SENTENZA N. 76
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 23 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 23 dicembre 1991 dal Pretore di Isernia, il 16 marzo 1992 dal Tribunale di Roma, il 21 gennaio e 28 febbraio 1992 dal Tribunale di Udine, il 13 febbraio 1992 dal Tribunale di Varese, il 25 marzo 1992 dal Tribunale di Potenza, il 23 dicembre 1991 (n. 3 ordinanze) dal Pretore di Messina - Sezione distaccata di Francavilla di Sicilia, il 4 giugno 1992 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Avezzano e il 1° giugno 1992 dal Tribunale di Torino, rispettivamente iscritte ai nn. 264, 280, 285, 288, 320, 425, 432, 433, 434, 469, 470 e 493 del registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 21, 22, 26, 37, 38 e 40, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 19 novembre 1992 il Giudice relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto in fatto
l. Con sentenza pronunciata il 23 ottobre 1991, il Tribunale di Isernia - dichiarata la propria incompetenza per materia - trasmetteva gli atti al Pretore del luogo, il quale, con ordinanza del 23 dicembre 1991, sollevava, in relazione agli articoli 3,24 e 25 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 23 del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che il giudice del dibattimento, quando dichiara la propria incompetenza, ordini la trasmissione degli atti al giudice competente e non al pubblico ministero presso quest'ultimo.
A dire del remittente, il disposto dell'art. 23 del codice di rito violerebbe la norma contenuta nell'art. 3 della Costituzione, palesandosi una disparità di trattamento tra colui che è citato al giudizio del pretore a seguito della dichiarazione di incompetenza del tribunale e colui che è citato davanti al pretore, attraverso le vie fisiologiche, dal pubblico ministero. Solo nel secondo caso, infatti, l'imputato potrebbe evitare il dibattimento, facendo ricorso ai riti alternativi e, in particolare, al giudizio abbreviato.
Si pone altresì in rilievo anche una violazione dell'art.24 della Costituzione, non potendo l'imputato far ricorso ai riti alternativi con evidente menomazione del suo diritto di difesa. Nè varrebbe opporre la considerazione in base alla quale l'imputato già in precedenza sarebbe stato nella condizione di adire tali riti innanzi al giudice (incompetente) dell'udienza preliminare, atteso che la dichiarazione d'incompetenza travolgerebbe tutti gli atti con la sanzione della nullità (salve le eccezioni di cui all'art. 26 del codice di procedura penale).
Viene infine segnalato dal remittente un preteso contrasto con l'art. 25 della Costituzione e, in ispecie, con il principio della precostituzione del giudice naturale ivi contenuto, poichè per il disposto della norma censurata il pretore dovrebbe formare il fascicolo per il dibattimento, mentre invece egli è, ai sensi dell'art. 558 del codice di procedura penale, investito legittimamente del processo solo quando riceve il fascicolo medesimo.
2. Con due ordinanze di identico contenuto, emesse il 21 gennaio e il 28 febbraio 1992, il Tribunale di Udine ha sollevato questione di legittimità costituzionale del predetto art. 23 in riferimento agli artt.3, primo comma, e 24 della Costituzione. Gli imputati erano stati citati a giudizio davanti al Pretore di Udine, il quale aveva declinato con sentenza la propria competenza per materia e aveva ordinato la trasmissione degli atti al Tribunale.
Essendo stata esercitata in modo erroneo l'azione penale, i prevenuti si troverebbero ora privati non solo dell'udienza preliminare, ma soprattutto della possibilità di richiedere il giudizio abbreviato. La qual cosa comporterebbe una disparità di trattamento rispetto a coloro che, pur imputati del medesimo titolo di reato, siano stati tratti a giudizio senza passare attraverso una pronuncia di incompetenza.
Oltre alla lesione del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la norma impugnata, per le stesse considerazioni, violerebbe il diritto di difesa dell'imputato. Secondo il Tribunale remittente, infatti, non si potrebbe accedere a una diversa interpretazione della nozione di "giudice competente", di cui all'art. 23, che andrebbe univocamente interpretato come giudice del dibattimento, in considerazione del principio di non regressione del processo in una fase precedente a quella in cui viene dichiarata l'incompetenza. Nè sarebbe possibile proporre, per la prima volta, l'istanza per il rito abbreviato dinanzi al tribunale, poichè in tal modo si verrebbe a introdurre nell'ordinamento una nuova disciplina di tale istituto processuale (regolato dagli artt. 438 e ss. del codice di procedura penale) mediante una interpretazione analogica con effetto normativo preclusa al giudice ordinario.
3. Con ordinanza pronunciata il 13 febbraio 1992, il Tribunale di Varese, investito del procedimento successivamente alla dichiarazione di in competenza per materia da parte del Pretore di Varese, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, primo comma, del codice di procedura penale, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la trasmissione degli atti al giudice per le indagini preliminari.
Ha osservato il Tribunale che, stante il principio di divieto di regressione del procedimento, il < giudice competente>, indicato dal predetto art. 23 come destinatario degli atti, dovrebbe individuarsi nel giudice del dibattimento e, quindi, una volta trasmesso il procedimento dal pretore al tribunale, si perverrebbe al risultato di privare l'imputato dell'udienza preliminare e della facoltà di richiedere il rito abbreviato. Tale restrizione, a carico dei soli imputati che abbiano visto instaurare il giudizio davanti ad un giudice incompetente, sarebbe con tutta evidenza ingiustificata e determinerebbe una disparità di trattamento rispetto a coloro che, imputati dello stesso titolo di reato, non abbiano sofferto l'errore procedurale. Nè le esigenze di celerità processuale, che secondo il remittente sarebbero alla base della norma censurata, potrebbero giustificatamente prevalere sull'interesse dell'imputato a conseguire attraverso il rito abbreviato una diminuzione della pena.
4. Con ordinanza del 16 marzo 1992, a seguito della declaratoria di incompetenza per materia del Pretore, il Tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, primo comma, del codice di rito per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Ha osservato il Tribunale che, in base al principio della non regredibilità del processo a una fase antecedente, si deve escludere la possibilità di una interpretazione diversa da quella che individua nel giudice del dibattimento il destinatario degli atti trasmessi per effetto della sentenza di incompetenza per materia di cui all'art. 23, primo comma.
Quando il legislatore ha voluto ravvisare un diverso destinatario - è l'ipotesi contenuta nell'art. 22, terzo comma, dello stesso codice - lo ha, infatti, espressamente detto. L'indicazione del "giudice competente" non potrebbe ritenersi come riferita al giudice per le indagini preliminari, atteso che quest'ultimo non avrebbe poteri di iniziativa, ma agirebbe solo su impulso del pubblico ministero e, dunque, essa dovrebbe intendersi rapportata al giudice del dibattimento.
Per l'imputato conseguirebbe la privazione dell'udienza preliminare e, quindi, della possibilità di far valere le ragioni della sua innocenza, con palese sacrificio del principio costituzionale sancito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
La norma impugnata verrebbe a creare anche una disparità di trattamento, censurabile sotto il profilo dell'art. 3, tra l'imputato nei cui confronti il processo si sia svolto ab initio secondo le norme che regolano il procedimento innanzi al tribunale e quello che, per lo stesso reato, sia sottoposto al giudizio del tribunale in seguito a una sentenza pretorile di incompetenza.
5. Con sentenza pronunciata il 25 marzo 1991 il Pretore di Potenza, dichiarata la propria incompetenza per materia, trasmetteva gli atti al Tribunale del luogo, che con ordinanza del 25 marzo 1992 sollevava, in relazione agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 23 del codice di procedura penale.
A dire del remittente, il disposto di tale articolo violerebbe l'art.3 della Costituzione, rivelando una disparità di trattamento tra colui che è citato a giudizio del tribunale in seguito alla dichiarazione di incompetenza del pretore e colui che è invece citato, secondo il citato iter, davanti al tribunale. Solo nell'ultimo caso si instaurerebbe l'udienza preliminare con la possibilità di definire in questa sede il processo. D'altra parte, si verrebbe a determinare anche una violazione del diritto di difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione): il sistema introdotto dal nuovo codice priverebbe, infatti, l'imputato sia della facoltà di avvalersi dell'udienza preliminare, nella quale difendersi, evitando il rinvio a giudizio ed il pubblico dibattimento, sia della possibilità di utilizzare i riti alternativi (in ispecie, il giudizio abbreviato) sulla base di valutazioni riferite alla diversa entità del reato quale ritenuto nella sentenza di incompetenza. La norma impugnata, infine, urterebbe contro l'art. 112 della Costituzione, venendo a spogliare il pubblico ministero presso il giudice competente dei suoi poteri di iniziativa che, certo, non si potrebbero ritenere validamente esercitati dal pubblico ministero presso il giudice dichiaratosi incompetente.
6. Con tre ordinanze di identico contenuto, emesse tutte in data 23 dicembre 1991, il Pretore di Messina - sezione distaccata di Francavilla di Sicilia, investito dei procedimenti sulla base di altrettante pronunce di incompetenza per territorio del Pretore di Catania, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.23 del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 1 e 50, primo comma, dello stesso codice, per violazione degli artt. 102, primo comma, e 112 della Costituzione, nella parte in cui prevede che il giudice del dibattimento di primo grado, dichiarandosi incompetente (per territorio), ordini la trasmissione degli atti al giudice ritenuto competente anzichè al pubblico ministero presso quest'ultimo.
Ha osservato il Pretore che ben più razionale soluzione sarebbe quella di imporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero al fine di consentire a quest'ultimo la scelta tra la proposizione dell'accusa e la sua archiviazione (ove l'accusa sia smentita dagli atti raccolti o non abbastanza provata). L'art. 23, primo comma, del codice di rito vincolerebbe, invece, il pubblico ministero (anche nel caso di un procedimento male instaurato) alle valutazioni delle risultanze processuali fatte dal suo omologo presso il giudice incompetente, violando il principio della titolarità dell'azione penale da parte del pubblico ministero presso il giudice competente per territorio.
Tale meccanismo, del tutto irrazionale, sarebbe in contrasto con gli artt. 102, primo comma, e 112 della Costituzione.
7. Con due ordinanze di identico contenuto, pronunciate il 4 giugno 1992, il Tribunale di Avezzano, investito dei giudizi a seguito della dichiarazione di incompetenza per materia da parte del Pretore di Celano, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.23, primo comma, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Ha osservato il Tribunale che il principio di non regressione del processo, come enunciato nel predetto articolo del codice di rito, viene a privare l'imputato dell'intera fase dell'udienza preliminare, tipica del processo di tribunale, con riflessi ablativi di alcuni diritti e facoltà di difesa, quali la richiesta di giudizio abbreviato ovvero la possibilità del proscioglimento all'esito di tale udienza, con un'evidente violazione dei principi costituzionali della parità di trattamento e dell'inviolabilità del diritto alla difesa di cui agli artt.3 e 24 della Costituzione.
8. Con ordinanza dell'1 giugno 1992 emessa dal Tribunale di Torino conseguentemente alla declaratoria di incompetenza per materia del Pretore, è stata sollevata, per violazione degli artt. 112, 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art.23, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui si prevede la trasmissione degli atti dal giudice incompetente per materia al giudice di competenza superiore.
Ha osservato il Tribunale che la normativa impugnata, innovatrice rispetto alla disciplina prevista dal codice abrogato, realizza una vera e propria perpetuatio judicii.
Imponendo il non ritorno degli atti all'ufficio del pubblico ministero nel caso di dichiarazione d'incompetenza di altro giudice, essa comporterebbe un'investitura diretta del giudice identificato come competente e, pertanto, contrasterebbe con l'art. 112 della Costituzione che pone in capo al solo pubblico ministero il potere-dovere di esercitare l'azione penale.
Se il principio della perpetuatio judicii appare corretto nel caso della dichiarazione d'incompetenza territoriale (poichè l'azione penale sarebbe già stata iniziata e lo spostamento del procedimento nulla aggiungerebbe al già avvenuto esercizio dell'azione), in presenza d'una declaratoria d' incompetenza per materia tale esso non sarebbe. In questo caso il fatto potrebbe risultare diverso o più grave rispetto a quello originariamente contestato e, allora, si renderebbe necessaria l'iniziativa del pubblico ministero per la sua definizione. In mancanza, essendo il giudice a rilevare d'ufficio la diversità e ordinare la trasmissione degli atti a quello competente, egli finirebbe per divenire partecipe dell'esercizio dell'azione penale, ciò che per Costituzione gli è precluso.
Inoltre, nel passare, da una sede processuale di competenza inferiore a un'altra di competenza superiore, si verrebbe a privare l'imputato della possibilità di richiedere il rito abbreviato che egli poteva non avere interesse a richiedere di fronte ad un reato minore, mentre potrebbe avere interesse a richiedere di fronte a un reato più grave non ritualmente contestatogli. Senza il vaglio dell'udienza preliminare, si verrebbe a spogliare l'imputato di una garanzia propria del procedimento di primo grado che non si svolge davanti al pretore, palesandosi un contrasto con l'art.3, primo comma, della Costituzione (per disparità di trattamento di fronte a situazioni oggettivamente eguali) e con l'art. 24, secondo comma (per la limitazione delle potenzialità difensive assicurate all'imputato).
9. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto, con altrettanti atti di intervento, la declaratoria di infondatezza di ogni questione di costituzionalità sollevata.
