SENTENZA N. 73
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giovanni CONSO Presidente
Prof. Ettore GALLO Giudice
Dott. Aldo CORASANITI “
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 76, primo comma, punto 2, della legge della Regione Veneto 27 giugno 1985, n. 61 (Norme per l'assetto e l'uso del territorio), come modificato dall'art. 12 (recte: 15) della legge della Regione Veneto 11 marzo 1986, n. 9 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 27 giugno 1985, n. 61, recante: "Norme per l'assetto e l'uso del territorio"), promosso con ordinanza emessa il 30 novembre 1989 dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sui ricorsi riuniti proposti da Rossi Adriano contro Comune di Venezia, iscritta al n. 415 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26 dell'anno 1990;
Visto l'atto di intervento della Regione Veneto;
Udito nell'udienza pubblica dell'8 gennaio 1991 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
Ritenuto in fatto
1. - Adito per l'annullamento del provvedimento con cui l'autorità comunale aveva negato l'autorizzazione al mutamento di destinazione d'uso di un immobile, senza opere a ciò preordinate, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto, con ordinanza in data 30 novembre 1989 (r.o. n. 415 del 1990), ha sollevato, in riferimento agli artt. 5 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 76, primo comma, punto 2, della legge regionale del Veneto 27 giugno 1985, n. 61, come modificato dall'art. 12 (recte 15) della successiva legge regionale 11 marzo 1986, n. 9.
La norma impugnata, che assoggetta ad un'autorizzazione onerosa tutti i mutamenti di destinazione d'uso che prescindono da interventi edilizi, purché compatibili con le prescrizioni degli strumenti urbanistici e comportanti la corresponsione di un contributo pari alla differenza fra la precedente e la nuova destinazione, si porrebbe in contrasto con il principio fondamentale della materia contenuto nell'art. 25, quarto comma, della legge dello Stato 28 febbraio 1985, n. 47. Quest'ultima disposizione, infatti, rimettendo al legislatore regionale l'individuazione dei casi in cui per la modifica della destinazione d'uso è necessaria l'autorizzazione, avrebbe, ad avviso del giudice a quo, recepito l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la modifica stessa, quando non è accompagnata da interventi edilizi, non è soggetta né a concessione né ad autorizzazione, non avendo, in linea di massima, rilievo urbanistico. Sotto altro profilo, la norma impugnata, con l'indiscriminata previsione di un'autorizzazione per tutti i mutamenti di destinazione, violerebbe ulteriormente l'art. 25, quarto comma, della legge n. 47 del 1985, nella parte in cui limita la competenza legislativa delle regioni alla sola individuazione dei criteri e delle modalità cui dovranno attenersi i comuni nel regolamentare, all'atto della predisposizione degli strumenti urbanistici, le destinazioni d'uso degli immobili. In tal senso, la compressione dell'autonomia comunale, che la norma statale di principio espressamente riconosce, risulterebbe lesiva non solo dell'art. 117, ma anche dell'art. 5 della Costituzione.
2. - Nel giudizio così promosso non si sono costituite le parti, mentre è intervenuto il Presidente della Giunta regionale del Veneto, che ha preliminarmente eccepito l'irrilevanza della questione. Il giudice a quo non avrebbe, difatti, preventivamente esaminato il secondo motivo del ricorso con il quale si deduceva l'illegittimità del diniego, essendosi ormai formato sull'istanza di autorizzazione - ai sensi dell'art. 79 della legge regionale del Veneto n. 61 del 1985 - il silenzio-assenso. Ad avviso dell'interveniente, infatti, se l'autorizzazione dovesse ritenersi acquisita per il formarsi del silenzio-assenso, l'autorità comunale avrebbe perso il potere di decidere ed il diniego sarebbe illegittimo, con la conseguenza che la questione sollevata non risulterebbe più pregiudiziale per la soluzione della controversia.
Osserva poi la regione che il giudice a quo, prima di esaminare la necessità o meno dell'autorizzazione dal punto di vista della normativa regionale, avrebbe dovuto considerare che, nella fattispecie in esame, il richiesto mutamento di destinazione non era consentito dagli strumenti urbanistici e, pertanto, un intervento del comune sotto forma di concessione o autorizzazione era comunque necessario sia in base alla normativa statale e comunale già in vigore, sia in base alle stesse disposizioni della legge n. 47 del 1985.
