Sentenza n.2 del 1987

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SENTENZA N. 2

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA  Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 66 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose d'interesse artistico o storico), e 116, primo comma, della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (Legge doganale), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 novembre 1984 dalla Corte di Appello di Roma nell'incidente di esecuzione proposto dall'Avvocatura Generale dello Stato nel procedimento penale a carico di Lucchetti Virgilio iscritta al n. 669 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, 1a serie speciale, dell'anno 1986;

2) ordinanza emessa il 25 maggio 1985 dal Pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Bottega Livio, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, 1a serie speciale dell'anno 1986;

Visto l'atto di costituzione di Bottega Livio nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 25 novembre 1986 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

Udito l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei Ministri;

Ritenuto in fatto

1. - La Corte di Appello di Roma, in sede di incidente di esecuzione, con ordinanza 19 novembre 1984, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 66 della l. 1° giugno 1939, n. 1089, nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria delle cose d'interesse artistico o storico esportate abusivamente, appartenenti a terzi estranei al reato, anche quando nei confronti di costoro non emerga un difetto di vigilanza. L'incidente di esecuzione era stato promosso dopo che la Corte aveva dichiarato, con sentenza, di non doversi procedere per la sopravvenuta prescrizione del reato contro alcuni imputati, condannati in primo grado per appropriazione indebita e esportazione illegale di un dipinto del Velasquez, ricevuto in affidamento dal proprietario.

Nell'ordinanza di rimessione si osserva che la confisca obbligatoria disposta dall'art. 66 della l. n. 1089 del 1939, rappresenta una deroga alla disciplina della confisca prevista dall'art. 240 cod. pen., la quale - in linea di massima - non si applica nei confronti di cose di proprietà di persone estranee al reato. Peraltro, se tale più rigorosa disciplina può essere ragionevole in riferimento ad attività illecite riguardanti beni d'interesse generale, secondo il giudice a quo essa non lo é più quando oggetto della confisca vengano ad essere beni di proprietà di terzi estranei al reato. In tale ipotesi la confisca potrebbe essere giustificata solo da un difetto di vigilanza da parte del proprietario; ma ove questo non vi sia stato, illegittimamente la norma che la dispone - contravvenendo all'art. 3 Cost. - tratterebbe allo stesso modo i proprietari della cosa che siano autori del reato e i proprietari di essa che non solo siano estranei al reato, ma ai quali non possa addebitarsi neppure un difetto di vigilanza.

Dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile.

Nell'atto di costituzione si osserva che l'art. 66 della l. n. 1086 del 1939, disponendo che la confisca ha luogo "in conformità delle norme della legge doganale relative alle cose oggetto di contrabbando", fa attualmente rinvio all'art. 301 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (T.U. delle disposizioni legislative in materia doganale) il quale riproduce la disposizione dell'art. 116 della l. 25 settembre 1940, n. 1424. Tali articoli sono già stati dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla Corte costituzionale nella parte in cui impongono la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il contrabbando, anche nell'ipotesi di cose di appartenenza a persone estranee al reato, alle quali non sia imputabile un difetto di vigilanza (sent. n. 229 del 1974), nonché nella parte in cui non prevedono l'esclusione della confisca per le cose oggetto di contrabbando che siano state illegittimamente sottratte a terzi, quando tale sottrazione risulti giudizialmente accertata (sent. n. 259 del 1976).

Ciò premesso, nell'atto di costituzione si afferma che "la Corte di Appello di Roma, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale, non ha considerato che la sentenza di non doversi procedere per prescrizione dei reati pronunziata contro gli imputati non ha autorità di cosa giudicata nei confronti degli eventuali terzi aventi diritto alla restituzione del dipinto o al risarcimento del danno". Pertanto, essendo controversa l'appartenenza del dipinto a terzi estranei al reato, la Corte d'Appello avrebbe dovuto rimettere la soluzione della controversia al competente giudice civile a norma degli artt. 655 e 624, secondo comma, c.p.p. Ne deriverebbe che la questione di legittimità costituzionale sarebbe inammissibile.

