SENTENZA N. 39
ANNO 1959
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
Composta dai signori Giudici:
Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente
Avv. Giuseppe CAPPI
Prof. Tomaso PERASSI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Prof. Ernesto BATTAGLINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale del D. P. R. 7 gennaio 1956, n. 164, contenente norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni, in riferimento all norma contenuta nell'art. 76 della Costituzione, e dell'art. 77 dello stesso D. P. R. 7 gennaio 1956, n. 164, in riferimento alla norma contenuta nell'art. 27, primo comma, della Costituzione, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 9 giugno 1958 dal Pretore di Bologna nel procedimento penale a carico di Cremonini Armando e Zanotti Vittorio, iscritta al n. 29 del Registro ordinanze del 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 174 del 19 luglio 1958;
2) ordinanza emessa il 21 novembre 1958 dal Pretore di Marsala nel procedimento penale a carico di Spidalieri Giorgio e Passalacqua Francesco, iscritta al n. 4 del Registro ordinanze del 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiate della Repubblica n. 26 del 31 gennaio 1959;
3) ordinanza emessa il 5 gennaio 1959 dal Giudice istruttore del Tribunale di Casale Monferrato nel procedimento penale a carico di Gianotti Michelino, iscritta al n. 54 del Registro ordinanze del 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64 del 14 marzo 1959.
Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 27 maggio 1959 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Valente Simi per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel procedimento penale a carico di Cremonini Armando e Zanotti Vittorio, imputati del reato di cui agli articoli 24, comma primo, 51 e 56 del D. P. R. 7 gennaio 1956, n. 164, sanzionato dal successivo art. 77, per non aver posto in opera, durante lo svolgimento di lavori edili, gli accorgimenti necessari per evitare eventuali pericoli di infortunio sul lavoro, il Pretore di Bologna ha pronunciato ordinanza, in data 9 giugno 1958, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, affinché decida se non sia da ritenersi illegittimo l'art. 77 del ricordato decreto legislativo presidenziale, per contrasto con l'art. 27, prima parte, della Costituzione.
Osserva il Pretore, accogliendo le argomentazioni difensive, che detto art. 77, posto in relazione agli articoli 24, 51, 56 dello stesso D. P. R., i quali statuiscono la sanzione penale per i "preposti" e per i "lavoratori", dà vita a una duplice categoria di concetti che appare inammissibile nell'attuale sistema italiano, e cioè da un lato ad una forma di presunzione assoluta, e dall'altro ad una specie di reato anomalo esclusivamente "proprio", per il quale risponde obbligatoriamente l'imprenditore, chiunque sia in fatto il responsabile di quella determinata sfera di attività della vita del cantiere; che detta anomalia risulta evidente dall'esame di tutto il testo legislativo, il quale, ad esempio, prevede all'art. 15 diverse sanzioni a seconda di chi sia il soggetto attivo (datore di lavoro o dirigente, ovvero preposto) e che per altre condotte, invece (ad es. art. 24), prevede la sanzione solo a carico del datore di lavoro o dirigente, dando luogo alla conseguenza che a questi ultimi, in determinati casi, venga addebitato un comportamento commissivo od omissivo altrui; che "l'alta opera di vigilanza", spettante esclusivamente al direttore dei lavori, non può comprendere tutti quegli aspetti di vita del cantiere di cui all'art. 24, potendosi verificare ad esempio che, posto il materiale necessario a disposizione del cantiere da parte del datore di lavoro ed impartito l'ordine altrettanto necessario da parte del direttore dei lavori, l'omissione di cautele sia da attribuirsi alla inesecuzione di un preposto o di un lavoratore;
che - pertanto - la norma criticata dà vita ad una forma di responsabilità oggettiva o di presunzione in contrasto con l'articolo 27, prima parte, della Costituzione.
L'ordinanza é stata ritualmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, nonché pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 19 luglio 1958.
É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso, come per legge, dall'Avvocato generale dello Stato, il quale ha dedotto che la denunzia di illegittimità costituzionale dell'art. 77 del citato decreto legislativo si basa su un presupposto del tutto infondato, perché tale disposizione prevede e punisce, a titolo di contravvenzione, la inosservanza di vari obblighi determinati nelle norme in essa richiamate, é l'elemento psicologico é dato dalla semplice volontarietà dell'omissione; né ha importanza la diversità delle sanzioni previste per i diversi soggetti chiamati a rispondere anche di uno stesso fatto.
Riguardo alla affermata presunzione di colpa, l'Avvocatura dello Stato, richiamati i principi affermati nella sentenza n. 3 del 1956 della Corte costituzionale, ha osservato che quando si é verificato l'evento che importa la violazione dell'obbligo, il reato é perfetto, ma l'imputato potrà sempre far valere, secondo i principi generali, le cause che escludano la sua responsabilità, quali il caso fortuito o la forza maggiore. Il datore di lavoro ha l'obbligo di adottare nella propria azienda tutti gli accorgimenti prescritti dalla legge e di dare le direttive necessarie, vigilando perché queste siano rispettate ed attuate. Se non fa questo, non si versa in tema di responsabilità oggettiva, ma di colpa, per non avere adoperata la dovuta diligenza nella attività direttiva e di controllo, salva sempre la discriminante della mancanza di un nesso fra l'azione e l'evento, da accertarsi dal giudice nel caso concreto.