Per quanto attiene al merito della questione, si rileva che, nella materia urbanistica, i comuni non hanno mai goduto di una vera e propria autonomia, essendo la relativa disciplina demandata alla competenza legislativa statale e regionale, spettando allo Stato l'individuazione delle eventuali competenze comunali ed alla regione di dettarne i criteri e le modalità di esercizio. E, difatti, proprio con l'art. 25, quarto comma, della legge n. 47 del 1985 il legislatore statale ha previsto che la destinazione d'uso degli immobili e le loro variazioni formassero oggetto di specifica disciplina regionale, con l'obbligo per i comuni di adeguarsi alla stessa.
Osservando, infine, come anche leggi di altre regioni abbiano dettato i criteri e le regole alle quali il comune dovrà attenersi nel disciplinare i casi in cui per la semplice variazione della destinazione d'uso è richiesta la preventiva autorizzazione, l'interveniente ha concluso chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile, o, comunque, infondata.
Considerato in diritto
1. - Oggetto della questione di legittimità costituzionale è l'art. 76, primo comma, punto 2, della legge della Regione Veneto 27 giugno 1985, n. 61 (Norme per l'assetto e l'uso del territorio), come modificato dall'art. 15 della legge regionale 11 marzo 1986, n. 9, il quale assoggetta ad autorizzazione onerosa i mutamenti di destinazione d'uso degli immobili operati senza il concorso di opere edilizie.
Ad avviso del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, tale norma contrasta con l'art. 117 della Costituzione violando il principio fondamentale della materia, stabilito dall'art. 25, quarto comma, della legge dello Stato 28 febbraio 1985, n. 47, "perché, anziché disciplinare il potere dei Comuni di regolamentare in ambiti determinati del territorio comunale, le destinazioni d'uso degli immobili, assoggettandone eventualmente i mutamenti ad autorizzazione", si sostituisce ad essi "nell'assoggettare ad autorizzazione indiscriminatamente tutti i mutamenti di destinazione d'uso". La norma impugnata contrasterebbe altresì con l'art. 5 della Costituzione perché "comprime l'autonomia comunale, in contrasto con quanto prescrive il predetto art. 25, quarto comma".
2. - Entrambe le eccezioni di inammissibilità formulate dalla Regione Veneto devono essere disattese.
Con la prima si sostiene il difetto del requisito della necessaria pregiudizialità della questione sollevata, nell'assunto che la controversia possa essere decisa altrimenti dal giudice a quo, indipendentemente da tale questione, e cioè sulla base di un altro motivo dedotto nel ricorso giurisdizionale ed incentrato sulla affermata tardività del diniego di autorizzazione, per essersi già formato, con il decorso del tempo, il silenzio-assenso sull'istanza dell'interessato.
Se l'autorizzazione fosse stata ritenuta dal giudice a quo in tal modo acquisita - si sostiene dalla Regione Veneto - il ricorrente avrebbe perduto interesse a contrastare il diniego, per cui la questione di legittimità costituzionale sarebbe rimasta priva di rilevanza.
La tesi non può essere presa in considerazione, perché essa implicherebbe un sindacato, precluso alla Corte, sull'operato del giudice a quo circa l'ordine con il quale egli ha ritenuto di affrontare i motivi di ricorso sottoposti al suo esame, tanto più che, nella specie, appare condivisibile essersi affrontato per primo il motivo che ha fornito l'occasione per sollevare la questione di legittimità costituzionale. Difatti, con questo motivo, l'interessato tendeva a contestare in radice l'assoggettabilità ad autorizzazione del mutamento di destinazione senza opere edilizie e prospettava perciò un profilo assorbente rispetto all'altro.
