SENTENZA N. 202
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, lett. a) e b), della legge 11 novembre 1975, n. 584 (Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico), promosso con ordinanza emessa l'8 settembre 1990 dal giudice Conciliatore di Roma nel procedimento civile vertente tra De Russis Vito Nicola ed altro e U.S.L. RM/4 ed altri iscritta al n. 718 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1990;
Visti gli atti di costituzione di De Russis Vito Nicola e di Candidi Franco;
Udito nell'udienza pubblica del 19 marzo 1991 il Giudice relatore Francesco Greco;
Uditi gli avvocati Carlo Rienzi, Roberto Canestrelli, Nicolò Paoletti per De Russis Vito Nicola, nonché Paolo Ferrari e Carlo Mezzanotte per Candidi Franco;
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio civile promosso da Vito De Russis e Francesco Spiga, danneggiati dal c.d. fumo passivo, nel pronto soccorso di un ospedale, nell'ufficio postale, e in un ristorante, nei confronti del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni, del direttore dell'Ufficio postale di Roma, via Collatina, n. 78, del titolare del ristorante, nonché della USL RM/4, onde ottenere il risarcimento dei danni subiti, il giudice Conciliatore di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale:
a) dell'art. 1, lett. a), della legge 11 novembre 1975, n. 584, nella parte in cui prevede il divieto di fumare solo nelle corsie degli ospedali e non anche in tutti gli ambienti, in quanto sussisterebbe una irragionevole differenziazione tra locali pur in presenza di una identica necessità di protezione e si discriminerebbero altresì i soggetti costretti, per necessità di cure o per motivi di lavoro, a permanere nei diversi locali dell'ospedale, bisognevoli di una stessa incisiva tutela (violazione dei principi di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione e di tutela della salute ex art. 32 della Costituzione);
b) dell'art. 1, lett. a), nella parte in cui prevede il divieto di fumare "nei locali destinati alla istruzione e nei vari luoghi frequentati dagli utenti di diversi servizi di trasporto, consentendosi, invece, la diffusione degli effetti del fumo, nocivi alla salute, nei locali nei quali si eroga il servizio pubblico postale; gli utenti di quest'ultimo sarebbero illegittimamente discriminati rispetto agli utenti degli altri servizi pubblici protetti (sanità, istruzione, trasporto, ecc.), essendo pari la loro rilevanza costituzionale (ulteriore violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione).
c) dell'art. 1, lett. b), nella parte in cui non prevede il divieto di fumare all'interno dei ristoranti.
Sussisterebbe una immotivata disparità di trattamento e di tutela tra i frequentatori di sale da ballo e di sale corse, tutelati dal fumo passivo, e coloro che si recano nei ristoranti, non affatto tutelati (violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione). Inoltre, la suddetta disposizione, interpretata secondo il parere del Consiglio di Stato n. 540 del 1976, nel senso della applicabilità ai soli casi in cui vi sia un incontro di più persone in luogo pubblico per un tempo definito e per uno scopo consentito, importerebbe violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione che garantiscono la realizzazione dell'individuo anche in aggregati sociali, quali sono favoriti da tutti i luoghi di svago e di riposo dei cittadini e dei lavoratori, nonché dell'art. 17 della Costituzione che riconosce a tutti i cittadini l'identico diritto di riunirsi pacificamente, anche a seguito e per effetto della predisposizione di un medesimo regime giuridico per tutte le forme attraverso le quali tale diritto si realizza.
In punto di rilevanza, il Conciliatore ha osservato che l'esame e la decisione delle proposte domande risarcitorie sarebbero precluse dalle disposizioni censurate che considerano lecito fumare nei locali chiusi nei quali si è verificata la situazione dannosa subita dagli attori.
2. - L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, è stata altresì pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
2.1. - Nel giudizio si sono costituiti soltanto il De Russis e il Candidi.
2.2. - La difesa del Candidi ha concluso per la declaratoria di inammissibilità della questione o, in subordine, per la infondatezza.
Ha osservato che la proposta questione è irrilevante, in quanto l'azione risarcitoria proposta nel giudizio a quo si fonda direttamente sul combinato disposto degli artt. 32 della Costituzione e 2043 del codice civile, mentre la legge n. 584 del 1975, si limita a prevedere, in caso di violazione del divieto di fumare, l'applicazione di sanzioni amministrative.
Non sarebbe stata valutata l'effettiva sussistenza del pregiudizio alla salute lamentato dagli interessati.
La questione sarebbe meramente ipotetica ed eventuale, non essendo stati convenuti in giudizio gli autori del fatto illecito, cioè i fumatori.