2. - Il Pretore di Milano con ordinanza 25 maggio 1985, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 Cost., ha sollevato questione di legittimità analoga, avente ad oggetto gli artt. 66, primo e secondo comma, della l. 1° giugno 1939, n. 1089 e 116, primo comma, l. 25 settembre 1940, n. 1424 (ora art. 301, primo comma, d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43), nella parte in cui prevedono la confisca di opere d'arte oggetto di esportazione abusiva, anche quando detti beni siano di proprietà di un terzo estraneo al reato il quale vanti, secondo la legge civile, titolo idoneo a riottenerne il godimento.

Nell'ordinanza si espone che con sentenza istruttoria, tale Bottega Livio, imputato unitamente ad altre persone del reato di esportazione clandestina di due dipinti attribuiti al Tintoretto, era stato prosciolto per non avere commesso il fatto. Con detta sentenza era stata ordinata la restituzione al Bottega medesimo dei due dipinti, unitamente ad altri due dipinti esportati legalmente, ma usati per attuare il fatto contestato occultando quelli esportati abusivamente. Su istanza dell'Avvocatura dello Stato (la quale aveva proposto incidente di esecuzione chiedendo che fosse ordinata la confisca dei dipinti ex art. 66, l. n. 1089 del 1939), esso Pretore aveva modificato il precedente provvedimento ordinando la restituzione dei dipinti nei confronti di chi avesse provato di averne diritto. Su ricorso proposto dalla stessa Avvocatura dello Stato, la Corte di Cassazione aveva annullato tale ordine di restituzione limitatamente ai due dipinti abusivamente esportati respingendo il ricorso quanto agli altri due dipinti. In sede di rinvio, gli atti erano ritornati al Pretore esponente, per i provvedimenti da adottare ai sensi dell'art. 66 della l. n. 1089 del 1939.

Ciò premesso, nell'ordinanza si afferma la rilevanza della questione sollevata giacché nel giudizio di rinvio debbono essere applicate le norme impugnate. Si osserva, altresì, che l'art. 66 della l. n. 1089 del 1939 prevede che "in caso di esportazione clandestina di opere d'arte é confiscata la cosa non presentata alla dogana, nonché quella presentata con dichiarazione falsa, o dolosamente equivoca, ovvero occultata" e la confisca ha luogo in conformità delle norme della legge doganale relativamente alle cose oggetto di contrabbando. In base a tali disposizioni la Corte di Cassazione, tenuto anche conto della sentenza n. 259 del 1976 della Corte costituzionale, ha ritenuto che la confisca obbligatoria, da disporre anche in mancanza di condanna, é prevista solo per le opere d'arte oggetto di esportazione clandestina e non anche per le cose che sono servite o sono state destinate a commettere il reato ed é applicabile anche nei confronti del terzo avente diritto alla cosa abusivamente esportata, salvo che essa gli sia stata dolosamente sottratta.

La normativa impugnata contrasterebbe con l'art. 3 Cost., perché prevede un trattamento deteriore ed irragionevolmente differenziato per il terzo estraneo al reato, il quale vanti un titolo civilistico alla restituzione della cosa oggetto di illecita esportazione, anzitutto rispetto alla disciplina generale prevista dall'art. 240 c.p., che esclude dalla confisca le cose appartenenti a persona estranea al reato, salvo il caso di "oggetti intrinsecamente pericolosi". Altrettanto irrazionale sarebbe la differenza di trattamento tra cose illecitamente esportate rispetto alle cose utilizzate a tale scopo, come emergerebbe proprio dalle fattispecie in esame nel giudizio a quo, ove il terzo viene a trovarsi preclusa ogni tutela per due dei quattro dipinti in sequestro, rispetto ai quali la sua posizione é identica. Irragionevole, infine, sarebbe anche la differenza di trattamento tra terzo derubato e terzo estraneo al reato ma che non sia stato derubato della cosa abusivamente esportata.

Secondo il giudice a quo la normativa impugnata contrasterebbe pure con l'art. 27 Cost., configurando una forma di responsabilità oggettiva a carico del terzo estraneo al reato, assoggettato ad una misura di sicurezza patrimoniale, quale é la confisca. Contrasterebbe, inoltre, anche con l'art. 24, primo comma Cost., in quanto la confisca obbligatoria precluderebbe al terzo l'esercizio dell'azione di rivendica ex art. 1453 cod. civ., ledendo il suo diritto di difesa.

Dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale si é riportato alle richieste e difese contenute nell'atto di costituzione relativo al giudizio di legittimità costituzionale promosso con ordinanza 19 novembre 1984 dalla Corte d'Appello di Roma.

É intervenuta pure la parte privata, la quale ha esposto di avere venduto quattro dipinti ad un cittadino giapponese, il quale li aveva esportati in Giappone, due con licenza delle competenti autorità e gli altri due clandestinamente. Già in precedenza, peraltro, non avendo l'acquirente pagato il prezzo, esso venditore si era avvalso della clausola risolutiva espressa contenuta nei contratti di compravendita, provocandone la risoluzione. Il pretore, dinanzi al quale si era svolto il processo per l'esportazione clandestina dei dipinti, aveva prosciolto esso istante per non aver commesso il fatto.

Ciò premesso, la parte privata ha chiesto che le norme impugnate siano state dichiarate costituzionalmente illegittime "nella parte in cui prevedono la confisca obbligatoria di opere d'arte, oggetto di esportazione abusiva, anche quando tali beni debbano essere restituiti a un terzo la cui estraneità al reato risulti giudizialmente accertata, il quale vanti - secondo la legge civile - titolo a riottenere il godimento dei beni medesimi, per causa di una compravendita anteriore alla commissione del reato da parte dell'acquirente, il quale non abbia adempiuto al contratto".

A tal fine si chiede - con argomentazioni diffuse ma sostanzialmente consimili a quelle dell'ordinanza di rimessione - di fare applicazione dei principi stabiliti nelle sentenze n. 229 del 1974 e n. 259 del 1976.

Considerato in diritto

3. - I giudizi promossi con le ordinanze in epigrafe riguardano questioni analoghe e pertanto vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

4. - La Corte d'Appello di Roma (ord. 19 novembre 1984) - dopo avere dichiarato, con sentenza, di non doversi procedere per prescrizione del reato, contro alcuni imputati già condannati in primo grado per appropriazione indebita ed esportazione illegale di un dipinto - nel corso di un incidente di esecuzione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 66 della l. 1° giugno 1939, n. 1089, nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria delle cose d'interesse artistico o storico esportate abusivamente, appartenenti a terzi estranei al reato, anche quando nei confronti di costoro non emerga un difetto di vigilanza. Ha dedotto il contrasto di tale norma con l'art. 3 Cost., in quanto tratta irrazionalmente alla stessa maniera i proprietari della cosa che siano autori del reato e i proprietari di essa che non solo siano estranei al reato, ma ai quali non possa addebitarsi neppure un difetto di vigilanza.

Il Pretore di Milano (ord. 25 maggio 1985), a sua volta, nel corso di un altro incidente di esecuzione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 66 della l. 1° giugno 1939, n. 1089, e 116, primo comma, della l. 25 settembre 1940, n. 1424 (ora art. 301, primo comma, d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43), nella parte in cui prevedono la confisca di opere d'arte oggetto di esportazione abusiva, anche quando siano di proprietà di terzi estranei al reato, i quali vantino, secondo la legge civile, titolo idoneo a riottenerne il godimento. Ha dedotto il contrasto di tali articoli:

1) con l'art. 3 Cost., perché: a) prevedono un trattamento irragionevolmente differenziato per il terzo estraneo al reato, rispetto alla disciplina generale della confisca prevista dall'art. 240 cod. pen.; b) prevedono un trattamento irragionevolmente differenziato per le cose illecitamente esportate rispetto alle cose utilizzate a tale scopo; c) prevedono un trattamento irrazionalmente differenziato tra terzo derubato e terzo estraneo al reato che non sia stato derubato della cosa abusivamente esportata;

2) con l'art. 27 Cost., configurando una forma di responsabilità oggettiva a carico del terzo estraneo al reato;

3) con l'art. 24 Cost., in quanto la confisca obbligatoria precluderebbe al terzo l'esercizio dell'azione di rivendica, ledendo il suo diritto di difesa.

