SENTENZA N. 205
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Aldo CORASANITI, Presidente
- Prof. Giuseppe BORZELLINO
- Dott. Francesco GRECO
- Prof. Gabriele PESCATORE
- Avv. Ugo SPAGNOLI
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 100 del r.d.16 marzo 1942, n. 267 ("disciplina del fallimento del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa") promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1991 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra la S.p.A.Nigeria in liquidazione ed il Condominio di Largo E. Fermi, n. 6 ed altro iscritta al n. 647 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale dell'anno 1991;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 31 marzo 1992 il Giudice relatore Renato Granata;
Ritenuto in fatto
udito l'avvocato Dario Di Gravio per la S.p.A. Nigeria in liquidazione e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri Con ordinanza in data 20 febbraio 1991 - emessa su ricorso della fallita società Nigeria avverso il provvedimento, del giudice delegato, di ammissione al passivo di un credito, già contestato dalla debitrice ai fini della esclusione dello stato di insolvenza nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento - l'adito Tribunale di Roma ha ritenuto rilevante, al fine del decidere sulla eccezione di difetto di legittimazione della fallita ex adverso formulata, e non manifestamente infondata in riferimento all'art. 24 Cost. - onde ha sollevato - questione incidentale di legittimità dell'art. 100 r.d. 1942 n. 267 "nella parte appunto in cui non prevede la legittimazione del fallito alla impugnazione dei crediti ammessi, anche quando l'accertamento del credito è pregiudiziale al giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento proposto dallo stesso fallito".
Secondo, infatti, il Collegio rimettente, "quando l'accertamento del passivo non ha, come nella specie, efficacia limitata ai fini delle operazioni procedurali ma investe l'accertamento di uno dei presupposti del fallimento, quando in particolare, la pronunzia del giudice delegato ha efficacia preclusiva anche in un giudizio nel quale il fallito conserva la sua legittimazione, appare fortemente lesiva del diritto alla difesa, garantito dal citato art. 24, l'esclusione della legittimazione del fallito dalla impugnazione dei crediti ammessi al passivo dal giudice delegato".
2. Nel giudizio innanzi a questa Corte si è costituita la società ricorrente svolgendo, anche con successiva diffusa memoria, considerazioni adesive alla prospettazione del giudice a quo.
3. L'Avvocatura di Stato, per l'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, ha viceversa concluso per l'infondatezza della questione.
Considerato in diritto
1. Nel contesto della procedura fallimentare disciplinata dal r.d. 16 marzo 1942 n. 267, e con riguardo al subprocedimento di formazione dello stato passivo che si conclude con il decreto del giudice che ne dichiara l'esecutività ai sensi dell'art. 97 della citata legge fallimentare, dispone il successivo art. 100 che, entro 15 giorni dal deposito del suddetto provvedimento, "ciascun creditore può impugnare i crediti ammessi con ricorso al giudice delegato".
Per consolidata interpretazione della Corte regolatrice (che rende la norma diritto vivente) analoga legittimazione (all'impugnazione) non è riconosciuta al fallito; e neppure (in suo nome e per suo conto) al curatore (nei cui confronti va comunque integrato il contraddittorio nel giudizio promosso dal creditore).
2. Proprio in relazione al riferito profilo di esclusione del debitore dal rimedio impugnatorio avverso il provvedimento di verifica del passivo, il dubbio di legittimità del menzionato art. 100, per contrasto con l'art. 24 Cost., è già stato prospettato a questa Corte, che - con sentenza n. 222 del 1984 - ne ha però escluso la fondatezza sul rilievo che - " la partecipazione del fallito alla fase sommaria di verificazione, la quale sfocia nel decreto di ammissione al passivo, consente di rappresentare le ragioni che ad avviso del fallito vanno poste a fondamento del decreto del giudice delegato, mentre l'attribuzione al fallito della legittimazione in persona alla impugnazione dei crediti ammessi offrirebbe facile esca alla perpetuazione della fase di cognizione ordinaria con grande nocumento dei creditori".
3. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Roma, che non ignora la richiamata sentenza 222/84, chiede però ora alla Corte di rimeditare la soluzione della questione: in relazione al profilo nuovo (rilevante nel processo a quo e non esaminato perchè non prospettato, dalla precedente pronunzia) del collegamento tra l'accertamento del passivo (ex artt. 97, 100 L.F.) e l'effetto preclusivo che, secondo lo stesso tribunale, ne consegue (anche) nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento (sub art. 18 L. cit.) nel quale il fallito formalmente conserva la sua legittimazione. Una volta infatti che, in virtù della ritenuta efficacia endofallimentare del provvedimento di accertamento dello stato passivo, è impedito al fallito di contestare i crediti ammessi, ne resta automaticamente pregiudicata - sempre ad avviso del Collegio rimettente - l'opposizione al fallimento, ove questa proprio a quella contestazione (come sulla specie) in tesi si correli.
Di qui appunto la violazione (in questi termini riproposta) del parametro costituzionale della difesa.
Osserva la Corte che in realtà - pur nel contesto di un indirizzo consolidato quanto alla sua enunciazione in termini "generali" circa l'efficacia endofallimentare dei risultati della verificazione del passivo - il quesito "specifico" se il decreto del giudice delegato, che dichiara esecutivo lo stato passivo, esplichi efficacia preclusiva anche nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento non trova una risposta univoca nei precedenti puntuali, peraltro pochi e neppure recenti, della Corte di Cassazione (in senso negativo Cass. 1170/1964; in senso affermativo Cass. 427/1969 e, obiter, Cass. 971 /1970).
Ma - ove anche si condivida l'interpretazione estensiva al riguardo accolta dal tribunale a quo e si ammetta che il sistema che ne risulta sia di dubbia compatibilità con la garanzia di difesa del fallito - la correlativa questione di costituzionalità è comunque inammissibile in questa sede, per i noti limiti entro i quali è consentita l'adozione di decisioni additive, come quella nella specie richiesta.
5. Come, infatti, reiteramente già precisato (cfr., tra le più recenti sent. n. 287, 202, 44, 25/91; 29/90), una decisione di tipo additivo è, in linea di principio, consentita soltanto quando la soluzione adeguatrice non debba essere frutto di una valutazione discrezionale, ma consegua necessariamente al giudizio di legittimità, sì che la Corte in realtà proceda a un'estensione logicamente necessitata e spesso implicita della potenzialità interpretativa del contesto normativo in cui è inserita la disposizione impugnata.
Plurime sarebbero invece, nella specie, le scelte astrattamente possibili per la richiesta reductio ad legitimitatem del disposto normativo denunciato.
Potrebbe infatti il rafforzamento delle garanzie difensive del debitore - in tesi - attuarsi sia sul versante del giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento - con l'escludere in quella sede l'efficacia preclusiva del precedente accertamento del passivo - sia nella fase appunto di verifica dei crediti ammessi.
Ed in questa seconda direzione, l'auspicata estensione al fallito della legittimazione alla impugnazione non è (come del resto lo stesso giudice a quo non disconosce) l'unico rimedio possibile: potendo una tale legittimazione alternativamente attribuirsi al curatore (nell'interesse del fallito), ed essendo anche possibile, in una prospettiva ulteriormente diversa, prefigurare un meccanismo (come quello adombrato dall'Avvocatura nelle sue conclusioni orali) di sospensione obbligatoria della verifica in pendenza di opposizione alla dichiarazione di fallimento fondata sulla contestazione di crediti di cui sia chiesta l'ammissione.
Per cui appunto, di fronte a tale varia gamma di soluzioni derivanti da diverse possibili valutazioni, l'intervento come nella specie richiesto alla Corte non può esercitarsi, spettando la relativa scelta unicamente al legislatore.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.100 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimento del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), "nella parte in cui non prevede la legittimazione del fallito alla impugnazione dei crediti ammessi, anche quando l'accertamento è pregiudiziale al giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento proposto dallo stesso fallito", in riferimento all'art. 24 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Roma, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/04/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 29/04/92.