Nel merito, la questione sarebbe infondata perché:
a) postula l'emanazione di una sentenza additiva in una materia nella quale si profila una pluralità di soluzioni derivanti da varie valutazioni possibili;
b) si assume a tertium comparationis il divieto secondo una norma derogatoria della libertà di fumare;
c) la citata legge non concerne in modo alcuno gli aspetti risarcitori connessi all'eventuale danno alla salute per esposizione al fumo cosiddetto "passivo";
d) non è chiarita la ragione per cui le limitazioni del divieto possano impingere sul diritto dei cittadini di riunirsi pacificamente ovvero impedire il pieno sviluppo della persona umana.
Nella memoria, la difesa del De Russis ha osservato che sussiste il nesso di causalità tra la esposizione al fumo degli attori e la lesione del loro diritto alla salute; che vige nell'ordinamento il principio di ordine generale secondo cui i gestori dei locali aperti al pubblico, che si frequentano per necessità o per opportunità e ai quali si accede liberamente, devono garantire condizioni igienico-sanitarie ottimali, mentre la legge impugnata, non prevedendo il divieto di fumare in detti locali, rende lecita la loro condotta;
che la questione sollevata sarebbe inammissibile solo se nel nostro ordinamento dal principio costituzionale della tutela della salute potesse derivare il divieto di fumare nei detti locali, indipendentemente da una apposita previsione normativa; mentre, il legislatore, a tutela dei malati e dei giovani, ha previsto il divieto di fumare solo in determinati locali;
che le finalità perseguite impongono una interpretazione logica e razionale della disposizione secondo cui il divieto di fumare "nelle corsie degli ospedali" va interpretato nel senso che esso vale per tutti gli ambienti degli ospedali frequentati da malati; che non può essere ritenuta tassativa la elencazione della disposizione che sancisce il divieto di fumare solo in determinati locali ove vengono erogati i servizi sanitari, scolastici e di trasporto; mentre, logicamente e razionalmente il divieto dovrebbe riguardare tutti i locali nei quali si erogano servizi pubblici, tra cui quello postale.
Per quanto riguarda il divieto di fumare nei ristoranti, la difesa del De Russis ha osservato che l'interesse protetto dal legislatore importa che per riunione pubblica si debba intendere riunione di più persone in un luogo aperto al pubblico qualunque sia lo scopo della riunione stessa; che la discrezionalità del legislatore sussiste solo in ordine alla scelta dei mezzi che non consentano la permanenza del fumo nei locali ove si fuma; che la nocività del fumo, specie quello c.d. passivo, è generalmente ammessa anche nella Comunità Europea sia per i fumatori che per i non fumatori in locali frequentati dai primi.
Nelle note presentate successivamente, la stessa difesa ha ulteriormente illustrato le suddette argomentazioni.
La difesa del Candidi, in una successiva memoria, ha insistito sulla inammissibilità della questione.
Considerato in diritto
1. - Il giudice Conciliatore di Roma dubita della legittimità costituzionale:
a) dell'art. 1, lett. a), della legge 11 novembre 1975, n. 584, nella parte in cui prevede il divieto di fumare solo nelle corsie degli ospedali e non anche in tutti gli ambienti pur frequentati dagli ammalati, in quanto sussisterebbe una irragionevole discriminazione tra i locali degli ospedali per i quali vi è una identica necessità di tutela e tra soggetti costretti a permanere nei diversi locali per necessità di cure o motivi di lavoro (violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione);
b) dell'art. 1, lett. a), della stessa legge nella parte in cui prevede il divieto di fumare nei locali destinati alla istruzione e a vari servizi di trasporto e consente, invece, di fumare in quelli in cui si eroga il servizio postale, discriminandosi, così, gli utenti di quest'ultimo da quelli degli altri servizi pur essendo pari la loro rilevanza costituzionale (violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione);
c) dell'art. 1, lett. b), stessa legge, nella parte in cui non prevede il divieto di fumare nei ristoranti mentre lo prevede nelle sale-corse e nelle sale da ballo, discriminandosi in tal modo, irragionevolmente, gli utenti degli uni e quelli delle altre (violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione).
Inoltre, la stessa norma, interpretata secondo il parere del Consiglio di Stato n. 540 del 1976, nel senso dell'applicabilità solo nei luoghi pubblici in cui vi sia un incontro di più persone, per un tempo definito e per uno scopo consentito, violerebbe anche gli artt. 2 e 3 della Costituzione non risultando garantita la realizzazione degli individui in alcuni aggregati sociali, nonché l'art. 17 della Costituzione, non essendo riconosciuto ad alcuni cittadini il diritto di riunirsi pacificamente in una delle forme in cui il detto diritto si realizza.
2. - La difesa di uno dei convenuti ha eccepito la inammissibilità della questione.