A sostegno di tale assunto, l'Avvocatura ha osservato che la ratio dell'art. 23, primo comma, del codice di procedura penale è quella di evitare la regressione del procedimento alla fase iniziale dell'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero. Con la conseguente necessità di rimettere il procedimento al giudice competente per la stessa fase (quella del dibattimento) in cui il processo si trovava, sì che il decreto di citazione non varrebbe come atto di esercizio dell'azione penale, ma solo di fissazione della nuova udienza dibattimentale.
Si tratterebbe dunque d'una scelta di economia processuale che non violerebbe alcun principio costituzionale: la trasmissione degli atti al giudice competente non priverebbe l'organo nel suo complesso del potere di esercizio dell'azione penale, nè trasferirebbe in capo al giudice competente un potere di valutazione circa tale esercizio.
La procedura di cui all'articolo in questione non violerebbe alcun principio costituzionale:
a) non quello di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), giacchè la situazione dell'imputato citato per la prima volta in giudizio sarebbe diversa rispetto a quella di colui nei cui confronti l'azione penale è stata già esercitata, anche se deve proseguire davanti a un giudice diverso;
b) non quello del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione), perchè nella fase precedente l'imputato ha avuto la possibilità di richiedere i riti alternativi, ma non ne ha usufruito, perciò "bruciando" tale sua facoltà;
c) non, infine, quello del giudice naturale (art. 25 della Costituzione), in quanto al nuovo giudice viene trasmesso solo il fascicolo dibattimentale e non anche quello del pubblico ministero.
Circa l'infondatezza della questione sollevata dal Pretore di Messina-sezione distaccata di Francavilla di Sicilia, l'Avvocatura ha osservato che l'art. 112 Cost. non può dirsi violato, in quanto l'azione penale è stata correttamente esercitata dall'ufficio del p.m., anche se poi risultato incompetente per territorio, mentre il profilo relativo all'art. 102, primo comma, della Costituzione, invocato nelle tre ordinanze in precedenza richiamate, non troverebbe alcuna giustificazione dal momento che detta norma tutela il principio della giurisdizione ordinaria rispetto a quelle speciali, sì che la relativa questione non sembra avere alcun collegamento con il caso in esame.
Considerato in diritto
l. Le dodici ordinanze sopra analizzate sottopongono all'attenzione della Corte questioni di costituzionalità dell'art. 23, primo comma, del codice di procedura penale:
a) nella parte in cui prevede che il giudice del dibattimento, quando dichiara la propria incompetenza per materia, ordini la trasmissione degli atti al giudice ritenuto competente anzichè al pubblico ministero presso quest'ultimo (ordinanze del Pretore di Isernia e dei Tribunali di Udine, Roma e Potenza, Avezzano e Torino) e, in un caso (ordinanza del Tribunale di Varese), anzichè al relativo giudice per le indagini preliminari, variamente motivando con riferimento agli art. 3, 24, 25 e 112 della Costituzione;
b) nella parte in cui prevede che il giudice del dibattimento del primo grado, quando dichiara la propria incompetenza per territorio, ordini la trasmissione degli atti al giudice ritenuto competente anzichè al pubblico ministero presso quest'ultimo (tre ordinanze del Pretore di Messina-sezione distaccata di Francavilla di Sicilia), sempre motivando con riferimento agli artt. 102 e 112 della Costituzione.
2. La questione sub a) è fondata, là dove si duole che gli atti non siano trasmessi al pubblico ministero presso il giudice ritenuto competente per materia in sede di applicazione dell'art. 23, primo comma, codice di procedura penale.
Il discorso non può non prendere le mosse dalla indiscutibile premessa che la soluzione ivi delineata quale seguito della declaratoria d'incompetenza per materia da parte del giudice del dibattimento priva l'imputato della possibilità di richiedere il giudizio abbreviato in ordine alla situazione profondamente diversa insorta per effetto di un errore in precedenza da altri commesso nella individuazione della competenza per materia e solo ora riscontrato dal giudice investito del dibatti mento. E ciò tanto nel caso in cui gli atti vengano trasmessi dal pretore al tribunale, quanto nel caso inverso, entrambi variamente riscontrabili nelle vicende oggetto dei procedimenti a quibus, ma non senza la possibilità di ampliare la visuale anche ai casi di incompetenza ravvisata da o verso la Corte di assise.
