Sentenza n. 91 del 1971
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SENTENZA N. 91

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 313, terzo comma, del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 22 febbraio 1969 dal giudice istruttore del tribunale di Lucca nel procedimento penale a carico di Porta Gianfranco ed altri, iscritta al n. 111 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 98 del 16 aprile 1969;

2) ordinanza emessa il 28 novembre 1969 dalla Corte d'assise di Torino nel procedimento penale a carico di Marasso Giuseppe, iscritta al n. 26 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57 del 4 marzo 1970.

Udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 1971 il Giudice relatore Vezio Crisafulli  

Ritenuto in fatto 

1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Porta Gianfranco ed altri, imputati del reato di vilipendio alle Forze armate dello Stato ed al Governo (art. 290 cod. pen.), il giudice istruttore presso il tribunale di Lucca ha sollevato con ordinanza emessa in data 22 febbraio 1969 questione di legittimità costituzionale della norma di cui all'art. 313, terzo comma, ultima ipotesi, del codice penale, in riferimento all'art. 104, primo comma, della Costituzione.

L'ordinanza assume che la disposizione denunciata, attribuendo al Ministro per la giustizia il potere di concedere ovvero rifiutare l'autorizzazione a procedere per il reato in esame, subordinerebbe il processo penale all'esito di una valutazione discrezionale compiuta da un organo statuale estraneo alla magistratura, in contrasto con il principio della separazione dei poteri, che trova la sua più completa ed esplicita enunciazione nella norma costituzionale secondo cui "la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere". La rilevanza sussisterebbe nella fattispecie, avendo il Ministro rifiutato l'autorizzazione a procedere.

2. - La stessa norma forma oggetto anche di altra questione di legittimità costituzionale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte d'assise di Torino, con ordinanza emessa il 28 novembre 1969 nel procedimento penale a carico di Marasso Giuseppe e di Servino Giuseppe. La lamentata violazione del principio costituzionale di eguaglianza consisterebbe - ad avviso del giudice a quo - nel fatto che l'art. 313, secondo l'interpretazione operatane dalla giurisprudenza, consentirebbe al Ministro per la giustizia di trattare diversamente, in ordine all'autorizzazione a procedere, persone che abbiano concorso nel medesimo reato, pur non essendo in questi casi l'istituto preordinato in funzione di una valutazione discrezionale della situazione dei soggetti attivi del reato. La rilevanza sussisterebbe, in quanto nella fattispecie di cui trattasi l'autorizzazione é stata concessa per il primo e negata per il secondo dei due coimputati.  

Considerato in diritto 

1. - I due giudizi hanno ad oggetto la medesima disposizione di legge e possono quindi esser decisi con unica sentenza.

2. - L'ordinanza del tribunale di Lucca ripropone, con esclusivo riferimento all'art. 104, primo comma, della Costituzione, la stessa questione di legittimità costituzionale dell'art. 313, terzo comma, del codice penale, che questa Corte ebbe già a dichiarare non fondata con la sentenza n. 22 del 1959, alla stregua, tra l'altro, della norma costituzionale dell'art. 104, cui si richiama il tribunale di Lucca.

E poiché l'ordinanza non adduce motivi nuovi né si ravvisano ragioni che possano indurre a diversa decisione, la questione dev'essere dichiarata manifestamente infondata.

3. - Presenta, invece, un profilo parzialmente nuovo l'ordinanza della Corte d'assise di Torino, con riferimento - questa volta - al solo art. 3 della Costituzione e con specifico riguardo alla particolare ipotesi, che si era concretamente verificata nel caso di specie, di concorso di più persone nel medesimo fatto-reato, l'autorizzazione a procedere prevista dall'art. 313, terzo comma, essendo stata concessa nei confronti di un imputato e negata, per contro, nei confronti di un altro. Di qui, e muovendo dalla premessa che una tale illimitata facoltà di scelta sia effettivamente consentita al Ministro per la giustizia dall'art. 313, la denunciata violazione del principio di eguaglianza.

Sennonché, l'interpretazione assunta - peraltro, dubitativamente - dall'ordinanza, oltre ad essere disattesa dalla dottrina pressoché unanime, si rivela in contraddizione con la ragion d'essere dell'istituto regolato nell'art. 313 cod. pen., tale disposizione prescrivendo la necessità dell'autorizzazione a procedere in considerazione della natura oggettiva dei reati ivi contemplati, e non in considerazione delle qualità personali degli imputati.

Come questa Corte ebbe ad affermare nella menzionata sentenza n. 22 del 1959 "la valutazione demandata al Ministro per la giustizia ha per Oggetto il promuovimento o la prosecuzione dell'azione penale per determinati reati, chiunque ne sia l'autore"; ed é per questo che la norma dell'art 313, non operando alcuna discriminazione tra i cittadini che versino in identica situazione, venne riconosciuta non in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

É da ritenere perciò conforme ai principi l'indivisibilità dell'autorizzazione, stabilita, come nel caso dell'art. 313, con riguardo al fatto, nulla rilevando in contrario che manchi nel codice una espressa disposizione in tal senso, quale si rinviene invece negli artt. 120, 123, 129 e 130, per la querela, la richiesta e l'istanza. Giacché, in queste ultime ipotesi, a differenza che in quella dell'art. 313, terzo comma, la procedibilità o la proseguibilità dell'azione penale possono indifferentemente essere subordinate a valutazioni di ordine soggettivo, oltre che oggettivo, ed era quindi necessaria una norma che ne estendesse in ogni caso, ciò malgrado, l'efficacia ai coimputati.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

a) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 313, terzo comma, del codice penale, sollevata, con l'ordinanza del giudice istruttore del tribunale di Lucca di cui in epigrafe, in riferimento all'art. 104, primo comma, della Costituzione e già dichiarata non fondata con la sentenza n. 22 del 16 aprile 1959;

b) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 313, terzo comma, del codice penale, sollevata, con l'ordinanza della Corte d'assise di Torino di cui in epigrafe, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1971

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 29 aprile 1971.