avrebbe dovuto portare a stabilire che la determinazione dell'indennità si effettua in relazione al momento in cui si verifica il trapasso della proprietà, fu disposto, con la norma contenuta nel primo e nel secondo comma dell'art. 2, che l'indennità di espropriazione del suolo occupato nella costruzione dei ricoveri antiaerei fosse determinata dall'ufficio del Genio civile in base al valore venale al momento dell'avvenuta occupazione con l'aggiunta degli interessi legali sulla somma dovuta come indennità, interessi decorrenti dalla data dell'occupazione.
Per dimostrare che la citata norma non sarebbe in contrasto con il sistema della nostra legislazione sulla espropriazione per causa di pubblica utilità, l'Avvocatura dello Stato ha sostenuto che il decreto legislativo avrebbe adottato il criterio, non nuovo nella legislazione, di considerare le occupazioni dei suoli fatte nel periodo bellico come aventi carattere definitivo ai fini della espropriazione. Il proprietario del bene espropriato verrebbe a trovarsi nella stessa situazione di chi avesse subito l'espropriazione dell'immobile al momento dell'occupazione e avesse conseguito con ritardo la liquidazione dell'indennità, di modo che il ritardo, anche se dovuto a colpa della pubblica Amministrazione, legittimerebbe soltanto il pagamento degli interessi di mora, senza dar luogo, trattandosi di un debito di valuta, alla rivalutazione dell'indennità nel caso di sopravvenuta svalutazione monetaria. Questa tesi riceverebbe conferma anche dal fatto che le opere permanenti di protezione antiaerea, appartenendo al pubblico demanio, sarebbero divenute oggetto di proprietà pubblica dello Stato fin dal momento della occupazione; e tale situazione emergerebbe anche dal disposto dell'art. 2 dello stesso decreto legislativo che, secondo l'Avvocatura dello Stato, farebbe riferimento alle norme in materia di espropriazione per pubblica utilità soltanto per quanto concerne la liquidazione della indennità, e dal disposto del successivo art. 5 che dichiarerebbe, con effetto ex tunc, di pertinenza del demanio statale le opere permanenti di protezione antiaerea.
Sembra alla Corte che l'Avvocatura dello Stato, così ragionando, abbia voluto sostenere che le opere di protezione antiaerea sarebbero entrate a far parte del demanio statale, con i suoli su cui erano costruite, fin dall'epoca dell'occupazione. Ora, a parte se questa tesi sia esatta rispetto ai principi del diritto (ed a prescindere dalla indagine, non necessaria ai fini della presente controversia, circa la legittimità costituzionale di una norma che avesse espressamente statuito in tal senso), può dirsi sicuramente che, ove la legge avesse, in ipotesi, dichiarato cessata la proprietà privata dei suoli al momento in cui era sorta la demanialità delle opere, la conseguenza non sarebbe stata quella che si dovesse procedere ad un trapasso del bene mediante l'espropriazione, bensì quella che si dovesse dichiarare che ope legis il suolo era divenuto di proprietà statale fin da quando l'opera era entrata a far parte del pubblico demanio. Ma un siffatto sistema - che, si ripete, é qui considerato solo in via di ipotesi ed unicamente per compiutezza di esame delle deduzioni difensive - avrebbe inevitabilmente ed irrimediabilmente posto in risalto la illiceità del comportamento dell'Amministrazione la quale avrebbe proceduto ad incorporare nel pubblico demanio, mediante una occupazione di fatto, beni privati senza che prima ne fosse stato operato un legittimo trasferimento. Non si vede, dunque, come, se fosse stata esatta codesta costruzione giuridica, l'Amministrazione avrebbe potuto sottrarsi all'obbligo del risarcimento dei danni: con l'ovvia conseguenza che il relativo debito sarebbe stato di valore e non di valuta.
Ma la tesi in esame non é esatta perché, all'infuori della disposizione sopra riferita del primo comma dell'art. 2, che ha una portata unicamente finanziaria, tutte le disposizioni del decreto legislativo ribadiscono il sistema della legge del 1865, non lasciando possibilità di equivoci su questo punto: che il trapasso di proprietà avviene con il decreto prefettizio di espropriazione, e non prima.
