Sentenza n. 229 del 1974
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SENTENZA N. 229

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 116, primo comma, della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (legge doganale), promosso con ordinanza emessa il 26 giugno 1972 dal tribunale di Varese sull'incidente di esecuzione proposto dalla società Finanziaria Peltrik, iscritta al n. 325 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 296 del 15 novembre 1972.

Visti gli atti di costituzione della società finanziaria Peltrik e dell'Amministrazione delle finanze dello Stato, nonché l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 3 aprile 1974 il Giudice relatore Leonetto Amadei;

uditi l'avv. Adriano Ciccolini, per la società Peltrik, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l'Amministrazione finanziaria.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con sentenza 25 luglio 1968 il tribunale di Varese condannava Mario Piacentini e altri per reati vari tra i quali quello di concorso in contrabbando continuato e associazione a delinquere, disponendo la confisca di alcuni veicoli e di un immobile, già sottoposto a sequestro, ex art. 337 C.P.P., da parte del giudice istruttore dello stesso tribunale (decreto del 1Q giugno 1968) e di proprietà della s.a. Finanziaria Peltrik.

La sentenza, a seguito di appello del pubblico ministero, ha subìto un lungo iter processuale, ma il capo di essa, relativo alla disposta confisca non ha mai formato oggetto di impugnativa. L'ultima fase dell'iter é rappresentata dal processo di rinvio dalla Cassazione in ordine al riesame dell'assorbimento o meno del delitto di associazione a delinquere in quello di contrabbando associato.

Con atti rispettivamente del 22 gennaio 1972 e 11 aprile del 1972, la società Peltrik ha proposto opposizione sia contro il decreto di sequestro, a suo tempo disposto dal G.I., sia contro la confisca disposta con la sentenza del tribunale, richiedendo, pertanto, la restituzione dell'immobile.

A fondamento della richiesta l'opponente ha eccepito: in via principale, che i suoi beni non potevano essere oggetto di sequestro e, poi, di confisca per essere la società soggetto di diritto diverso dalle persone imputate nel procedimento penale e per non aver partecipato come tale al contrabbando, e, in via subordinata, la illegittimità costituzionale dell'art. 116 della legge 25 settembre 1940, n. 1424, sotto il profilo che la norma, escludendo dalla confisca unicamente i mezzi di trasporto appartenenti a soggetti estranei al reato e imponendola, invece, per altri beni, realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, contrastante con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.

Il tribunale, in accoglimento della subordinata, ha proposto questione di legittimità costituzionale del primo comma del precitato articolo di legge in riferimento agli artt. 3, primo comma, 27, primo comma, e 42, terzo comma, della Costituzione.

2. - La violazione del principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) poggerebbe, in base all'ordinanza, sulla diversa disciplina che l'art. 116 comporta in tema di confisca tra automezzi ed altri beni, per cui la tutela o meno dei diritti di terzi, fatta dipendere unicamente dalla natura dell'oggetto, non sarebbe tale da legittimare una diversità di trattamento legislativo.

I dubbi in ordine alla legittimità costituzionale dell'art. 116, in riferimento agli artt. 27 e 42 della Costituzione, troverebbero la loro impostazione logico-giuridica nella considerazione che la adottata disciplina legislativa, qualunque qualificazione si intenda dare all'istituto della confisca in tema di contrabbando - o di effetto penale della condanna, o di vera e propria pena, o di misura di sicurezza - , urterebbe, facendo discendere conseguenze pregiudizievoli per il patrimonio del terzo incolpevole del comportamento del reo, contro il principio per il quale la responsabilità penale é personale e finirebbe con assumere aspetti di mero trasferimento coattivo di beni dal privato allo Stato per finalità repressive e intimidatorie di ordine generale, sì da identificarsi addirittura con l'istituto della espropriazione, con assoluto disattendimento dei diritti dei terzi, che vedono sacrificato il loro diritto di proprietà a interessi generali senza poter conseguire quell'indennizzo previsto dall'art. 42 della Costituzione.

Nel giudizio davanti alla Corte si é costituita la Società Finanziaria Peltrik ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato.

3. - Le deduzioni della Finanziaria Peltrik in nulla divergono da quelle sviluppate dal collegio nella ordinanza di rimessione. In aggiunta, la difesa della società prospetta la possibilità, da parte della Corte, di prendere in esame la illegittimità costituzionale dell'art. 116 della legge doganale anche in riferimento all'art. 24 della Costituzione (violazione dei diritti della difesa) in considerazione del fatto che nella richiesta subordinata, introduttiva dell'incidente di esecuzione, recepita dal tribunale, la violazione di detto articolo era stata ricollegata alla violazione dell'art. 3 della stessa Costituzione.

