Sentenza n. 91 del 1963

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SENTENZA N. 91

ANNO 1963

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI, Giudici

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 1 dicembre 1961, n. 1441, "contenente modificazioni al decreto legislativo 11 marzo 1948, n. 409, concernente la sistemazione delle opere permanenti di protezione antiaerea già costruite dallo Stato o a mezzo di enti locali", promosso con ordinanza emessa il 24 maggio 1962 dalla Corte di cassazione - Sezioni unite civili - nel procedimento civile vertente tra il Ministero dell'interno e Landi Paola e Stellario, iscritta al n. 139 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 215 del 25 agosto 1962.

Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno e di Landi Paola e Stellario;

udita nell'udienza pubblica del 24 aprile 1963 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

uditi l'avv. Pietro Saija, per Landi Paola e Stellario, e il sostituto avvocato generale dello Stato Vito Cavalli, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'interno.

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

Il decreto legislativo 11 marzo 1948, n. 409, recante norme sulla sistemazione delle opere permanenti di protezione antiaerea già costruite direttamente dallo Stato o a mezzo degli enti locali, nell'art. 2 stabiliva che l'indennità di espropriazione del suolo occupato per la costruzione dei ricoveri antiaerei era determinata in base al valore venale dell'immobile al momento dell'avvenuta occupazione e che sulla somma dovuta come indennità erano corrisposti gli interessi legali dalla data dell'occupazione.

Questa Corte, con sentenza n. 67 del 29 dicembre 1959, premesso che il criterio stabilito dal decreto legislativo, quale che fosse stata la qualificazione del rapporto ordinario tra l'Amministrazione ed i proprietari dei beni occupati, era quello di sottoporre, fin dall'inizio, il rapporto stesso al regime dell'espropriazione per pubblica utilità; e rilevato che, contro la logica del sistema che avrebbe dovuto portare a stabilire che la determinazione del l'indennità si effettua in relazione al momento in cui si verifica il trapasso della proprietà, l'indennità era determinata in base al valore dei beni al momento dell'occupazione, dichiarò l'illegittimità costituzionale dei primi due commi del citato art. 2, perché in contrasto con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Invero, la norma dichiarata illegittima, volta alla sanatoria di una situazione preesistente, era venuta a creare, con effetto retroattivo, un'altra situazione valevole ad esimere l'Amministrazione da un obbligo sancito dalla Costituzione. Con il sistema di tenere per base i valori dell'epoca dell'occupazione si giungeva alla liquidazione di indennità puramente simboliche rispetto ai valori del tempo dell'espropriazione, dato che fra i due periodi, quello dell'occupazione (periodo bellico) e quello dell'emanazione del decreto legislativo (1948), si era verificata la nota svalutazione monetaria.

La Corte avvertiva che, con questo, non si voleva dire che il decreto legislativo avrebbe dovuto stabilire il criterio che le indennità fossero liquidate sulla base del valore venale degli immobili al tempo dell'espropriazione, valendo il principio posto dalla precedente sentenza n. 61 del 1957, con la quale si era dichiarato che l'espressione "indennizzo" dell'art. 42 , terzo comma, non va interpretata nel senso letterale ed etimologico della parola, ma soltanto come il massimo di contributo che, nell'ambito degli scopi di interesse generale, la pubblica Amministrazione può garantire all'interesse privato secondo una valutazione che spetta al legislatore nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali. La Corte soggiungeva che anche in quel caso sussistevano gravi ragioni per temperare il criterio generale fondato sulla base del valore venale, ma occorreva che la legge avesse preso in considerazione la possibilità di introdurre, nei limiti consentiti dal precetto costituzionale, tale temperamento. Se ciò la legge avesse fatto, non si sarebbe potuto sindacare l'apprezzamento attraverso il quale la legge stessa fosse pervenuta ad un determinato criterio normativo. Ma nella specie il legislatore non fece alcuna valutazione né alcun apprezzamento, essendosi limitato a dettare un congegno in base al quale l'indennità da liquidare sarebbe stata sicuramente niente altro che un'apparenza.

A seguito di quella decisione, fu emanata la legge 1 dicembre 1961, n. 1441, la quale nell'art. 1 stabilisce che per le espropriazioni previste dal decreto legislativo 11 marzo 1948, n. 409, l'indennità é determinata con riferimento al valore venale dell'immobile al momento dell'avvenuta occupazione, moltiplicato per il coefficiente dieci e che su tale somma sono dovuti all'espropriato gli interessi al tasso legale.

