SENTENZA N. 321
ANNO 1983
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Antonino DE STEFANO
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale del d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744 (Concessione di amnistia e di indulto) promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 28 dicembre 1981 dal Pretore di Orvieto nel procedimento penale a carico di Morelli Andrea, iscritta al n. 125 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 199 del 21 luglio 1982;
2) ordinanza emessa il 14 gennaio 1982 dal Pretore di Messina nel procedimento penale a carico di Andò Antonio, iscritta al n. 170 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 227 del 18 agosto 1982;
3) ordinanza emessa l'11 gennaio 1982 dal Pretore di Orvieto nel procedimento penale a carico di Pella Paolo, iscritta al n. 236 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 262 del 22 settembre 1982.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 1983 il Giudice relatore Francesco Saja;
udito l'Avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Morelli Andrea, imputato dei reati di emissione di assegni a vuoto (art. 116 r.d.l. 21 dicembre 1933 n. 1736) e di truffa (art. 640 cod. pen.), il Pretore di Orvieto, con ordinanza del 28 dicembre 1981 (in G.U. n. 199 del 21 luglio 1982; reg. ord. n. 125 del 1982), sollevava questione di legittimità costituzionale del d.P.R. 18 dicembre 1981 n. 744, di concessione di amnistia e indulto, in riferimento all'art. 79 Cost. Rilevava il Pretore che il citato decreto, essendo stato pubblicato nella G.U. n. 348 del 19 dicembre 1981 contestualmente alla legge di delega 18 dicembre 1981 n. 743, era stato necessariamente emanato prima della pubblicazione di questa e quindi prima che il Presidente della Repubblica fosse investito del relativo potere.
La stessa questione di legittimità costituzionale veniva sollevata dal medesimo Pretore con ordinanza dell'11 gennaio 1982 nel procedimento a carico di Pella Paolo, imputato del reato di cui all'art. 46 l. 6 giugno 1974 n. 298, per avere effettuato un trasporto senza la relativa autorizzazione (reg. ord. n. 236 del 1982; in G.U. n. 262 del 22 settembre 1982) e dal Pretore di Messina con ordinanza del 14 gennaio 1982 nel procedimento a carico di Andò Antonio, imputato del reato di abuso in atti d'ufficio (art. 323 cod. pen.) (reg. ord. n. 170 del 1982; G.U. n. 227 del 18 agosto 1982); in questa ultima ordinanza viene indicata come norma costituzionale di riferimento l'art. 73 della Costituzione.
2. - La Presidenza del Consiglio dei ministri, intervenuta in tutte e tre le cause, eccepiva l'inammissibilità delle questioni sia per omessa motivazione sulla loro rilevanza nei giudizi a quibus, sia perché l'eventuale pronuncia di accoglimento renderebbe di nuovo punibili fatti considerati nella non impugnata legge di delegazione. Nel merito l'interveniente osservava che la legge delegata era stata emanata dopo la promulgazione della legge di delegazione ed altresì dopo il visto del Guardasigilli e l'inserzione nella Raccolta ufficiale; il che, secondo lo stesso interveniente, é sufficiente affinché la legge di delegazione conferisca il potere delegato e ne renda legittimo l'esercizio, non rilevando la sua data di pubblicazione.
Considerato in diritto
1. - I giudizi relativi alle tre ordinanze suindicate, per la identità delle proposte questioni, vanno riuniti per essere decisi con unico provvedimento.
2. - Preliminarmente deve essere esaminata l'eccezione di inammissibilità formulata dall'Avvocatura dello Stato sotto duplice profilo.
Rispetto al primo, rileva la Corte che non sussiste il denunziato vizio di omessa motivazione sulla rilevanza della questione nei giudizi a quibus, in quanto risulta inequivocabilmente che i giudici rimettenti procedevano per reati compresi nell'impugnato provvedimento di clemenza, sicché non può dubitarsi che l'applicazione della causa estintiva dipendesse dal pregiudiziale accertamento della validità del provvedimento stesso.
3. - L'eccezione non può essere condivisa neppure sotto l'altro profilo, con cui l'Avvocatura dello Stato deduce che l'esame del decreto delegato sarebbe precluso alla Corte in base alla sua stessa giurisprudenza con cui, in materia penale, é stata negata la possibilità di sindacare le disposizioni di legge contenenti, in deroga alla disciplina generale, previsioni più favorevoli all'imputato. Il richiamo non sembra infatti appropriato perché l'indicata giurisprudenza (tutt'altro che uniforme, come si preciserà subito dopo) concerne soltanto i casi di esclusione dell'antigiuridicità della condotta ovvero quelli relativi alla configurazione di speciali circostanze attenuanti sì che all'imputato debba essere sempre applicata, qualunque sia la pronuncia della Corte costituzionale, la norma vigente al momento in cui é stato commesso il fatto, stante il principio di irretroattività perentoriamente sancito dal secondo capoverso dell'art. 25 Costituzione. Ma, quando trattasi di cause estintive (del reato o della pena), il problema di retroattività logicamente non si pone perché esse seguono necessariamente la commissione del fatto e pertanto, non potendo trovare applicazione il ricordato principio, un'eventuale pronuncia di illegittimità ben potrebbe avere efficacia concreta anche nei giudizi a quibus. Ed é perciò che in subiecta materia non é stato mai formulato alcun dubbio e la Corte ha sempre ritenuto che sia consentito il controllo di legittimità dei provvedimenti di clemenza (cfr., ultima sent. n. 49 del 1980).