Ha rilevato che:
a) contrariamente a quanto disposto dagli artt. 1 della legge n. 689 del 1971 e 12 delle preleggi, la richiesta sentenza renderebbe retroattivamente sanzionabile un comportamento considerato lecito dalla legge del tempo in cui è stato posto in essere;
b) non potrebbe ritenersi la colpa specifica, che è l'elemento costitutivo del dedotto illecito civile, per l'inesistenza, al momento in cui sono stati commessi i fatti, di una disposizione di protezione che sancisse il divieto di fumare in pubblici locali;
c) l'azione di risarcimento del danno alla salute potrebbe fondarsi soltanto sul combinato disposto degli artt. 32 della Costituzione e 2043 del codice civile.
3. - Le eccezioni meritano accoglimento.
La sentenza che si chiede non può essere utile per la definizione del giudizio a quo, a parte la considerazione che essa postula una scelta, tra le varie possibili, riservata alla discrezionalità del legislatore, alla cui attenzione, però, deve essere posta la necessità di apprestare una più incisiva e completa tutela della salute dei cittadini dai danni cagionati dal fumo anche cd. passivo, trattandosi di un bene fondamentale e primario costituzionalmente garantito (art. 32 della Costituzione).
3.1 - Nella specie, il fatto dedotto come causa di danni alla salute dei convenuti si fa consistere nella violazione del divieto di fumare in locali pubblici diversi da quelli previsti dalla disposizione censurata (tutti gli ambienti degli ospedali, locali frequentati dal pubblico per ragioni di lavoro o di svago o per fruire dei servizi pubblici apprestativi) e da aggiungersi ad essi per effetto di una disposizione da introdursi nell'ordinamento con la richiesta sentenza, la quale dovrebbe sancire anche per essi il divieto di fumare.
La violazione della stessa disposizione dovrebbe concretare la colpa, cioè il connotato di carattere soggettivo, necessario per porre a carico degli agenti il risarcimento del danno cagionato.
La inosservanza dei doveri imposti dalla suddetta disposizione renderebbe ingiusto il danno da risarcire.
4. - Al contrario, si deve ritenere che la condotta di un soggetto può essere assunta a fonte di responsabilità civile per il risarcimento dei danni solo se al momento in cui è stata posta in essere sussisteva un preciso obbligo giuridico sancito da una norma conoscibile dall'agente. La colpa specifica, consistente nella inosservanza della norma che pone la regola di condotta, può rilevare nel giudizio a quo solo se la disposizione fosse stata vigente e conoscibile al tempo del fatto.
Anche secondo il vigente indirizzo giurisprudenziale e qualora la responsabilità venga reputata fondata su colpa, seppure sia sufficiente per affermare l'esistenza di tale elemento psicologico il richiamo alla inosservanza di una norma giuridica, è necessaria l'indicazione espressa delle disposizioni considerate, le quali devono essere vigenti all'epoca del verificatosi evento.
Inoltre, anche la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (artt. 5, 6, 7) è interpretata nel senso che, per la rilevanza delle trasgressioni dei doveri generali sanciti da una disposizione di legge, occorre, per il comportamento giuridicamente corretto, la conoscibilità di essa al momento del fatto.
Il cittadino deve conoscere quale sia il comportamento che la norma richiede, specie se si tratta di limitazione ad un diritto di libertà.
5. - D'altra parte, la dedotta lesione del diritto alla salute (art. 32 della Costituzione) può fondare da sola il richiesto risarcimento dei danni ex art. 2043 del codice civile. L'art. 32 della Costituzione, in collegamento con l'art. 2043 del codice civile pone il divieto primario e generale di ledere la salute.
Il riconoscimento del diritto alla salute come diritto fondamentale della persona e bene primario, costituzionalmente garantito, è pienamente operante anche nei rapporti di diritto privato. Dovendosi riconoscere che la lesione del diritto soggettivo garantito dall'art. 32 della Costituzione integra la fattispecie dell'art. 2043 del codice civile, non può dubitarsi dell'obbligo del risarcimento per la violazione del diritto stesso. In altri termini, dal detto collegamento dell'art. 32 della Costituzione con l'art. 2043 del codice civile discendono l'ingiustizia del danno e la conseguente sua risarcibilità.
Si nota che il risarcimento riguarda non solo i danni patrimoniali ma tutti i danni che potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana (sentt. Corte cost. nn. 184 del 1986 e 307 del 1990).
La questione sollevata, mancando la rilevanza, deve essere dichiarata inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, lett. a) e b), della legge 11 novembre 1975, n. 584 (Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico) in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 17, 32 e 97 della Costituzione, sollevata dal giudice Conciliatore di Roma con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 7 maggio 1991.