Queste considerazioni sono state ribadite in una successiva memoria.
Non si sono invece costituiti gli imputati del processo principale.
2. - Nel procedimento penale a carico di Spidalieri Giorgio e Passalacqua Francesco, imputati dei reati di cui all'art. 590 Codice penale e agli articoli 22 e 23 del D. P. R. 7 gennaio 1956, n. 164, puniti - questi ultimi - dall'art. 77 dello stesso decreto presidenziale, il Pretore di Marsala, con ordinanza emessa il 21 novembre 1958, ha sospeso il giudizio e disposto la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale perché decida in ordine alla legittimità costituzionale delle disposizioni penali del decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164.
Si legge nell'ordinanza che l'art. 77 di detto decreto punisce il datore di lavoro per fatti che non possono essergli imputabili perché riguardano per lo più dettagli della costruzione dei ponteggi; il che appare molto più evidente nei casi molto frequenti quando i lavori sono condotti, come si suol dire, in economia, in cui il datore di lavoro non abbia una competenza specifica nella materia tecnica relativa alle costruzioni e si sia affidato, appunto per questo motivo, al dirigente, la cui responsabilità concorre con quella del datore di lavoro, a norma del menzionato art. 77, e perciò non la sostituisce.
L'ordinanza é stata ritualmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, nonché pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 31 gennaio 1959.
É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso, come per legge, dall'Avvocato generale dello Stato, il quale ha dedotto che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 77 del decreto presidenziale in parola deve ritenersi ed essere dichiarata infondata, per le stesse argomentazioni esposte nei riguardi dell'ordinanza 9 giugno 1958 del Pretore di Bologna.
Gli imputati del processo principale non si sono costituiti nel presente giudizio.
3. - Nel procedimento penale a carico di Gianotti Michelino, imputato della contravvenzione prevista e punita dall'art. 77, lett. c, del D. P. R. 7 gennaio 1956, n. 164, in relazione all'articolo 69 dello stesso, per avere, nella sua qualità di direttore di lavori di edilizia in Penango, omesso di applicare lungo la rampa e i pianerottoli della scala fissa in costruzione idonei parapetti normali e arresti al piede, il Pretore di Moncalvo aveva pronunciato, in data 12 dicembre 1958, sentenza istruttoria di assoluzione perché il fatto non costituisce reato. A motivazione di tale giudizio, il Pretore osservava che il decreto delegato doveva essere considerato inesistente e quindi inapplicabile, perché pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica il 31 marzo 1956, quando già la delegazione legislativa era decaduta per inosservanza del termine, fissato nella legge di delegazione al 23 marzo 1956.
Contro tale sentenza propose appello il Procuratore della Repubblica di Casale Monferrato, e, su richiesta di questi, il Giudice istruttore presso lo stesso Tribunale, con ordinanza in data 5 gennaio 1959, disponeva la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
L'ordinanza era ritualmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, all'imputato e al Pubblico Ministero e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, nonché pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 14 marzo 1959.
É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso, come per legge, dall'Avvocato generale dello Stato, il quale, dopo aver rilevato, sia pure senza insistervi, il difetto nell'ordinanza di ogni precisa indicazione delle norme costituzionali che si assumono violate, ha sostenuto nell'atto di intervento e ribadito in una memoria successiva che il momento in cui si deve ritenere esercitata la funzione legislativa delegata o concluso il suo esercizio é quello della approvazione o emanazione del decreto legislativo, previsto nella legge stessa di delegazione; non, invece, quello della pubblicazione, atto dovuto, demandato ad organi dipendenti, non agli organi costituzionali, condizione di efficacia, non di esistenza della norma, come risulta anche dal testo degli articoli 72 e 73 della Costituzione.
L'imputato del processo principale non si é costituito nel presente giudizio.
Nell'udienza pubblica del 27 maggio 1959 l'Avvocato dello Stato ha illustrato le precedenti deduzioni.
Considerato in diritto
La Corte ha ravvisato l'opportunità della riunione delle tre cause per la loro decisione con unica sentenza, posto che le norme, alle quali si riferiscono le questioni di legittimità costituzionale proposte con le tre ordinanze, fanno parte di uno stesso testo legislativo e in una delle ordinanze, quella del Giudice istruttore del Tribunale di Casale Monferrato, si pone il problema della legittimità costituzionale dell'intero decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164.
