ORDINANZA N. 515
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
Prof. Francesco GUIZZI “
Prof. Cesare MIRABELLI “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 423, secondo comma, del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 23 febbraio 1991 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona nel procedimento penale a carico di Luigi Rossini iscritta al n. 478 del registro ordinanze del 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 1991 il Giudice relatore Enzo Cheli;
Ritenuto che nel procedimento penale a carico di Luigi Rossini, imputato del delitto di cui agli artt. 81, cpv., 476, 479, 61, n. 2, del codice penale, del delitto di cui agli artt. 640, secondo comma, n. 1, 61, n. 9, del codice penale, nonché del delitto di cui all'art. 324 del codice penale, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona, con ordinanza del 23 febbraio 1991, ha sollevato d'ufficio - in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 97 e 101, secondo comma, della Costituzione - questione di legittimità dell'art. 423, secondo comma, del codice di procedura penale nella parte in cui "prevede il consenso dell'imputato in sede di udienza preliminare quale condizione obbligatoria e vincolante per consentire al pubblico ministero la contestazione dei fatti nuovi non enunciati nella originaria richiesta del pubblico ministero di rinvio a giudizio ex artt. 416 e ss. stesso codice, anziché prevedere esplicitamente un congruo termine a difesa come quello contemplato dall'art. 519 del codice in sede dibattimentale";
che, nella ordinanza di rinvio, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona premette di aver già sollevato, nello stesso procedimento, con ordinanza del 23 marzo 1990, questione di legittimità costituzionale dell'art. 423, secondo comma, del codice di procedura penale con riferimento agli artt. 24, 27, secondo comma, e 112 della Costituzione e di avere successivamente indirizzato alla Corte un ulteriore atto, recante la data del 27 marzo 1990, nel quale si identificavano profili di contrasto del citato art. 423, secondo comma, con l'art. 97, primo comma, della Costituzione;
che, secondo il giudice a quo, l'ordinanza di questa Corte del 10 gennaio 1991, n. 11, con la quale è stata dichiarata la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata in relazione agli artt. 24, 27, secondo comma, e 112 della Costituzione e la manifesta inammissibilità della questione di costituzionalità prospettata con riferimento all'art. 97 della Costituzione, non esaurirebbe la "problematica giuridica" posta dalla sua precedente ordinanza di rinvio del 23 marzo 1990 e dal successivo atto del 27 marzo 1990;
che, sulla base di queste premesse, il giudice remittente ripropone le argomentazioni già svolte nella precedente ordinanza di rinvio dirette a dimostrare l'esistenza di un contrasto tra la norma impugnata e l'art. 24 della Costituzione ed aggiunge poi che la disposizione denunciata si porrebbe in contrasto anche con il principio di soggezione del giudice solo alla legge enunciato dall'art. 101, secondo comma, della Costituzione in quanto - a suo avviso - la disciplina delle nuove contestazioni farebbe "dipendere l'operato del giudice per le indagini preliminari dalla discrezionalità di una parte (l'imputato)";
che, infine, sempre a giudizio del remittente, la norma denunciata ritarderebbe l'azione penale con danno per l'economia processuale e la celerità del giudizio, in contrasto con l'art. 97 della Costituzione;
che nel giudizio dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;
Considerato che questa Corte, con l'ordinanza n. 11 del 10 gennaio 1991, ha già dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 423, secondo comma, del codice di procedura penale in relazione all'art. 24 della Costituzione, in precedenza sollevata dallo stesso giudice nello stesso procedimento;
che l'art. 423, secondo comma, del codice di procedura penale non lede il principio della soggezione del giudice solo alla legge enunciato dall'art. 101, secondo comma, della Costituzione poiché tale norma - contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo - non subordina l'operato del giudice per le indagini preliminari alla discrezionalità dell'imputato ma detta, invece, la regola da adottare per le "nuove contestazioni" nel corso dell'udienza preliminare, prescrivendo al giudice di autorizzare la contestazione all'imputato di "un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere d'ufficio" nella sola ipotesi che il pubblico ministero ne faccia richiesta e vi sia il consenso dell'imputato;
che neppure può dirsi violato l'art. 97 della Costituzione poiché la disposizione denunciata è diretta ad evitare il pregiudizio che potrebbe derivare al diritto di difesa dell'imputato dalla inaspettata contestazione di fatti nuovi non enunciati nella richiesta di rinvio a giudizio e non può perciò essere misurata sul metro delle esigenze di celerità del giudizio cui fa riferimento il giudice remittente;
che, inoltre, nella sua ordinanza di rinvio, il giudice remittente ipotizza che la norma impugnata violi gli artt. 2 e 3 della Costituzione ma omette completamente di indicare le ragioni che lo inducono a dubitare della conformità della disposizione denunciata ai suddetti precetti costituzionali, con la conseguenza che la relativa questione di costituzionalità va dichiarata manifestamente inammissibile;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 423, secondo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 24, 101, secondo comma, e 97 della Costituzione dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona con l'ordinanza di cui in epigrafe;
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 423, secondo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, dallo stesso giudice con la stessa ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI - Francesco GUIZZI - Cesare MIRABELLI.
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1991.