5. - L'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi dinanzi a questa Corte, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, ha eccepito pregiudizialmente - nel giudizio promosso dalla Corte d'Appello di Roma - l'inammissibilità delle questioni perché sollevate, innanzitutto, da giudice incompetente; in secondo luogo, perché irrilevanti in mancanza di un accertamento, con efficacia di giudicato, sulla titolarità della proprietà del bene illegittimamente esportato, non avendo tale efficacia la sentenza di non doversi procedere per prescrizione del reato, in precedenza pronunciata dalla Corte d'Appello. Analoga eccezione del tutto generica é stata proposta anche nel giudizio promosso con l'ordinanza del Pretore di Milano.

Le eccezioni vanno respinte.

Invero, quanto alla prima eccezione, questa Corte ha più volte affermato che in sede di giudizio incidentale di legittimità costituzionale, di regola, non possono sindacarsi la competenza del giudice che ha emesso l'ordinanza di rinvio, né gli altri presupposti processuali (Sentenze 26 giugno 1962, n. 65; 23 giugno 1964, n. 58; 19 aprile 1972, n. 69; 10 luglio 1975, n. 201; 17 luglio 1981, n. 173; 28 gennaio 1983, n. 46), svolgendosi il giudizio costituzionale su di un piano diverso dal giudizio a quo, per le sue specifiche finalità ed il suo particolare oggetto. Nel giudizio promosso dalla Corte d'appello, inoltre, la questione di costituzionalità era collegata con il principio di diritto fissato dalla Cassazione e ineriva proprio alla normativa la cui applicazione era stata da questa demandata a quella quale giudice di rinvio.

Quanto all'eccezione d'irrilevanza, essa é immotivata per quanto attiene al giudizio promosso con l'ordinanza del Pretore di Milano. Si appalesa, invece, contraddittoria per quanto riguarda il giudizio promosso dalla Corte d'Appello di Roma.

Infatti l'Avvocatura dello Stato, nel prospettarla, non può logicamente sostenere - come invece fa - che per il giudice a quo, gli accertamenti contenuti nella sentenza di non doversi procedere siano vincolanti quanto all'illiceità dell'esportazione del bene di cui si chiede la confisca e, contemporaneamente - in relazione al titolo di appartenenza del bene su cui inciderebbe l'atto di confisca - inidonei a fondare il giudizio di rilevanza sulla questione di legittimità costituzionale delle norme che é tenuto ad applicare, quale giudice di rinvio, in base al principio di diritto stabilito dalla Cassazione.

6. - Passando all'esame del merito, va osservato che l'art. 66 della l. 1° giugno 1939, n. 1089 prevede la confisca delle cose d'interesse artistico e storico esportate abusivamente. La norma dispone che "la confisca ha luogo in conformità delle norme della legge doganale relative alle cose oggetto di contrabbando". L'art. 116, primo comma, della l. 25 settembre 1940, n. 1424 (ora trasfuso nell'art. 301, primo comma, del T.U. delle disposizioni legislative in materia doganale, approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43) stabilisce che "nei casi di contrabbando é sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto o il profilo". Tali norme costituiscono una deroga all'art. 240 cod. pen. il quale, nel prevedere la confisca obbligatoria "delle cose che costituiscono il prezzo del reato", la esclude quando esse appartengono a persone estranee al reato. Nel prevedere, poi, la confisca obbligatoria delle cose la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione e l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non é stata pronunciata condanna, stabilisce che tale disposizione non si applica "se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa".

Con sentenza 17 luglio 1974, n. 229, questa Corte ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 116, primo comma, della l. 25 settembre 1940, n. 1424 e dell'art. 301, primo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 "nella parte in cui, quanto alle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato" impongono la confisca anche nella ipotesi di appartenenza di esse a persone estranee al reato alle quali non sia imputabile un difetto di vigilanza". Con sentenza 29 dicembre 1976, n. 259, questa Corte ha poi dichiarato anche l'illegittimità costituzionale dei su detti artt. 116, della l. n. 1424 del 1940 e 301 del d.P.R. n. 43 del 1973 "nella parte in cui non prevedono la esclusione della confisca per le cose oggetto del reato di contrabbando che siano state illegittimamente sottratte a terzi, quando tale sottrazione risulti giudizialmente accertata".