Va parimenti disattesa la seconda eccezione di inammissibilità, non potendosi in questa sede verificare se sia o meno esatto che il richiesto mutamento di destinazione non fosse comunque consentito dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e che, quindi, fosse necessario un permesso del Comune, sotto forma di concessione o di autorizzazione, in base alla stessa legge dello Stato n. 47 del 1985. È questo un profilo che attiene al merito della controversia demandata al giudice a quo e, quindi, ne è precluso l'esame da parte del giudice della legittimità delle leggi.
3. - La questione, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, è fondata.
La legge 28 febbraio 1985, n. 47, disciplinando ex novo gli istituti dell'autorizzazione e della concessione in materia edilizia ed individuando l'ambito degli interventi di spettanza del legislatore regionale, enuncia i principi fondamentali cui devono attenersi le Regioni in detta materia.
Per quel che riguarda il mutamento di destinazione l'art. 8 della legge citata ne ha previsto l'assoggettabilità al regime della concessione solo quando sia connessa a variazioni essenziali "del progetto", comportanti variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968. Il preciso riferimento alle variazioni essenziali "del progetto" fa sì che debba ritenersi esclusa dal regime della concessione ogni ipotesi di mutamento di destinazione non connessa con modifiche strutturali dell'immobile.
Il mutamento di destinazione comunque accompagnato da qualsiasi intervento edilizio (per il quale non sia altrimenti prevista la concessione), anche se solo interno, è invece assoggettato dall'art. 26 della legge n. 47 del 1985 al regime dell'autorizzazione, ciò desumendosi dall'eccezione ivi espressamente prevista rispetto al regime ordinario delle opere interne.
Del mutamento di destinazione senza opere, si occupa invece l'ultimo comma dell'art. 25 della legge statale citata, la quale demanda al legislatore regionale di stabilire "criteri e modalità cui dovranno attenersi i comuni, all'atto della predisposizione di strumenti urbanistici, per l'eventuale regolamentazione, in ambiti determinati del proprio territorio, della destinazione d'uso degli immobili, nonché dei casi in cui, per la variazione di essa, sia richiesta la preventiva autorizzazione".
Dal tenore di detta norma e dal suo collegamento con le altre citate si evince che la modifica funzionale della destinazione, non connessa all'esecuzione di interventi edilizi, può essere assoggettata soltanto al regime dell'autorizzazione, e solo dopo che i criteri, dettati dall'apposita legge regionale prevista dall'art. 25 citato, siano filtrati ed attuati in sede di pianificazione urbanistica comunale relativamente ad ambiti determinati. In altri termini l'assoggettamento, al controllo dell'amministrazione, del mutamento di destinazione, senza il concorso di opere edilizie, è, quindi, subordinato ad un preventivo apprezzamento di insieme del territorio diretto a verificare se dalla mutata utilizzazione possano effettivamente derivare situazioni di incompatibilità con il tessuto urbanistico. Apprezzamento, questo, che, richiedendo il concreto esame delle diverse situazioni ambientali, è possibile nel momento pianificatorio mediante strumenti, idonei sia ad assicurare il soddisfacimento delle reali esigenze di ciascuno degli ambiti territoriali considerati, sia a garantire di volta in volta, ai fini del rilascio o del diniego dell'autorizzazione, un' obiettiva e congrua valutazione ancorata a parametri predeterminati da detti strumenti. L'impugnata norma della Regione Veneto contrasta perciò con l'art. 117 della Costituzione perché, come rilevato dal giudice a quo, si sostituisce ai Comuni, assoggettando direttamente ad autorizzazione tutti i mutamenti di destinazione d'uso in difformità dal principio fondamentale della legge statale, che ha invece subordinato il regime dell'autorizzazione a preventive valutazioni d'ordine urbanistico in sede di pianificazione comunale.
4. - L'accoglimento della questione, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, assorbe il profilo relativo all'art. 5.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 76, primo comma, punto 2, della legge della Regione Veneto del 27 giugno 1985, n. 61 (Norme per l'assetto e l'uso del territorio), come modificato dall'art. 15 della legge della Regione Veneto 11 marzo 1986, n. 9 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 27 giugno 1985, n. 61, recante " Norme per l'assetto e l'uso del territorio"), sollevata, in riferimento agli artt. 5 e 117 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.
Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.
Depositata in cancelleria l'11 febbraio 1991.