La Corte di cassazione a Sezioni unite, con ordinanza 24 maggio 1962, emessa in causa Ministero dell'interno contro Paola e Stellario Landi, ha sollevato di ufficio la questione di legittimità costituzionale del citato art. 1 della legge 1961, n. 1441, in relazione all'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Dopo avere affermato la rilevanza della questione sulla lite, la Corte di cassazione ha ricordato la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui non basta che il legislatore congegni ex post una disciplina giuridica la quale porti alla liquidazione di una indennità apparente o simbolica, occorrendo invece, ai fini dell'osservanza del precetto costituzionale che impone l'obbligo di un indennizzo all'espropriato, la predisposizione di un congegno legislativo atto ad assicurare, se non la totale reintegrazione del patrimonio, almeno un minimum di contributo e di riparazione che, nell'ambito degli scopi di interesse generale, deve essere garantito all'interesse privato. "Nella fattispecie - prosegue l'ordinanza - può sorgere legittimo il dubbio se il legislatore ordinario con la legge n. 1441 del 1961 abbia colto appieno il senso del principio come sopra affermato dalla Corte costituzionale, giacché, pur col criterio introdotto dal moltiplicatore dieci della valutazione del bene riferito al momento dell'occupazione e con il ristoro degli interessi da tale momento, sembra che il problema della legittimità della nuova norma, nel solco del principio medesimo riguardato con i ben noti coefficienti della svalutazione monetaria, rimanga in definitiva pressoché immutato".

L'ordinanza della Corte di cassazione é stata notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri il 20 luglio 1962, comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 23 dello stesso mese, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 215 del 25 del mese successivo.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, intervenuto nel presente giudizio con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, nell'atto di intervento depositato il 9 agosto 1962 sostiene che i criteri fissati dalla legge n. 1441 del 1961 non sono in contrasto con l'art. 42 della Costituzione e che il legislatore, adottando quella disposizione, si é uniformato all'indirizzo segnato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 67 del 1959. La quale decisione, dichiarando l'illegittimità costituzionale dei primi due commi del decreto legislativo del 1948, riconobbe esplicitamente che una nuova legge avrebbe potuto adottare idonei temperamenti ai fini della corresponsione di una indennità che non fosse puramente simbolica.

D'altra parte la Corte di cassazione, nella sua ordinanza, non ha precisato le ragioni in base alle quali la nuova norma, che pure dispone la moltiplicazione per dieci dell'indennità stabilita dal decreto legislativo del 1948, n. 409, non sarebbe nel solco dei principi stabiliti dalla Corte costituzionale.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 67 del 1959, riallacciandosi alla posizione assunta con la sentenza n. 61 del 1957, ha chiarito che l'espressione "indennizzo", di cui all'art. 42 della Costituzione, deve essere inteso come il massimo di contributo o di riparazione che, nell'ambito degli scopi di interesse generale, la pubblica Amministrazione può garantire all'interesse privato, secondo una valutazione che spetta al legislatore nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali; ha riconosciuto che nella soggetta materia, volta a sanare situazioni eccezionali collegate con gli eventi bellici, sussistevano gravi ragioni per temperare il criterio generale fondato sulla base del valore venale; ha precisato che se la legge avesse, nei limiti consentiti dal precetto costituzionale, introdotto dei temperamenti al criterio del valore venale, non sarebbe stato sindacabile in sede di giudizio di costituzionalità l'apprezzamento attraverso il quale la legge fosse pervenuta ad un determinato risultato normativo.

Ora, la legge del 1961 rappresenta lo strumento concreto per tradurre in atto tale temperamento. E con la moltiplicazione del valore-base per il coefficiente dieci, anche se non si raggiungono i valori post-bellici, si attua un contemperamento dell'interesse pubblico con quello privato e soprattutto si toglie all'indennità quel carattere "simbolico" che aveva indotto la Corte costituzionale a riconoscere la non rispondenza del sistema introdotto dal decreto n. 409 del 1948 al precetto sancito nell'art. 42 della Costituzione.

Né, d'altra parte, può sindacarsi l'entità del coefficiente adottato, sotto l'aspetto di una sua eventuale esiguità, perché con tale ragionamento si spingerebbe l'esame su quegli elementi tecnici, economici, finanziari, politici, che hanno indotto il legislatore a stabilire il coefficiente predetto, e che la Corte costituzionale ha riconosciuto essere prerogativa esclusiva del legislatore.