Tale questione, che deve essere esaminata per la prima, concerne l'osservanza della norma contenuta nell'art. 76 della Costituzione, la quale prescrive che la delegazione dell'esercizio della funzione legislativa al Governo può essere concessa soltanto "per tempo limitato". Il termine fissato nell'art. 1 della legge di delegazione 12 febbraio 1955, n. 51 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 7 marzo 1955, n. 54, ed entrata in vigore il 22 marzo 1955), era di un anno dalla data dell'entrata in vigore di detta legge. Il decreto legislativo presidenziale emanato in base a tale delegazione reca la data del 7 gennaio 1956, ma fu pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 31 marzo 1956, n. 78.
La Corte non ritiene che tale ritardo nella pubblicazione di una legge delegata, quando questa sia stata emanata, ai sensi dell'art. 87, quinto comma, della Costituzione, entro il termine fissato nella legge di delegazione, configuri una violazione dell'art. 76 della Costituzione, alla quale consegua la illegittimità costituzionale della prima o, ancor meno, la sua inesistenza giuridica.
La norma costituzionale testé ricordata prevede la delegazione al Governo dell'"esercizio della funzione legislativa", vale a dire di quella funzione che é esercitata collettivamente dalle due Camere (art. 70 della Costituzione).
Il "tempo limitato", che deve essere prestabilito, concerne precisamente l'esercizio di tale funzione; non comprende invece adempimenti successivi a quell'esercizio, che si é esaurito con la emanazione del provvedimento legislativo, posto che gli adempimenti stessi competono ad altri organi, di natura amministrativa.
D'altra parte, la pubblicazione nei fogli ufficiali, diretta a rendere note legalmente le disposizioni legislative, é condizione di efficacia, non requisito di validità della legge, che esiste validamente anche prima della sua pubblicazione.
Queste considerazioni sembrano sufficienti a far ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo denunciato come illegittimo, sebbene il ritardo intervenuto nella pubblicazione di esso non sia da approvare, anche se non derivi da negligenza.
Le questioni proposte nelle ordinanze del Pretore di Bologna e del Pretore di Marsala riguardano invece l'art. 77 del decreto legislativo sopra ricordato, il quale prevede sanzioni penali a carico dei datori di lavoro e dei dirigenti per la inosservanza delle norme contenute in diversi articoli del decreto stesso. Secondo i giudici di merito, la norma denunziata concreterebbe una figura di responsabilità oggettiva o di presunzione, in contrasto con l'art. 27, prima parte, della Costituzione.
Per meglio impostare la questione, sembra opportuno chiarire che il decreto legislativo 7 gennaio 1956, n. 164, al pari di numerosi altri emanati nello stesso torno di tempo in base alla stessa legge di delegazione 12 febbraio 1955, n. 51 (D. P. R. 19 marzo 1956, n. 302; D. P. R. 19 marzo 1956, n. 303; D. P. R. 20 marzo 1956, n. 320; D. P. R. 20 marzo 1956, n. 321; D. P. R. 20 marzo 1956, n. 322; D. P. R. 20 marzo 1956, n. 323), contiene norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro in un particolare settore, e precisamente in quello delle costruzioni edilizie. In esso, come negli altri, é contenuta tutta una serie di prescrizioni concernenti i materiali e gli strumenti da usare, le cautele da osservare a protezione dei lavoratori, i requisiti delle opere provvisionali (ponteggi, impalcature, montanti), le regole delle manovre da compiere, e così via. Sono prescrizioni suggerite dalla esperienza tecnica, la quale ha dimostrato che la inosservanza di tali avvedimenti é frequentemente causa di infortuni, anche gravi, specialmente nel lavoro delle costruzioni. Perciò la legge ne impone l'osservanza a tutti coloro che partecipano o presiedono a tali opere e commina sanzioni a carico dei lavoratori, dei preposti e dei dirigenti e datori di lavoro, dai quali ultimi esige che vigilino perché l'osservanza sia completa e rigorosa.
Per quanto si esaminino attentamente le disposizioni, non vi si ravvisa alcuna violazione del principio dell'art. 27, primo comma, della Costituzione. A carico del datore di lavoro o del dirigente é prevista chiaramente una responsabilità per fatto proprio, fondata sulla inosservanza dell'obbligo di dare le disposizioni e di stabilire le cautele indicate dalla legge e di curarne la puntuale esecuzione.
Non sussiste pertanto alcun contrasto con il principio che sancisce il carattere personale della responsabilità.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, proposta con l'ordinanza 5 gennaio 1959 del Giudice istruttore del Tribunale di Casale Monferrato, sulla legittimità costituzionale del D. P. R. 7 gennaio 1956, n. 164, contenente norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni, in riferimento alla norma contenuta nell'art. 76 della Costituzione;
dichiara non fondate le questioni, proposte con le ordinanze 9 giugno 1958 del Pretore di Bologna e 21 novembre 1958 del Pretore di Marsala, sulla legittimità costituzionale dell'art. 77 dello stesso D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, in riferimento alla norma contenuta nell'art. 27, primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 1959.
Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI.
Depositata in cancelleria il 9 luglio 1959.