La declaratoria d'incompetenza rivela, di per sè, l'avvenuta violazione delle norme penali e processuali su cui si basa la ripartizione della competenza per materia: una violazione che - o dovuta ad una erronea applicazione delle disposizioni preposte al riparto della stessa o dovuta a una erronea qualificazione giuridica del fatto - riguarda non soltanto l'individuazione dell'organo chiamato in concreto a esercitare la giurisdizione, ma anche la sostanza stessa dell'azione penale. Quale che sia, dunque, la < fonte> di siffatta valutazione, risulta lesivo del diritto di difesa il precludere all'imputato, in una situazione così modificata, la possibilità di richiedere rispetto ad essa l'instaurazione di un rito che comporta notevoli benefici (soprattutto in termini sanzionatori) qual è il giudizio abbreviato. Un rito che, certo, l'imputato non aveva ritenuto di attivare o che gli era stato impedito di ottenere dal mancato consenso del pubblico ministero ovvero dal rigetto del giudice per le indagini preliminari, ma ciò sulla base di un errore (v.anche l'art. 21, primo comma, codice di procedura penale) attribuibile al pubblico ministero.
É indubitabile, infatti, che le valutazioni dell'imputato circa la convenienza del rito speciale vengono a dipendere anzitutto dalla concreta impostazione data al processo dal pubblico ministero, con particolare riguardo ai profili legati alla competenza per materia, quali l'esatta individuazione del correlativo giudice, con importanti riflessi sulle metodologie processuali corrispondenti alle diverse competenze per materia. Analogamente, la valutazione da parte del pubblico ministero o del giudice delle indagini preliminari circa la definibilità del processo allo stato degli atti potrebbe concludersi, in relazione alla nuova situazione processuale, diversamente da quanto ritenuto relativamente alla situazione originaria nel senso di non dar corso alla richiesta di giudizio abbreviato allora presentata dall'imputato.
Va aggiunto che la variazione presa in esame dalle ordinanze di rinvio a giudizio non riguarda una evenienza per così dire fisiologica del procedimento, come quella della contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante emergente dal dibattimento ai sensi dell'art. 517 codice di procedura penale, in ordine alla quale questa Corte ha considerato non illegittima la preclusione dei riti speciali (sent. n. 593 del 1990
e ordd. nn. 213 del 1992, 515, 116 e 11 del 1991), ma, in quanto derivante da un errore, pone riparo a una < patologia> processuale che, proprio perchè tale, non può risolversi in un pregiudizio per l'imputato di essa non responsabile.
L'art. 23, primo comma, codice di procedura penale va dunque dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che, a seguito della dichiarazione di incompetenza per materia, gli atti siano trasmessi al giudice ritenuto competente, anzichè al pubblico ministero presso quest'ultimo.
Restano pertanto assorbiti gli ulteriori parametri invocati dai giudici a quibus.
3. La questione sub b), sollevata dal Pretore di Messina - sezione distaccata di Francavilla di Sicilia con riguardo alla declaratoria di incompetenza territoriale, non è, invece, fondata.
Nella situazione presa in considerazione dal Pretore remittente - non riscontrandosi una novità di contestazione dell'accusa tale da ledere il diritto di difesa dell'imputato in ordine alla scelta del rito, come implicitamente riconosce lo stesso giudice a quo, con il non eccepire la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione - non vi è lesione dei due parametri invocati (artt. 102, primo comma, e 112 della Costituzione, in relazione agli artt. 1 e 50, primo comma, codice di procedura penale).
Infatti, nonostante la intervenuta dichiarazione d'incompetenza per territorio, l'azione penale a carico dell'imputato, data l'identità del fatto e del titolo di reato contestato, risulta esercitata da un ufficio del pubblico ministero equiordinato, senza partecipazione di alcun organo giudicante alla formulazione dell'accusa, con conseguente pieno rispetto dei ruoli, quali gli artt. 102, primo comma, e 112 della Costituzione contribuiscono a delineare, trovando puntuale rispondenza negli artt. 1 e 50, primo comma, codice di procedura penale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i ricorsi:
a) dichiara l'illegittimità costituzionale, dell'art. 23, primo comma, codice di procedura penale nella parte in cui dispone che, quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per materia, ordina la trasmissione degli atti al giudice competente anzichè al pubblico ministero presso quest'ultimo.
b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, primo comma, codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt.102, primo comma, e 112 della Costituzione, e in relazione agli artt. 1 e 50, primo comma, codice di procedura penale, dal Pretore di Messina - sezione distaccata di Francavilla di Sicilia con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/02/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Francesco GUIZZI, Redattore
Depositata in cancelleria il 11/03/93.