Sentenza n. 100 del 1993

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SENTENZA N. 100

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 69 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), promosso con ordinanza emessa il 31 gennaio 1992 dal Tribunale di Cassino nel procedimento civile vertente tra Fallimento di De Blasis Antonio e Carducci Mariolina, in De Blasis, ed altro, iscritta al n. 682 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di costituzione della curatela del fallimento di De Blasis Antonio;

udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1993 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

udito l'avvocato Fulvio Fabrizi per la curatela del fallimento di De Blasis Antonio.

Ritenuto in fatto

l.- Con ordinanza emessa il 31 gennaio 1992 e pervenuta alla Corte costituzionale il 12 ottobre 1992, il Tribunale di Cassino riteneva rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 69 della legge fallimentare (regio decreto 16 marzo 1942, n. 267), in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione.

Premetteva il Tribunale che, nel corso della procedura fallimentare nei confronti di Antonio De Blasis, il curatore, rilevato che con due rogiti trascritti il 7 gennaio 1981 ed il 17 giugno 1981, il fallito aveva donato alla moglie alcuni immobili, chiedeva che il Tribunale dichiarasse in via alternativa detti negozi assolutamente simulati (ex art. 1416 del codice civile) o revocati ai sensi dell'art. 69 della legge fallimentare ovvero dell'art. 2901 del codice civile, e comunque privi di effetto nei confronti della massa dei creditori ammessi al passivo del fallimento, con la conseguente restituzione degli immobili e dei frutti.

2.- Osservava il Tribunale che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 27 giugno 1973, n. 91, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 781 del codice civile, non sussiste più il divieto di donazione fra i coniugi. La conseguente liceità di siffatte donazioni, ad avviso del remittente, determina una lacuna nella disciplina fallimentare, dal momento che, mentre le donazioni fra coniugi compiute nel biennio anteriore al fallimento possono ritenersi inefficaci ai sensi dell'art. 64 della legge fallimentare riguardante tutti gli atti a titolo gratuito a vantaggio di chiunque, per le liberalità tra coniugi compiute in epoca più remota, come quelle oggetto delle azioni proposte dal curatore, sorgono problemi di irragionevolezza e disparità di trattamento nella normativa residuata alla predetta dichiarazione di illegittimità costituzionale.

3.- Ed invero -osserva il Tribunale- se si applicasse la norma (art. 2901 del codice civile) relativa alla revocatoria ordinaria, si avrebbe una sperequazione, sotto il duplice profilo del regime probatorio e della decorrenza della prescrizione, fra il trattamento normativo più esigente della sorte degli atti a titolo gratuito oltre il biennio dal fallimento rispetto a quello più facilitato della revoca degli atti a titolo oneroso tra coniugi (art. 69 della legge fallimentare). Nè, d'altra parte, appare possibile al Tribunale, in via di interpretazione estensiva o per analogia, applicare quest'ultima disposizione anche agli atti a titolo gratuito oltre il biennio, ostandovi la chiara portata della stessa e il divieto di applicazione analogica di una norma contenente una presunzione legale.

Il Tribunale, pertanto, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3, 1° comma, e 24, 1° comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 69 della legge fallimentare, nella parte in cui non comprende nel proprio ambito di applicazione gli atti a titolo gratuito compiuti più di due anni prima della dichiarazione di fallimento, ma nel tempo in cui il fallito esercitava un'impresa commerciale.

4.- Si è costituita in questa sede la curatela del fallimento per aderire incondizionatamente alla questione di illegittimità costituzionale sollevata d'ufficio dal Tribunale e chiedendo che la stessa venga accolta.

Ribadisce in proposito il curatore che l'abolizione dello storico divieto di donazioni fra coniugi, già previsto dall'art. 781 del codice civile, fu giustificato dalla Corte costituzionale con riferimento ai rapporti interni fra coniugi, in quanto limitava la capacità contrattuale dei cittadini coniugati e riduceva la loro libertà di iniziativa economica. Ma in quella occasione non fu considerato che, nei riflessi esterni, ai creditori concorrenti deriverebbe per gli atti gratuiti una tutela deteriore rispetto ai negozi a titolo oneroso stipulati dai coniugi nel medesimo periodo di esercizio dell'impresa commerciale.

Considerato in diritto

l.- La presente questione di costituzionalità investe l'art.69 della legge fallimentare nella parte in cui non comprende nel proprio ambito di applicazione gli atti a titolo gratuito compiuti tra i coniugi più di due anni anteriori alla dichiarazione del fallimento, ma nel tempo in cui il fallito esercitava l'impresa commerciale.