L'Avvocatura dello Stato conclude, pertanto, perché la questione promossa dalla Corte di cassazione sia dichiarata infondata.

Nella memoria depositata il 10 aprile 1963 la difesa dello Stato insiste particolarmente nel dimostrare che il procedimento espropriativo previsto dal decreto 11 marzo 1948 con la modifica introdotta dalla legge 1 dicembre 1961 ha inteso disciplinare situazioni create da esigenze di stretto carattere bellico, molto affini a quelle relative all'indennizzo dei danni derivanti da fatto di guerra, indennizzo la cui misura é stata prevista in ragione dell'ammontare del danno valutato ai prezzi vigenti al 30 giugno 1943, moltiplicato per il coefficiente cinque, o per il coefficiente otto, previa detrazione di una quota non superiore al 25 per cento (art. 25 della legge 27 aprile 1963, n. 968). Seppure con diversa qualificazione giuridica, il sacrificio imposto ai cittadini per la costruzione di ricoveri antiaerei rientra, lato sensu, nell'ampia categoria dei risarcimenti dovuti per fatti di guerra e che, quindi, della natura di tali risarcimenti non si poteva non tenere conto in sede di determinazione del quantum dell'indennità in relazione alle analoghe situazioni regolate sullo stesso piano equitativo.

Identiche argomentazioni l'Avvocatura dello Stato ha svolto nell'interesse del Ministero dell'interno, anch'esso costituitosi nel presente giudizio.

Si sono pure costituiti i signori Paola e Stellario Landi, espropriati, i quali, nelle deduzioni depositate in cancelleria il 7 ed il 13 agosto 1962 e nella successiva memoria depositata addì 8 aprile 1963, rilevano che il legislatore del 1961, nel fissare la determinazione dell'indennità di esproprio di terreni per la costruzione di rifugi antiaerei sulla base del valore dell'immobile al momento dell'occupazione, sia pure moltiplicato per il coefficiente dieci, e con gli interessi legali dalla data di occupazione, non sembra aver colto l'essenza della decisione della Corte costituzionale

n. 67 del 1959 ed ha posto nuovamente in essere un congegno, in base al quale l'indennità da liquidare é niente altro che una apparenza. Infatti, di fronte ad un valore venale del bene, determinato dalla Corte d'appello di Messina in oltre otto milioni e ottocentomila lire, l'indennità che viene ad offrirsi in base alla legge del 1961, n. 1441, é di appena lire duecentonovantamila, la quale somma rappresenta poco più dell'interesse, al tasso del tre per cento, sull'indennità già determinata con la consulenza giudiziale.

Inoltre, qualsiasi criterio valutativo si voglia seguire, il valore da tener presente é quelle dell'immobile al momento dell'espropriazione, come é pacificamente riconosciuto sia in dottrina che in giurisprudenza, o quanto meno, si deve avere un concreto punto di partenza che non sia quello effimero preso a base della legge in questione.

Pertanto la parte privata chiede che l'art. 1 della legge 1 dicembre 1961, n. 1441, sia dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione.

 

 

Considerato in diritto

 

 

L'Avvocatura dello Stato ha rilevato che nella ordinanza di rinvio non sarebbero precisate le ragioni in base alle quali la nuova norma, contenuta nella legge 1 dicembre 1961, n. 1441, non sarebbe "nel solco dei principi stabiliti da questa Corte con le decisioni

n. 61 del 1957 e n. 67 del 1959". Ma il rinvio non é esatto, giacché dal contesto della motivazione dell'ordinanza si evince che la questione é stata sollevata sotto gli stessi profili di legittimità costituzionale che furono tracciati dalla Corte nella precedente sentenza del 1959.

In quella sentenza la Corte dichiarò che, basandosi sul valore dell'immobile al momento dell'occupazione e non sul valore al tempo dell'espropriazione, la norma, allora denunziata, del decreto legislativo 11 marzo 1948, n. 409, era viziata per il fatto che era stata illegittimamente creata, con effetto retroattivo, una situazione volta ad attuare la sanatoria di uno stato di cose preesistenti; e ciò al fine di esimere l'Amministrazione da un obbligo sancito dalla Costituzione, in quanto l'indennità di espropriazione, collegata com'era ai valori del tempo dell'occupazione, era simbolica , stante la svalutazione monetaria intervenuta tra il periodo dell'occupazione e quello dell'espropriazione.

L'ordinanza di rinvio solleva, sotto la forma dell'espressione di un dubbio ma in termini non equivoci, le stesse questioni ora riassunte e prospetta che la nuova legge, pur avendo stabilito un coefficiente di maggiorazione sulla base del valore riferito al momento dell'occupazione dei beni, non avrebbe eliminato le cause di illegittimità accertate dalla precedente decisione della Corte.

Il dubbio espresso nell'ordinanza é fondato.

Nella sentenza del 1959 la Corte, pur premettendo che l'art. 42, terzo comma, della Costituzione non impone che l'indennità di espropriazione sia ragguagliata al valore della cosa al momento dell'espropriazione e che il giudice della costituzionalità delle leggi non può sindacare il criterio adottato discrezionalmente dal legislatore circa la misura dell'indennità, dichiarava che il legislatore, nell'esercizio del suo potere discrezionale, deve tener conto degli interessi pubblici ai quali l'espropriazione é preordinata e con tali interessi deve contemperare l'interesse privato dell'espropriato. Determinando l'indennità sui valori del tempo dell'occupazione, la legge del 1948 non solo aveva stabilita un'indennità apparente, stante l'enorme squilibrio dei valori monetari tra l'occupazione e l'espropriazione, ma aveva posto in essere una deviazione dai fini di pubblico interesse che la legge voleva e doveva perseguire.

La Corte avvertì che se un temperamento si fosse voluto apportare, esso sarebbe stato legittimo ed insindacabile; ma la Corte, come risulta senza possibilità di equivoco dalla intera motivazione della sentenza, si riferì non ad una maggiorazione dell'indennità ragguagliata ai valori del tempo dell'occupazione, bensì ad una minorazione dell'indennità collegata ai valori del tempo dell'espropriazione.

Maggiorando l'indennità riferita ai valori del tempo dell'occupazione e lasciando così invariato il sistema di determinazione dell'indennità, la nuova legge non ha eliminato il vizio di legittimità riscontrato nella legge precedente. Anche se per effetto della maggiorazione l'indennità fosse stata non fittizia, il vizio sarebbe rimasto ugualmente, giacché nel caso attuale non era possibile discostarsi dalla base del valore dei beni al momento dell'espropriazione, salvi i temperamenti che sui risultati di tale valutazione il legislatore avesse stabilito di apportare.

A questa conclusione, che risponde allo stesso principio che informò la precedente sentenza, la Corte perviene, anzitutto, per la considerazione che le ragioni di pubblico interesse che sorreggevano la legge del 1948 erano date dalla necessità di sistemare una situazione di provvisorietà e di incertezza che si era iniziata con una occupazione di urgenza e che doveva chiudersi e definirsi con un atto di espropriazione, in virtù del quale si effettuava il passaggio della proprietà dei beni. Era alla data di questo passaggio che doveva essere compiuta la valutazione dei beni, giacché solo in detta data sarebbe cessato lo stato di provvisorietà.

Fino a quel giorno il proprietario, pur essendo tenuto a pagare le imposte ed a sopportare gli altri oneri della proprietà senza averne alcun vantaggio, doveva attendere la realizzazione di qualunque suo diritto; nella maggior parte dei casi, trattandosi di occupazioni parziali di immobili per costruzione di ricoveri antiaerei, lo stato di provvisorietà era tale da rendere impossibile o assai difficile la ricostruzione o l'utilizzazione della restante parte non occupata. Comunque, quello stato sarebbe durato senza limiti precisi di tempo fino a quando gli uffici del Genio civile e le Prefetture avrebbero espletato i loro compiti e l'effetto di qualunque ritardo in tale espletamento sarebbe stato a carico dell'espropriato, in quanto l'indennità sarebbe rimasta fissa nella misura stabilita in relazione al momento dell'occupazione, ma sarebbe stata pagata dopo l'espletamento delle procedure. Né la corresponsione degli interessi poteva costituire una forma adeguata di ristoro del pregiudizio economico conseguente al ritardo.

Ora, é da tener presente che, in qualunque modo voglia configurarsi l'indennizzo previsto dall'art. 42, terzo comma, della Costituzione, esso deve pur sempre rappresentare un serio ristoro del pregiudizio economico risultante dall'espropriazione. E la realtà delle cose, oltre che la logica del sistema, impongono di considerare non conforme alla norma costituzionale la determinazione dell'indennità effettuata sul valore venale della cosa al tempo dell'occupazione, quando, come nel caso attuale, esista una dissociazione tra la situazione esistente al momento in cui le espropriazioni furono o saranno compiute e quella in cui le occupazioni ebbero inizio; tanto più se tra i due periodi si siano inseriti eventi perturbatori, quali la svalutazione monetaria.

