ORDINANZA N.11
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giovanni CONSO Presidente
Prof. Ettore GALLO Giudice
Dott. Aldo CORASANITI “
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 423, comma secondo, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 23 marzo 1990 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona nel procedimento penale a carico di Rossini Luigi, iscritta al n. 530 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1990.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice relatore Enzo Cheli.
Ritenuto che nel procedimento penale a carico di Luigi Rossini imputato del delitto di cui agli artt. 81 c.p.v., 476, 479, 61 n.2 c.p., del delitto di cui agli artt. 347, 61 n. 9 c.p., del delitto di cui agli artt. 640, secondo comma n. 1, 61 n. 9 c.p., nonché del delitto di cui all'art. 324 c.p., il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona, con ordinanza del 23 marzo 1990, ha sollevato d'ufficio - in riferimento agli artt. 112, 24 e 27, secondo comma, Cost. - questione di legittimità costituzionale dell'art. 423, secondo comma, del nuovo codice di procedura penale nella parte in cui assoggetta al consenso dell'imputato la contestazione, da parte del pubblico ministero, di fatti nuovi non enunciati nella richiesta di rinvio a giudizio;
che, ad avviso del giudice remittente, la norma impugnata si porrebbe <<in esplicito contrasto con l'art. 112 della Costituzione che sancisce l'obbligatorietà di esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero, a prescindere dal momento storico ed effettivo in cui detta azione, già esercitata originariamente tramite la richiesta di decreto ex art. 419, prosegua o meglio si perfezioni ex art. 423, secondo comma, del nuovo codice di procedura penale>>;
che, sempre secondo il giudice remittente, risulterebbero altresì violati gli artt. 24 e 27, secondo comma, Cost. poiché la norma denunciata farebbe dipendere il diritto di difesa <<dalla disponibilità dell'imputato e quindi da un eccesso dell'altrui difesa del tutto sproporzionato rispetto al principio del “favor rei” di cui all'art. 27, secondo comma, Cost.>>;
che l'ordinanza di rinvio del 23 marzo 1990 è stata successivamente <<integrata>> da un ulteriore atto dello stesso giudice remittente, denominato <<postilla critico-motiva>>, che reca la data del 27 marzo 1990;
che in quest'ultimo atto il giudice a quo, pur riconoscendo che l'azione penale non può essere comunque paralizzata dal mancato consenso dell'imputato alle nuove contestazioni del pubblico ministero, sostiene che l'azione penale verrebbe comunque ad essere ritardata e procrastinata nel tempo, in contrasto con le esigenze di economia processuale e di funzionalità di cui all'art. 97, primo comma, Cost.;
che lo stesso ha disposto la notificazione, la comunicazione e la trasmissione alla Corte anche dell'atto in data 27 marzo 1990, qualificandolo come <<motivazione integrativa, avente riferimento “per incidens" all'art. 97, primo comma, Cost.>>;
che nel giudizio dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza e comunque non fondata.
Considerato che l'art. 423, secondo comma, del nuovo codice di procedura penale detta la disciplina delle <<nuove contestazioni>> nel corso dell'udienza preliminare, stabilendo che <<se risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere d'ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il pubblico ministero ne fa richiesta e vi è il consenso dell'imputato>>;
che tale disposizione non viola il principio di obbligatorietà dell'azione penale sancito dall'art. 112 Cost. poiché il pubblico ministero - quando nel corso dell'udienza preliminare risulti a carico dell'imputato un fatto nuovo che configuri un reato perseguibile d'ufficio - può solo scegliere se esercitare per tale fatto un'azione penale separata o procedere, con il consenso dell'imputato, alla nuova contestazione nell'ambito del processo già in corso, con conseguente trattazione unitaria delle due imputazioni;
che neppure sono violati gli artt. 24 e 27, secondo comma, Cost. in quanto la norma impugnata - nel subordinare al consenso dell'imputato la possibilità di nuove contestazioni nel corso dell'udienza preliminare - mira proprio ad evitare il pregiudizio al diritto di difesa dell'imputato che potrebbe derivare dalla inaspettata contestazione di fatti nuovi non enunciati nella richiesta di rinvio a giudizio;
che pertanto vanno dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimati costituzionale dell'art. 423, secondo comma, del nuovo codice di procedura penale sollevate in riferimento agli artt. 112, 24 e 27, secondo comma, Cost. dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona;
che è manifestamente inammissibile l'ulteriore questione di legittimità costituzionale proposta dallo stesso giudice, in relazione all'art. 97 Cost., con atto in data 27 marzo 1990, successivo ed aggiuntivo rispetto all'originaria ordinanza di rinvio: e ciò in quanto tale questione risulta sollevata quando il processo a quo era già stato sospeso ed il giudice aveva ormai consumato il suo potere di sollevare questioni di legittimità costituzionale concernenti la norma già denunciata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n.87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudici davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 423, secondo comma, del nuovo codice di procedura penale sollevata in relazione agli artt. 112, 24 e 27, secondo comma, della Costituzione dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona con l'ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 423, secondo comma, del nuovo codice di procedura penale sollevata, in relazione all'art.97 della Costituzione, dallo stesso giudice con atto in data 27 marzo 1990.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 gennaio 1991.
Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.
Depositata in cancelleria il 10 gennaio 1991.