Nemmeno appare utile, ai fini che la difesa statale si propone, l'altra affermazione dell'Avvocatura dello stato nel senso che il sistema adottato dal decreto legislativo per la determinazione dell'indennità troverebbe riscontro in quelle leggi le quali stabiliscono che la data sulla cui base devono essere attuati i criteri di commisurazione dell'indennità sia quella dell'occupazione e non quella del trapasso della proprietà. Anzitutto bisogna scartare l'ipotesi che alla base della disciplina data dal decreto legislativo si trovi in qualsiasi modo qualche presupposto relativo ad una colpa dell'Amministrazione, alla quale risalirebbe il ritardo nella liquidazione della indennità. Tale presupposto é da escludere; ma se sussistesse, ci si troverebbe di fronte ad un caso di responsabilità per colpa: il che escluderebbe recisamente la possibilità che si parli di un debito di valuta. Ad ogni modo, anche se, all'infuori di ogni elemento di colpa, il fondamento del decreto legislativo fosse quello di far risalire ogni effetto della procedura di espropriazione alla data dell'occupazione, ciò non gioverebbe alla tesi dell'Amministrazione finanziaria dello Stato. Ed é questo il momento per dire che non giova alla stessa tesi l'invocazione del principio che il debito dell'espropriante é debito di valuta.
Occorre tener presente che nel caso attuale non si tratta di giudicare se, sopraggiunta la svalutazione monetaria dopo che era sorto il debito dell'espropriante in base ad una legge preesistente, l'espropriato abbia o no diritto alla rivalutazione. Qui la svalutazione monetaria é già quasi completamente avvenuta quando nel 1948 interviene il decreto legislativo. Al momento in cui questo entra in vigore, non esiste ancora un debito per una espropriazione; esistono soltanto delle situazioni di fatto che la nuova legge deve sistemare. Ora, ai fini dell'osservanza dell'articolo 42, terzo comma, della Costituzione, non basta che il legislatore congegni ex post una disciplina giuridica la quale porti alla liquidazione di una indennità puramente simbolica. In altri termini, non appare legittima una norma che, volta alla sanatoria di una situazione preesistente, venga a creare, con effetto retroattivo, un'altra situazione valevole ad esimere l'Amministrazione da un obbligo sancito dalla Costituzione. Se si ammettesse ciò, si determinerebbe questa grave conseguenza:
che la legge, preordinando artificiosamente con disposizioni di carattere retroattivo determinate situazioni, potrebbe eludere qualunque precetto costituzionale.
Che il sistema di tenere per base i valori dell'epoca dell'occupazione conduca alla liquidazione di indennità puramente simbolica, é dimostrato dal caso attuale, in cui, come sostanzialmente non e contestato, l'indennità liquidata é del tutto irrisoria rispetto ai valori del tempo dell'espropriazione. E questo non é certo un caso sporadico, dato che tra il periodo della guerra, durante il quale furono effettuate le occupazioni dei suoli, ed il 1948, anno in cui fu emanato il decreto legislativo in esame, avvenne la catastrofe monetaria, della cui ben nota entità non occorre certo dare prova in giudizio.
Con questo, la Corte non vuol dire che il decreto legislativo avrebbe dovuto stabilire il criterio che le indennità fossero liquidate sulla base del valore venale degli immobili al tempo dell'espropriazione. La Corte, con la sentenza n. 61 del 1957, ha chiarito che l'espressione "indennizzo" dell'art. 42, terzo comma, non va interpretata nel senso letterale ed etimologico della parola ma soltanto come il massimo di contributo e di riparazione che, nell'ambito degli scopi di interesse generale, la pubblica Amministrazione può garantire all'interesse privato secondo una valutazione che spetta al legislatore nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali. Evidentemente, anche in questo caso sussistevano gravi ragioni per temperare il criterio generale fondato sulla base del valore venale; ma occorreva che la legge avesse preso in considerazione la possibilità di introdurre, nei limiti consentiti dal precetto costituzionale, tali temperamenti. Se ciò la legge avesse fatto, non si sarebbe potuto in questa sede sindacare l'apprezzamento attraverso il quale la legge stessa fosse pervenuta ad un determinato risultato normativo. Ma nella specie é fuori dubbio che il legislatore non fece alcuna valutazione né alcun apprezzamento, essendosi limitato a dettare un congegno in base al quale l'indennità da liquidare sarebbe stata sicuramente nient'altro che un'apparenza.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma denunziata non esclude, dunque, che una nuova legge possa anche, eventualmente, adottare gli accennati temperamenti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, primo e secondo comma, del D. P. R. 11 marzo 1948, n. 409, "sistemazione delle opere permanenti di protezione antiaerea già costruite direttamente dallo Stato o a mezzo degli enti locali", ratificato con legge 22 aprile 1953, n. 342, in riferimento all'art. 42, terzo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 dicembre 1959.
Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.
Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1959.