4. - L'Avvocatura dello Stato si é pronunciata, nelle sue deduzioni, per la dichiarazione di infondatezza della questione.

Prima di procedere all'esame delle argomentazioni svolte dal tribunale nell'ordinanza, l'Avvocatura dà risalto alle ragioni che stanno alla base del provvedimento di confisca e desumibili dalla motivazione della sentenza penale di condanna del 25 luglio 1968; per la quale rimane accertato che "l'immobile fu acquistato, costruito e concepito al fine di commettere l'associazione per delinquere e i fatti di contrabbando".

In ordine alla prospettata violazione dell'art. 3 della Costituzione, per il diverso trattamento che verrebbe fatto dall'art. 116 della legge ai "terzi" estranei al reato in relazione alla natura delle cose da confiscare, l'Avvocatura rileva che la norma prenderebbe in considerazione situazioni oggettivamente diverse che ben giustificherebbero l'adozione di una diversa disciplina. La giustificazione sarebbe desumibile dalla relazione ministeriale alla legge 25 settembre 1940, n. 1424, nella quale si chiarisce che la non confiscabilità dei mezzi di trasporto é stata dettata da "ragioni di equità ed inderogabili esigenze pratiche delle aziende di noleggio" nonché dalla esigenza di salvaguardare "la buona fede dei terzi noleggia tori o comunque proprietari", soggetti difficilmente in grado di controllare quale uso viene fatto dell'automezzo dato a noleggio o comunque affidato a terzi.

In ordine alla asserita violazione dell'art. 27 della Costituzione l'Avvocatura dello Stato osserva che, pur dovendosi riconoscere che la confisca prevista e disciplinata dalla legge doganale ha carattere di misura di sicurezza patrimoniale, la diversità tra l'art. 116 della legge e l'art. 240 c.p. troverebbe la sua ragione d'essere nella particolare natura del reato di contrabbando e negli ingenti danni patrimoniali che da esso derivano allo Stato e, quindi, alla comunità.

D'altra parte non sarebbe pertinente il riferimento all'articolo 27, primo comma, della Costituzione, in quanto detto articolo riguarderebbe la responsabilità penale, in quanto tale, e non già le misure di sicurezza, in relazione alle quali la Costituzione prevede puramente e semplicemente una riserva di legge (art. 25, ultimo comma).

Contesta, infine, la prospettata illegittimità costituzionale dell'art. 116 in riferimento all'art. 42, terzo comma, della Costituzione. La confisca, nel caso, non potrebbe ricondursi all'istituto della espropriazione per motivi di interesse generale, poiché questa prescinde, in ogni caso, da qualsiasi illiceità, alla quale invece é legata la confisca stessa, come già stabilito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 8 del 1971.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con l'ordinanza di rimessione il tribunale di Varese ha ritenuto che sia in contrasto con gli artt. 3, primo comma, 27, primo comma, e 42, terzo comma, della Costituzione l'articolo 116, primo comma, della legge 25 settembre 1940, n. 1424, nella parte in cui rende obbligatoria la confisca delle cose che servirono e furono destinate a commettere il reato di contrabbando e delle cose che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto e il profitto anche se appartenenti a persona estranea al reato medesimo, derogando, così, alla disciplina generale stabilita dall'art. 240 del codice penale, alla quale, invece, lo stesso art. 116 si riporta, nel secondo comma, nell'escludere dalla obbligatorietà della confisca i mezzi di trasporto appartenenti a terzi estranei.

La questione é fondata.

2. - L'avvertita necessità di una rigorosa repressione delle violazioni delle leggi tributarie ha indotto il legislatore a dare ampia applicazione all'istituto della confisca delle cose oggetto del reato o che comunque servirono o furono destinate a commetterlo, rendendola obbligatoria, anche nei casi per i quali l'art. 240 del codice penale la prevede come facoltativa.

Tra le disposizioni in materia di confisca contemplate nelle varie leggi tributarie la più rilevante é quella contenuta nell'art. 116 della legge doganale del 1940, n. 1424, testualmente riportata nell'art. 301 del t.u. d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, entrato in vigore dopo l'emanazione dell'ordinanza del tribunale di Varese.