Il Tribunale rimettente ha ritenuto anzitutto rilevante la questione ai fini della decisione "dal momento che il curatore del fallimento ha invocato, sia pure in via alternativa, l'anzidetta norma, onde ottenere la dichiarazione giudiziale di inefficacia nei confronti dei creditori concorrenti degli impugnati atti di donazione, compiuti dal fallito a vantaggio della moglie in epoca anteriore di oltre due anni alla dichiarazione di fallimento".

In proposito, è appena il caso di ricordare che spetta al giudice a quo ritenere quale sia l'ordine logico di esame delle varie domande introitate a sentenza (art. 277 del codice di procedura civile), oltre che valutare se la controversia non possa essere decisa senza affrontare la questione di costituzionalità (si vedano le sentenze n. 73 del 1991, n. 97 del 1987 e n.139 del 1980 della Corte costituzionale).

2.- La questione è fondata.

Giova premettere che il complesso quadro normativo disegnato dal legislatore del 1942 per tutelare i creditori da atti pregiudizievoli alle loro ragioni era composto da norme contenute sia nel codice civile (per le situazioni generali che prescindono dal fallimento), sia nella legge fallimentare per il particolare ambito applicativo di detta procedura concorsuale. Sul primo versante il codice prevedeva: a) l'azione revocatoria cosiddetta ordinaria, esercitabile alle varie condizioni previste dall'art.2901, ed applicabile anche in sede fallimentare per l'esplicito richiamo contenuto nell'art. 66 della legge fallimentare; b) il divieto di liberalità fra coniugi, salvo quelle conforme agli usi, sancito dall'art.781; e ciò per motivi inerenti a rapporti interni alla coppia e per la tutela dei creditori del donante.

Sul versante della procedura fallimentare, il legislatore tracciava un sistema revocatorio molto differenziato, prevedendosi la disciplina più rigorosa dell'inefficacia automatica ex lege per gli atti a titolo gratuito e per l'anticipazione di pagamenti compiuti nel biennio anteriore al fallimento (artt. 64, 65), e quella meno rigorosa, di revoca a determinate condizioni, per atti a titolo oneroso o cambiali scadute (artt. 67, 68).

A questa normativa comune se ne aggiungeva una particolare, riguardante specificamente gli atti fra coniugi, considerati dal legislatore con maggiore diffidenza presumendosi che il coniuge sia la persona più in grado di conoscere lo stato di insolvenza dell'imprenditore e più disposta a colludere con lui. In questo caso la legge prevedeva (oltre il generale divieto di donazioni sopracennato) sia la revoca degli atti a titolo oneroso compiuti tra i coniugi durante tutto il tempo in cui il fallito esercitava un'impresa commerciale, per una presunzione iuris tantum di conoscenza dello stato di insolvenza (art. 69), sia la cosiddetta praesumptio muciana sulla provenienza del danaro per gli acquisti del coniuge del fallito (art. 70).

3.- Il sistema ora ricordato ha subito qualche successiva alterazione, oltre che per la menzionata dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 781 del codice civile (sentenza n.91 del 1971 della Corte costituzionale), anche per il sopravvenire della riforma del diritto di famiglia (Legge n. 151 del 1975), da cui è derivata l'inapplicabilità della presunzione muciana al coniuge del fallito in regime di comunione legale (Cassazione, nn. 351, 6079, 7338 del 1990).

L'abrogazione del divieto di donazioni fra coniugi, giustificato dalla citata sentenza per violazione del principio di eguaglianza fra cittadini e per la riduzione della libertà della iniziativa economica dei coniugi (ma con un accenno anche al risvolto del possibile pregiudizio dei diritti di terzi), ha fatto sorgere notevoli dubbi sulla coerenza della disciplina applicabile agli atti gratuiti fra coniugi con le altre norme di risulta nel quadro complessivo della tutela delle ragioni dei creditori; problema che la dottrina e la giurisprudenza espressamente dichiarano di difficile soluzione, in sede interpretativa.

4.- Secondo una prima tesi, le donazioni tra coniugi, oltre il biennio, non più nulle ma ancora pregiudizievoli per i creditori, potrebbero essere attualmente revocate nell'ambito della procedura fallimentare soltanto ai sensi dell'azione generale dell'art. 2901 del codice civile, ancorchè gli stessi autori lamentino che le condizioni previste per detta azione siano ora ingiustificatamente più gravose di quelle relative alla revoca degli atti a titolo oneroso tra coniugi. Ed invero, mentre per questi ultimi la legge (art. 69 della legge fallimentare) presume nell'acquirente la conoscenza dello stato di insolvenza del fallito e la mala fede dell'alienante, l'art. 2901 pone invece a carico del creditore (e per esso del curatore) il notevole onere di provare, anche per gli atti a titolo gratuito, tutte le condizioni previste dal numero 1) della citata norma ( e cioè la conoscenza dell'eventus damni e, in certi casi, anche il consilium fraudis). Senza contare che la prescrizione per la revoca degli atti a titolo oneroso ex art. 69 della legge fallimentare decorre dalla data della dichiarazione di fallimento, mentre quella per gli atti a titolo gratuito risalirebbe al momento in cui essi sono compiuti, favorendo così la prescrizione dell'azione.