Peraltro, come già si é accennato, la richiamata giurisprudenza di questa Corte non risulta affatto uniforme, giacché si é ritenuto alcune volte pur sempre ammissibile il giudizio di costituzionalità, spettando sempre al giudice rimettente di trarre poi le necessarie conseguenze nel giudizio a quo, anche al lume del cit. art. 25 secondo comma Cost. E tale indirizzo é stato di recente ribadito con la sentenza n. 148 del 1983, nella quale il problema é stato compiutamente ed approfonditamente esaminato nei vari aspetti e in tutte le sue implicazioni.
4. - Ciò posto e passando al merito, osserva la Corte che i giudici rimettenti dubitano tutti della legittimità costituzionale del d.P.R. 18 dicembre 1981 n. 744, con cui venne concessa l'amnistia e l'indulto per alcuni reati, in quanto esso venne pubblicato nella stessa Gazzetta Ufficiale n. 348 del 19 dicembre 1981, in cui fu pubblicata altresì la legge di delegazione (18 dicembre 1981 n. 743): in altri termini, il Presidente della Repubblica nell'emanare il decreto delegato in data 18 dicembre 1981 avrebbe esercitato un potere che ancora non gli competeva perché la legge di delegazione era stata pubblicata il giorno successivo (19 dicembre 1981) e pertanto solo da tale giorno era divenuta efficace.
La questione che si pone a questa Corte consiste pertanto nel decidere se, per l'attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di concedere l'amnistia o l'indulto, sia necessaria la pubblicazione della legge di delegazione ovvero se sia sufficiente la sua promulgazione, avvenuta nella specie, così come non é contestato, prima dell'emanazione del decreto impugnato.
Ritiene la Corte che la questione debba essere risolta in questo ultimo senso.
La pubblicazione della legge costituisce un atto diretto a dare "comunicazione" della stessa ai cittadini per renderne possibile la conoscenza ed impone conseguentemente la generale osservanza. Ma, ancor prima della pubblicazione, interviene nel procedimento legislativo, inteso in senso lato, la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica, la quale consiste in un atto che si compone di tre elementi: l'accertamento della sussistenza e dell'identità della volontà delle due Camere, espressa mediante l'approvazione del disegno o della proposta di legge; la manifestazione della volontà del Presidente della Repubblica di procedere alla promulgazione suddetta, ed infine l'ordine di esecuzione diretto ad assicurare la piena operatività della legge.
Tale atto non costituisce soltanto il presupposto della successiva pubblicazione, la quale viene attuata attraverso una serie di operazioni (il c.d. "visto", l'inserzione nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti, e la pubblicazione, propriamente detta, nella Gazzetta Ufficiale).
Esso attribuisce altresì immediata efficacia, o se si vuole "esecutorietà" (che si distingue dalla obbligatorietà "erga omnes" conseguente alla pubblicazione), all'atto normativo. Quest'ultimo, pertanto, deve considerarsi non solo esistente nell'ordinamento giuridico ma, a taluni fini, anche efficace nei confronti di alcuni organi pubblici, tra cui sicuramente il Presidente della Repubblica nonché il Governo; ciò che é avvenuto nel caso di specie, in cui il Consiglio dei ministri é intervenuto con la sua deliberazione nel procedimento conclusosi con l'emanazione dell'atto di clemenza.
Da ciò le varie applicazioni che dal principio conseguono, e che sono generalmente ricordate in dottrina. Così per stabilire l'anteriorità o la posteriorità di una legge rispetto ad un'altra deve farsi riferimento alla data della promulgazione e non a quella della pubblicazione, sicché la legge promulgata successivamente abroga quella promulgata prima anche se pubblicata dopo; così, ai fini dell'osservanza del termine fissato dalle leggi di delegazione, é sufficiente che l'atto (delegato) sia perfezionato con la emanazione prima della scadenza di detto termine anche se la pubblicazione avviene successivamente (cfr. in tali sensi anche le sentenze di questa Corte 6 luglio 1959 n. 39; 24 maggio 1960 n. 34; 12 novembre 1962 n. 91; 21 marzo 1974 n. 83).
6. - Dai superiori rilievi risulta evidente come, una volta avvenuta la promulgazione, sussisteva il potere delegato dal Parlamento al Presidente della Repubblica, il quale pertanto legittimamente ha emanato l'impugnato decreto di concessione dell'amnistia e dell'indulto.
In conclusione deve ritenersi che il d.P.R. 744 del 1981, in quanto emanato dopo la promulgazione della legge di delegazione, non contrasta né con l'art. 73 né con l'art. 79 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del d.P.R. 18 dicembre 1981 n. 744, sollevata dai Pretori di Orvieto e di Messina con le ordinanze indicate in epigrafe in riferimento agli artt. 73 e 79 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 ottobre 1983.
Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 20 ottobre 1983.