Per detto articolo l'obbligatorietà della confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere reato o ne sono l'oggetto o ne rappresentano il prodotto e il profitto, si estende anche a quelle appartenenti a persone estranee al reato stesso, fatta eccezione per i mezzi di trasporto per i quali si applica, per espresso riferimento, la disposizione contenuta nel terzo comma dell'art. 240 cod. pen., il quale esclude, appunto, dalla confisca le cose appartenenti a persone estranee al reato.

Consegue da ciò che il proprietario della cosa sottoposta a confisca obbligatoria estraneo al reato finisce col subire a titolo meramente oggettivo le conseguenze patrimoniali dell'illecito penale commesso da altri.

Se, in deroga alla disciplina generale stabilita dall'art. 240 del codice penale, la obbligatorietà della confisca delle cose di cui trattasi trova una ragionevole giustificazione ai fini di una lotta più incisiva ad una attività penalmente illecita, e ritenuta dal legislatore, in base al suo libero apprezzamento, particolarmente lesiva degli interessi finanziari dello Stato oltreché per la sua diffusione anche per la organizzazione capillare e le multiformi diramazioni di cui é in grado di poter disporre, altrettanto non può dirsi quando essa si traduce in una ingiustificata violazione del diritto sulla cosa che spetti a terzi estranei al reato.

In sostanza, l'applicazione dell'istituto della confisca obbligatoria, quale discende dal contesto della disposizione impugnata (art. 116 legge doganale) satura il carattere della misura di sicurezza così come é strutturata e introdotta nel codice vigente e ne fa uno strumento anomalo di ambigua col locazione giuridica. La disposizione, pertanto, appare ingiusta e irrazionale.

Non si può disconoscere, infatti, che il contestato art. 116 della legge, nel suo aspetto ontologico, si pone al di fuori di quella logica giuridica che sta a fondamento proprio delle misure di sicurezza, le quali sono destinate a riversare i loro effetti, anche di natura patrimoniale, sui soggetti ai quali si applicano nella previsione di una potenziale pericolosità sociale.

Possono, invero, esservi delle cose, e queste vengono prese in considerazione dall'art. 240 cod. pen., nelle quali é insita una illiceità oggettiva in senso assoluto, che prescinde, pertanto, dal rapporto col soggetto che ne dispone, e che debbono essere confiscate presso chiunque le detenga a qualsiasi titolo, ma ciò rappresenta un aspetto del tutto particolare, atipico, ma non estraneo alla logica del sistema e ai criteri a cui si ispira la prevenzione sul piano generale e di cui le misure di sicurezza patrimoniali costituiscono un aspetto.

3. - Le considerazioni svolte rendono necessario, di conseguenza, che la norma impugnata sia inquadrata nei suoi giusti limiti di ragionevolezza, sia pure tenendo conto dei motivi che hanno indotto il legislatore, in base all'interesse generale che ha inteso rafforzare nella sua tutela giuridica, a derogare alla disciplina generale stabilita in tema di confisca dal più volte ricordato art. 240 del codice penale.

Perché la confisca obbligatoria delle cose appartenenti a persone estranee al contrabbando non configuri, a carico di queste, una mera responsabilità oggettiva, in base alla quale, per il solo fatto della appartenenza ad essi delle cose coinvolte, subiscano conseguenze patrimoniali in dipendenza dell'illecito finanziario commesso da altri, occorre che sia rilevabile nei loro confronti un quid senza il quale, il reato, pur nella inconsapevolezza di questo, non sarebbe avvenuto o comunque non sarebbe stato agevolato. occorre, in conclusione, che emerga nei loro confronti almeno un difetto di vigilanza.

4. - A norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve essere dichiarata anche la illegittimità costituzionale dell'art. 301, primo comma, del d.P.R. 26 gennaio 1973, n. 43 - testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale - e dell'art. 87, primo comma, della legge sul monopolio dei sali e tabacchi 17 luglio 1942, n. 907, nei limiti in cui é dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 116 della legge doganale 1940, n. 1424.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 116, primo comma, della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (legge doganale), nella parte in cui, quanto alle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, impone la confisca anche nella ipotesi di appartenenza di esse a persone estranee al reato alle quali non sia imputabile Un difetto di vigilanza;

b) ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara, altresì, limitatamente alla medesima parte, la illegittimità costituzionale dell'art. 301, primo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), e dell'art. 87, primo comma, della legge 17 luglio 1942, n. 907 (legge sul monopolio dei sali e tabacchi).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 17 luglio 1974.