Vero é che il legislatore può discrezionalmente stabilire i criteri per la determinazione delle indennità. Ma poiché trattasi di discrezionalità, occorre che tali criteri siano adottati in vista degli scopi di pubblico interesse che la legge deve perseguire.

Nel caso attuale l'interesse era quello di sanare una situazione di fatto che perdurava da anni e di sanarla nell'interesse finanziario dello Stato senza un eccessivo sacrificio per i privati. L'interesse di costoro non poteva essere soddisfatto se non con una indennità vera e non simbolica.

Procedere a questi accertamenti non significa compiere un apprezzamento sull'esercizio del potere discrezionale del legislatore né significa giudicare della giustizia o dell'equità del dettato legislativo, ma costituisce una tipica espressione del sindacato di legittimità costituzionale, essendo precipua caratteristica di tale giudizio il constatare se una norma sia in contrasto con la Costituzione o con i fini che la norma stessa doveva raggiungere in adempimento di un precetto costituzionale.

Ciò premesso non é necessario accertare se, anche con il coefficiente di maggiorazione dieci, l'indennità sia o non sia simbolica. Questo accertamento rientrerebbe pur sempre nell'ambito del giudizio di legittimità costituzionale, giacché non si tratterebbe di sindacare se la maggiorazione sia giusta, equa, congrua, ma se, anche con la maggiorazione, l'indennità sia una vera indennità.

La permanenza del vizio già rilevato rende, però, superfluo quest'altro accertamento.

Non vale, infine, il richiamo dell'Avvocatura dello Stato alla regolamentazione dell'indennizzo dei danni di guerra.

Vero é che il fatto di guerra sta anche sullo sfondo della situazione qui in esame, ma i casi sono diversi. La reintegrazione dei danni di guerra non é garantita da norme costituzionali. Trattasi di interessi legittimi - tali li qualifica l'Avvocatura - ai portatori dei quali lo Stato ha concesso quegli aiuti che era possibile dare nel quadro dei mezzi finanziari occorrenti per la ricostruzione del Paese. Dalle espropriazioni per cui si controverte é, invece, pacifico - anche per il legislatore - che nascono diritti soggettivi tutelabili a norma dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione. E la diversità delle due situazioni si fonda sul fatto che, mentre per il danno di guerra l'Amministrazione nulla poté fare per evitarlo e null'altro avrebbe potuto fare se non indennizzarlo, per le occupazioni previste dalla legge 11 marzo 1948 l'Amministrazione avrebbe potuto, a guerra finita, restituire i beni ai proprietari. Se la legge ha ritenuto che ciò non fosse opportuno, doveva provvedere - come, del resto ha provveduto, sia pure non legittimamente quanto alla misura - alla concessione di una indennità di espropriazione da determinarsi con criteri non in contrasto con precetti della Costituzione.

La Corte, nella precedente sentenza, avverti - e non ha ragione adesso di dire il contrario - che il legislatore poteva legittimamente adottare dei temperamenti rispetto alla misura dell'indennità, che, come si é già ricordato, era vista dalla Corte stessa in un necessario collegamento con i valori del tempo dell'espropriazione. E ovvio che la causa di guerra era - e rimane - la più importante giustificazione di tali temperamenti; e solo in questo senso l'osservazione fatta dalla difesa dello Stato é valida e potrà essere tenuta presente, purché non si dimentichi che i temperamenti non sarebbero legittimi se, per effetto di essi, l'indennità di espropriazione conservasse o acquistasse carattere di mera apparenza.

Per le esposte ragioni deve essere dichiarata l'illegittimità dell'intera legge 1 dicembre 1961, n. 1441, in quanto all'invalidità dell'art. 1 consegue necessariamente quella degli artt. 2 e 3 che si riferiscono alla copertura della spesa per la sua attuazione.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

dichiara l'illegittimità costituzionale della legge 1 dicembre 1961, n. 1441, "contenente modificazioni al decreto legislativo 11 marzo 1948, n. 409, concernente la sistemazione delle opere permanenti di protezione antiaerea già costruite dallo Stato o a mezzo di enti locali", in riferimento all'art. 42, terzo comma, della Costituzione.

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 1963.

GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE

ANTONINO PAPALDO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 18 giugno 1963.