5.- Ad evitare queste incongruenze e disparità, altri studiosi -sia pure con notevoli perplessità- ed una parte della giurisprudenza di merito ritengono che la soluzione del problema vada rinvenuta estendendo l'applicabilità di norme contenute nella legge speciale anche agli atti di liberalità compiuti oltre il biennio dai coniugi con pregiudizio per i creditori fallimentari. Pur non escludendosi, cioè, l'eventualità di un possibile ricorso alla revocatoria ordinaria (richiamata espressamente dall'art. 66 della legge fallimentare), si è evidenziata l'esigenza di una soluzione che, da una parte, eviti le incongruenze derivanti dalla sola applicabilità dell'art.2901 agli atti di liberalità tra coniugi, dall'altra, sia più coerente col trattamento che la legge fallimentare riserva agli atti gratuiti ed a quelli onerosi compiuti dai coniugi.

Premesso che il caso degli atti gratuiti tra coniugi effettuati nel biennio rientra ovviamente nell'applicabilità della norma generale prevista dall'art. 64 della legge fallimentare, ove invece si tratti di atti a titolo gratuito tra coniugi prima ancora del biennio si cerca quale sia la norma suscettibile di espansione per la sua ratio e per le condizioni più prossime a tale secondo caso.

Va in proposito osservato che, a prescindere dai limiti del petitum dell'ordinanza di rimessione, che appunto individua tale norma nell'art. 69, effettivamente questa disposizione, anche se riguardante gli atti a titolo oneroso, contiene due elementi di prossimità alla predetta seconda ipotesi, essendo essa infatti riferita specificamente solo agli atti tra coniugi e ad atti posti in essere nel periodo di esercizio dell'impresa, anche oltre il biennio anteriore al fallimento.

6.- La dilatazione della portata della citata norma all'ipotesi degli atti gratuiti tra coniugi oltre il biennio non può essere affermata mediante interpretazione estensiva, dati i chiari limiti del contenuto della norma stessa, nè per analogia, ove si consideri che le presunzioni legali, costituite solo in forza di speciali disposizioni di legge, danno luogo ad jus singulare, come tale non suscettibile di applicazione analogica.

Non resta che la via di una pronunzia di incostituzionalità parziale, che meglio assicuri la certezza del diritto, dal momento che la soluzione adeguatrice consiste nell'estensione logicamente necessitata ed in certo senso implicita nella potenzialità interpretativa del contesto normativo in cui è inserita la disposizione impugnata (Corte costituzionale, sentenza n.8 del 1987). Ed invero, la irragionevolezza della norma dell'art. 69 sopravvenuta all'abrogazione del divieto di donazioni tra coniugi (art. 781 del codice civile), può essere superata ampliando la portata della disposizione originariamente limitata alla revocatoria degli atti a titolo oneroso compiuti tra coniugi anche oltre il biennio -limitazione ormai priva di fondamento logico- agli atti di liberalità tra coniugi nello stesso periodo, altrimenti revocabili solo alle condizioni più rigorose previste dall'art. 2901 e con una decorrenza prescrizionale più svantaggiosa.

Può conclusivamente ritenersi che gli aspetti di irragionevolezza sopra esposti sono in contrasto con i principi dell'art. 3 della Costituzione, restando assorbita la prospettazione del giudice a quo in riferimento all'art. 24 della Costituzione.

L'estensione dell'intero testo dell'art. 69 della legge fallimentare agli atti gratuiti non disperde qualche residuo margine di disarmonia, come quello della rilevanza della prova contraria del coniuge sulla sua ignoranza circa lo stato di insolvenza del fallito (mentre ciò è previsto dall'art.2901, n. 2, del codice civile solo per l'ipotesi degli atti a titolo oneroso); ma eliminare tali residui margini è compito del legislatore.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 69 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), nella parte in cui non comprende nel proprio ambito di applicazione gli atti a titolo gratuito compiuti tra coniugi più di due anni prima della dichiarazione di fallimento, ma nel tempo in cui il fallito esercitava un'impresa commerciale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/03/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 19/03/93.