7. - I giudici a quibus hanno dedotto che le fattispecie al loro esame, pur riguardando la confisca di cose appartenenti a terzi estranei al reato, non rientrano in nessuna delle due ipotesi contemplate da dette sentenze, dovendo essi decidere sulla confisca di cose oggetto di contrabbando, che non risultano illecitamente sottratte al proprietario. Hanno chiesto pertanto, per le ragioni sopra indicate, ulteriori declaratorie d'illegittimità costituzionale degli artt. 116 della l. n. 1424 del 1940 e dell'art. 66 della l. 1° giugno 1939, n. 1089 che lo richiama, in quanto illegittimi anche "nella parte in cui prevedono la confisca di opere d'arte oggetto di esportazione abusiva, che siano di proprietà di terzi estranei al reato, i quali vantino, secondo la legge civile, titolo idoneo a riottenerne il godimento" (ordinanza del Pretore di Milano), nonché declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 66 della l. 1 giugno 1939, n. 1089 "nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria delle cose d'interesse artistico o storico esportate abusivamente, appartenenti a terzi estranei al reato, anche quando nei confronti di costoro non emerga un difetto di vigilanza" (ordinanza della Corte d'Appello di Roma).

In effetti le pronunce d'incostituzionalità emesse con sentenze n. 229 del 1974 e n. 259 del 1976, riguardavano specifici profili prospettati alla Corte con le ordinanze di rimessione, in relazione alle particolari fattispecie che si erano presentate nei giudizi nel corso dei quali le questioni erano state sollevate. Peraltro, ha portata generale il rilievo, contenuto in quelle pronunce, che il proprietario della cosa sottoposta a confisca obbligatoria estraneo al reato, finisce col subire, in base alla disposizione dell'art. 116, primo comma, della l. n. 1424 del 1940 (ora art. 301, primo comma, d.P.R. n. 43 del 1973) a titolo meramente oggettivo, le conseguenze patrimoniali di un illecito penale commesso da altri (sent. n. 229 del 1974); cosicché la normativa in questione, in palese contrasto con l'art. 27 Cost., contiene al riguardo la previsione di una responsabilità oggettiva, prescindendo dalla valutazione dell'elemento psicologico nella condotta del soggetto, comminando la confisca senza tener conto dell'appartenenza della cosa (sent. n. 259 del 1976).

8. - Traendo le necessarie conseguenze da tali considerazioni, deve affermarsi in via generale che, se possono esservi cose il cui possesso può configurare un'illiceità obbiettiva in senso assoluto, la quale prescinde dal rapporto col soggetto che ne dispone e legittimamente debbono essere confiscate presso chiunque le detenga (art. 240 cod. pen.), in ogni altro caso l'art. 27, primo comma, Cost. non può consentire che si proceda a confisca di cose pertinenti a reato, ove chi ne sia proprietario al momento in cui la confisca debba essere disposta non sia l'autore del reato o non ne abbia tratto in alcun modo profitto. Pertanto, facendo applicazione di tale principio, va dichiarata l'illegittimità costituzionale - in riferimento all'art. 27, primo comma, Cost. - dell'art. 66 della l. 1° giugno 1939, n. 1089 e dell'articolo 116, primo comma, della l. 25 settembre 1940, n. 1424 (ora art. 301, primo comma, d.P.R. n. 43 del 1973), nella parte in cui prevedono la confisca di opere tutelate ai sensi della stessa l. n. 1089 del 1939 oggetto di esportazione abusiva, anche quando esse risultino, di proprietà di chi non sia autore del reato e non ne abbia tratto in alcun modo profitto.

Restano assorbiti tutti gli altri profili di incostituzionalità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi indicati in epigrafe, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 66 della l. 1° giugno 1939, n. 1089 e dell'art. 116, primo comma, della l. 25 settembre 1940, n. 1424 (ora art. 301, primo comma, d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43) nella parte in cui prevedono la confisca di opere tutelate ai sensi della l. n. 1089 del 1939 che siano state oggetto di esportazione abusiva, anche quando risultino di proprietà di un terzo che non sia autore del reato e non ne abbia tratto in alcun modo profitto.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1987

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il redattore: PESCATORE

Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE