Sentenza n. 34 del 1960

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SENTENZA N. 34

 

ANNO 1960

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

 

Avv. GIUSEPPE CAPPI

 

Prof. TOMASO PERASSI

 

Prof. GASPARE AMBROSINI

 

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

 

Dott. MARIO COSATTI

 

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

 

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

 

Prof. ANTONINO PAPALDO

 

Prof. NICOLA JAEGER

 

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

 

Prof. BIAGIO PETROCELLI

 

Dott. ANTONIO MANCA

 

Prof. ALDO SANDULLI

 

Prof. GIUSEPPE BRANCA

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 32, ultimo comma, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, promossi con ordinanza emessa il 27 gennaio 1959 dal Tribunale di Macerata nel procedimento civile vertente tra Minnozzi Aristodemo e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 63 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 99 del 24 aprile 1959, e con quattro ordinanze emesse il 30 aprile 1959 dal Tribunale di Brescia in altrettanti procedimenti civili vertenti tra Bernardelli Adolfo, Giornetto Giuseppe, Lela Francesco, Campanaro Luigi e l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, iscritte rispettivamente ai numeri 80, 81, 82 e 85 del Registro ordinanze 1959 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 10 agosto 1959.

 

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

 

udita nell'udienza pubblica del 6 aprile 1960 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;

 

uditi gli avvocati Vezio Crisafulli e Franco Agostini, per Bernardelli Adolfo, Giornetto Giuseppe, Lela Francesco e Campanaro Luigi; Guido Nardone, per l'Istituto nazionale della previdenza sociale, e il sostituto avvocato generale dello Stato Valente Sim, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

1. - Nel corso del procedimento civile iniziato da Minnozzi Aristodemo davanti al Tribunale di Macerata contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale per ottenere il pagamento dell'indennità di disoccupazione ai sensi dell'art. 73 e del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modificazioni, l'Istituto eccepì che la richiesta non poteva essere accolta in quanto, essendo l'attore titolare di una pensione per vecchiaia a carico dell'Istituto stesso, ostava il disposto dell'art. 32, ultimo comma, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, che sancisce l'incompatibilità delle due prestazioni.

 

L'attore sollevò allora la questione di legittimità costituzionale del citato art. 32, ultimo comma, del decreto n. 818 del 1957, perché viziato per eccesso dai limiti della delega legislativa di cui all'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, sotto un duplice profilo:

 

a) perché il D.P.R. n. 818 del 1957, essendo stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 17 settembre 1957, avrebbe oltrepassato il termine di un quinquennio dalla data di entrata in vigore della legge delegante (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 15 aprile 1952), fissato al Governo per l'esercizio della funzione legislativa dall'art. 37 della suddetta legge delega;

 

b) perché la norma impugnata costituirebbe una innovazione rispetto alla legislazione precedente, dalla quale non poteva desumersi alcuna incompatibilità tra l'indennità di disoccupazione e il trattamento pensionistico, e pertanto eccederebbe i limiti della delega, ristretta - a norma dell'art. 37 citato - all'emanazione, "in conformità dei principi e dei criteri direttivi cui s'informa la presente legge", di "disposizioni transitorie e di attuazione, nonché di norme intese a coordinare le vigenti norme sulle assicurazioni sociali con quelle della presente legge".

 

Il Tribunale, con ordinanza del 27 gennaio 1959, dichiarò manifestamente infondata la prima censura di illegittimità costituzionale e ritenne, invece, non manifestamente infondata la seconda.

 

2. - Nell'ordinanza il Tribunale osserva che la compatibilità fra le due prestazioni assicurative sarebbe riconosciuta espressamente dall'art. 17 del regolamento approvato con R.D. 7 dicembre 1924, n. 2270 (col quale si manteneva il diritto al sussidio per il disoccupato che, avendo conservato una residua capacità di lavoro nonostante l'infermità o l'invalidità temporanea, avesse di fatto trovato impiego), e dall'art. 10 della legge 29 aprile 1949, n. 264 (che classifica tra gli aventi diritto alla iscrizione nelle liste di collocamento i pensionati in cerca di occupazione). E tale riconoscimento - secondo il Tribunale - sarebbe confermato dall'art. 27 della legge 4 aprile 1952, n. 218, che, abolendo il limite di età di anni 60 per l'uomo e di anni 55 per la donna quanto all'obbligo di versamento dei contributi dovuti per le forme di previdenza e assistenza sociale obbligatoria, nel caso in cui il lavoratore continui a prestare attività lavorativa alle dipendenze altrui, avrebbe chiaramente ammesso la compatibilità fra il diritto all'indennità di disoccupazione ed il trattamento della pensione per vecchiaia.

 

Il Tribunale, quindi, ordinava la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della suddetta questione di legittimità costituzionale del citato art. 32, ultimo comma, in relazione all'art. 76 della Costituzione.

 

3. - La menzionata ordinanza veniva notificata l'8 febbraio 1958, comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 99 del 24 aprile 1959.

 

Nel giudizio di legittimità costituzionale si costituiva l'I.N.P.S., in persona del presidente On. Angelo Corsi, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Aureli, Mario Pizzicannella, Guido Nardone e Pierino Pierini, i quali depositavano le proprie deduzioni nella cancelleria della Corte il 13 maggio 1959.

 

Si costituiva anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che depositava le deduzioni in cancelleria il 27 febbraio 1959.

 

4. - Nel corso di analogo procedimento civile iniziato contro l'I.N.P.S. davanti al Tribunale di Brescia da Bernardelli Adolfo, titolare di pensione per vecchiaia, l'Istituto, nell'opporsi alla domanda, si richiamò egualmente al ripetuto art. 32, ultimo comma, del D.P.R. n. 818 del 1957, e l'attore formulò la questione di legittimità costituzionale di tale norma sostanzialmente negli stessi termini svolti dal Minnozzi davanti al Tribunale di Macerata.

 

Il Tribunale di Brescia, con ordinanza del 30 aprile 1959, ritenne la questione non manifestamente infondata sotto entrambi i profili delineati dal Bernardelli, e cioè sia sotto l'aspetto dell'eccesso formale di delega per violazione del termine temporale imposto dall'art. 37 della legge n. 218 del 1952, sia sotto l'aspetto dell'eccesso sostanziale, per avere esorbitato dai limiti della delega fissati dallo stesso art. 37.

 

Il Tribunale nell'ordinanza, quanto alla prima censura, afferma senz'altro che la pubblicazione oltre il quinquennio del decreto delegato concreterebbe violazione del termine suddetto, e quindi violazione dell'art. 76 della Costituzione; quanto alla seconda censura, formula osservazioni analoghe a quelle contenute nella ricordata ordinanza del Tribunale di Macerata.

 

5. - Nel corso di altri tre paralleli giudizi, pure pendenti davanti al Tribunale di Brescia, rispettivamente fra Giornetto Giuseppe, Lela Francesco, Campanaro Luigi e l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, gli attori, anch'essi titolari di pensione per vecchiaia a carico dell'I.N.P.S., sollevarono identiche questioni di legittimità costituzionale dell'art. 32, ultimo comma, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, ed il Tribunale, anche in data 30 aprile 1959, ed egualmente ritenendo non manifestamente infondate le questioni, pronunciò altre tre ordinanze identiche a quella sopra richiamata, disponendo la trasmissione alla Corte costituzionale anche degli atti relativi ai detti giudizi.

 

Le ordinanze sono state tutte regolarmente notificate il 20 giugno 1959, comunicate ai Presidenti delle due Camere del Parlamento e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 1 agosto 1959, n. 184.

 

Davanti alla Corte costituzionale si sono costituiti il Bernardelli, il Giornetto, il Lela ed il Campanaro, rappresentati e difesi dagli avvocati Vezio Crisafulli e Franco Agostini, che hanno depositato le proprie deduzioni il 19 agosto 1959.

 

Si é pure costituito l'I.N.P.S., in persona del presidente, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Aureli, Mario Pizzicanella, Guido Nardone e Pierino Pierini, i quali hanno depositato le deduzioni il 17 agosto 1959.

 

É altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni il 6 luglio 1959.

 

6. - La difesa delle parti private, in tutti i giudizi predetti, insiste nella tesi di incostituzionalità della norma impugnata sotto il solo aspetto sostanziale. Afferma che la stessa non può essere considerata norma di attuazione della legge n. 218 del 1952, perché in questa legge non si rinviene alcun principio escludente il cumulo fra le due prestazioni assicurative; né può considerarsi una norma di coordinamento con la precedente disciplina legislativa, per la carenza di tale principio, sia nella legislazione precedente, sia nella legge n. 218 del 1952, specie in relazione agli artt. 12 e 27 di questa. Onde la norma impugnata sarebbe innovativa rispetto al passato, ed in contrasto con la delega contenuta nell'art. 37 della legge n. 218 del 1952.

 

7. - I patroni dell'I.N.P.S., sia nelle deduzioni relative alle cause provenienti dal Tribunale di Brescia, sia in quelle relative alla causa proveniente dal Tribunale di Macerata, fondano la loro difesa sulla considerazione che, a norma dell'art. 38 della Costituzione, le assicurazioni sociali hanno lo scopo di garantire ai lavoratori mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di inabilità, vecchiaia o disoccupazione, supplendo alla mancanza del salario. Onde rientrerebbe nelle direttive costituzionali il coordinamento delle varie forme di assistenza concorrenti a quell'unico scopo. Coordinamento posto in essere dal legislatore delegato seguendo i criteri restrittivi adottati in genere dal legislatore ordinario in materia di cumulo fra prestazioni assistenziali diverse (artt. 61 e 72 R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827; artt. 2 e 10 della legge 4 aprile 1952, n. 218; artt. 16 e 21 T.U. 30 maggio 1955, n. 797), ed in particolare, per quanto riguarda la disoccupazione, dall'articolo 52, lett. e, del regolamento 7 dicembre 1924, n. 2270, il quale dispone che perde il diritto alla prestazione per la disoccupazione colui che divenga totalmente invalido, e l'art. 56 dello stesso regolamento, che limitava il diritto dell'ultrasessantacinquenne all'indennità per la disoccupazione iniziata nell'anno successivo al compimento dell'età, epoca alla quale cessava l'obbligo dell'assicurazione. Tali ultime disposizioni starebbero a confermare che, nell'un caso e nell'altro, la prestazione era esclusiva nell'ipotesi in cui fosse dimostrata, o presumibile, la perdita della capacità di guadagno, e quindi eliminato l'elemento del relativo rischio, essenziale nel rapporto assicurativo. E le modifiche apportate a tali disposizioni, prima con la riduzione dei limiti di età agli effetti dell'obbligo assicurativo e del diritto a pensione di vecchiaia, sancita dal R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, poi con l'abolizione dei limiti stessi agli effetti contributivi, di cui all'art. Z7 della legge 4 aprile 1952, n. 218, avrebbero maggiormente reso necessario un coordinamento dei rapporti fra le assicurazioni per invalidità e vecchiaia e per la disoccupazione.

 

Anche la modifica tecnica sancita dalla legge 29 aprile 1949, n. 264, secondo cui l'onere dell'indennità di disoccupazione si riverserebbe sulla massa dei lavoratori attivi, avrebbe poi reso necessario, per altro verso, "di contenere tali oneri nei limiti della stretta necessità", evitando che taluno possa "beneficiare due volte della solidarietà di chi trae dal lavoro subordinato i suoi mezzi di vita".

 

Aggiungono, infine, i patroni detl'I.N.P.S., riprendendo l'argomento già accennato riguardo alla cessazione del rischio assicurabile, che l'art. 32 contempla l'esclusione dell'indennità di disoccupazione solo per il pensionato, cioè per colui nei riguardi del quale l'evento della perdita della capacità di guadagno si é già utilmente verificato, e non può quindi essere ulteriormente coperto con le prestazioni inerenti alla disoccupazione, "assorbita" dal verificarsi dell'evento suddetto.

 

Nelle deduzioni relative alle cause provenienti dal Tribunale di Brescia, la difesa dell'I.N.P.S. contesta poi che l'iscrizione dei pensionati negli elenchi dei disoccupati possa assumersi a favore della tesi della illegittimità costituzionale della norma impugnata, perché questa non nega il diritto al lavoro dei pensionati, mentre invece, disponendo che questi siano iscritti, al penultimo posto dell'elenco, riconosce implicitamente che la ricerca da parte loro di un posto di lavoro debba essere "subordinata alla rioccupazione delle forze di lavoro potenzialmente attive", il chè costituirebbe una riprova della legittimità della norma impugnata.

 

8. - L'Avvocatura dello Stato, nelle deduzioni avverso l'impugnativa della norma in questione di cui all'ordinanza del Tribunale di Brescia, osserva che non sussiste la pretesa violazione dei limiti temporali posti dall'art. 37 della legge delega n. 218 del 1952. Secondo l'Avvocatura, la pubblicazione attiene alla efficacia del provvedimento legislativo, mentre l'iter normativo delegato si conclude con la firma del Capo dello Stato. E secondo la formula della delega, che fa riferimento appunto alla "emanazione" della norma e non alla pubblicazione, verrebbe in considerazione, ai fini del termine, il momento conclusivo dell'iter legislativo delegato, cioè la firma del Capo dello Stato, avvenuta il 26 aprile 1957, e cioè entro il quinquennio dall'entrata in vigore della legge delega (10 maggio 1952), restando indifferente la serie dei successivi incombenti.

 

In relazione poi alla questione di merito, e quindi a tutte le ordinanze di rinvio, l'Avvocatura osserva che criterio basilare della previdenza sociale é il sollievo dal bisogno. Ed a questo principio appunto si ispirerebbero le varie norme che, in materia, riducono, sospendono o aboliscono le prestazioni nel caso di cumulo. Al riguardo, quale esempio di coordinamento reso necessario dal moltiplicarsi delle prestazioni assicurative, cita l'art. 61, terzo comma, del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, il quale dispone che se l'invalidità, che sta alla base della pensione, proviene da infortunio sul lavoro o malattia professionale, la pensione é ridotta ad una misura tale che, sommata con la rendita liquidata ai sensi della legge per infortunio o per malattia professionale. non superi la retribuzione annua dell'assicurato.

 

Altri esempi di tale criterio sarebbero poi costituiti dall'art. 72 dello stesso R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, che regola il cumulo fra prestazioni antitubercolari e pensione per invalidità e vecchiaia, e dall'art. 2 del R.D.L. 4 febbraio 1937, n. 463, che esclude il versamento ad entrambi i genitori disoccupati della quota di maggiorazione della indennità di disoccupazione per figli a carico.

 

Ed anche nella legge n. 218 del 1952 vi sarebbero disposizioni ispirate ad analogo principio, e cioè l'art. 2, nella parte in cui modifica l'art. 13 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, stabilendo che, "qualora non vi siano né coniuge né figli superstiti, la pensione é reversibile ai genitori superstiti di età superiore ai sessantacinque anni, che non siano già titolari di pensione diretta, nella misura del 15 per cento ciascuno", e l'art. 10 successivo, che esclude dal diritto al minimo di pensione il titolare di altra pensione a carico dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti o di trattamenti sostitutivi, qualora per effetto del cumulo delle due prestazioni il pensionato fruisca di un beneficio mensile superiore al minimo stesso.

 

Quale ulteriore conferma dell'enunciato principio direttivo di politica legislativa in materia di concorso fra prestazioni assistenziali, l'Avvocatura cita poi l'art. 16 del D.P.R. 20 maggio 1955, n. 797, che approva il T.U. delle disposizioni sugli assegni familiari, che sancisce la incompatibilità, per i lavoratori ricoverati, fra prestazioni antitubercolari e assegni familiari, stabilendo la corresponsione del trattamento più favorevole; l'art. 31 dello stesso T.U. che contempla la esclusione, nell'ambito della stessa famiglia, del cumulo degli assegni familiari con le maggiorazioni dell'indennità di disoccupazione e la corresponsione, anche in tal caso, del più favorevole dei due trattamenti; l'art. 3 della legge 7 dicembre 1956, n. 1504, che regola il cumulo fra le maggiorazioni delle prestazioni economiche antitubercolari e gli assegni familiari in seno allo stesso nucleo familiare.

 

Dopo di avere, infine, ricordato che, secondo la sentenza n. 16 del 1957 della Corte costituzionale, il coordinamento, oggetto di delega legislativa, rientra nel concetto più ampio di coordinamento, comprensivo della facoltà di correggere le discordanze che si verifichino nel settore del sistema giuridico cui la delega si riferisce, l'Avvocatura conclude, affermando che la norma impugnata, inquadrata fra le citate disposizioni, appare ispirata a quei principi e criteri direttivi "che non potevano essere ignorati dal legislatore delegato", perché, "già accolti nella legislazione previdenziale, avevano anche informato alcune disposizioni della legge 218 del 1952".

 

9. - La difesa del Bernardelli e consorti in lite ha depositato, nei termini, una memoria illustrativa a sostegno delle già formulate conclusioni, aggiungendo al riguardo nuove argomentazioni.

 

Innanzi tutto, dandosi carico di una opinione secondo cui l'eventuale introduzione di norme di attuazione innovative, nel decreto delegato n. 818 del 1957, potrebbe ammettersi in vista della natura di atto avente forza di legge del decreto delegato stesso, passa a confutarla, osservando che, in tal modo, si violerebbero i principi generali vincolanti il potere legislativo delegato, che non può derogare ad alcuna disposizione della legge delegante.

 

Accenna poi ad altri dubbi circa il grado di subordinazione del decreto in questione rispetto alla legge delega, in considerazione del contenuto della stessa, comprendente sia una disciplina diretta di una determinata sfera di rapporti, sia un atto di delega al Governo ad emanare norme sulla stessa materia, per cui potrebbe ipotizzarsi una limitazione del vincolo di subordinazione della legge delegata alle sole norme di principio della legge delegante; ma osserva che l'ipotesi é infondata. In proposito rileva che la subordinazione gerarchica fra i detti tipi di norme, generalmente riconosciuta, nonché l'intimo nesso che unisce le stesse, per cui la norma delegata non perviene ad assumere forza di legge ordinaria se non sulla base e col concorso della norma delegante (sentenza n. 3 del 1957 della Corte costituzionale), suggeriscono una risposta negativa in ordine all'ipotesi sopra accennata. Anche perché, in caso contrario, si tratterebbe di delega invalida, essendone subordinata la materia ad un'opera di sottile interpretazione, in aperto contrasto con l'art. 76 della Costituzione.

 

Il principio di cumulabilità delle prestazioni in esame, che dovrebbe desumersi dalla legislazione in vigore e dalla stessa legge delega, renderebbe, comunque, la tesi inapplicabile nella specie.

 

Illustra poi l'esistenza nella legge delega di criteri secondo cui é ammissibile la compatibilità della pensione con il proseguimento dell'attività lavorativa ed il connesso obbligo del versamento dei contributi (artt. 12 e 27); ed é di conseguenza ammissibile la compatibilità della pensione con l'indennità di disoccupazione.

 

Eguali criteri di compatibilità desume poi, per la legislazione precedente, dagli artt. 17 e 52 del R.D. n. 2270 del 1924, in base ai quali l'esclusione dal diritto alla prestazione per la disoccupazione sarebbe stabilita solo eccezionalmente nel caso di perdita totale di capacità di lavoro, e mantenuta invece per l'assicurato che conservi una residua capacità. Anche la norma contenuta nell'art. 56 dello stesso decreto, che limita il diritto dell'ultrasessantacinquenne alla indennità per la disoccupazione iniziata nell'anno successivo a quello del compimento dell'età, non sarebbe altro che una logica conseguenza della cessazione dell'obbligo di versamento dei contributi allora stabilita al sessantacinquesimo anno e della condizione, pure richiesta, dell'avvenuta effettuazione di almeno ventiquattro versamenti contributivi nel biennio precedente all'inizio della disoccupazione, per cui apparirebbe chiara la ratio della limitazione temporale di cui sopra, non potendo materialmente il lavoratore far valere il diritto all'indennità alle condizioni predette, dopo il secondo anno dal compimento dei sessantacinque anni.

 

D'altra parte, abolito con l'art. 27 della legge del 1952 il limite di età per il versamento dei contributi, ne consegue, secondo la difesa, che il pensionato ha diritto in ogni tempo alla indennità, mentre l'art. 32, ultimo comma, ciò proprio vale ad impedire.

 

Considerando poi la non cumulabilità fra pensione per invalidità, rendita per infortuni sul lavoro e prestazioni antitubercolari di cui agli artt. 61 e 72 R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, i limiti di cumulabilità sanciti dall'art. 10 della legge n. 218 del 1952, osserva che non possono quelle disposizioni. essere invocate a favore della tesi dell'Avvocatura, in quanto non di divieto di cumulo in tali ipotesi si tratterebbe, ma di semplice regolamentazione dello stesso.

 

E riferendosi alle altre norme invocate dalle controparti per desumere principi restrittivi in materia di cumulo di prestazioni assicurative, rileva che l'art. 16 T.U. 30 maggio 1955, n. 797, sugli assegni familiari, consente solo un diritto di scelta della prestazione più favorevole a vantaggio del lavoratore che gli artt. 2 R.D.L. 4 febbraio 1937, n. 462, 21 citato T.U. 30 maggio 1955 e 3 della legge 7 dicembre 1956, n. 1504, stanno solo. ad impedire che la medesima prestazione (assegni ed integrazioni per familiari a carico) venga corrisposta a più di una persona della stessa famiglia, e cioé che la medesima prestazione venga - in tal modo moltiplicata, fra più soggetti, e non esclude quindi che venga cumulata. in uno solo; e che, infine, l'art. 2 della legge n. 2 del 1952, nella parte in cui modifica l'art. 13 del R.D.L. 14. aprile 1939, n. 636, quanto alla esclusione della riversibilità della pensione per i genitori dell'assicurato che godano di - trattamento proprio di pensione, non stabilisce un divieto di cumulo, ma attua solo il principio che informa tutto l'articolo, cioè che la reversibilità ai superstiti é prevista solo in caso che questi possano considerarsi a carico dell'assicurato.

 

Esclude infine che l'art. 38 della Costituzione, pur delineando un ampio sistema protettivo in materia di sicurezza sociale tendente ad attuare il sollievo dal bisogno, sia incompatibile col sistema assicurativo attualmente vigente, che anzi sarebbe ivi (secondo comma) per chiare note richiamato. Pertanto l'art. 38 non potrebbe invocarsi al fine di escludere il principio del rischio specifico, cui sarebbe informata tutta la legislazione in materia di assicurazioni sociali, e che costituirebbe il fondamento per l'erogazione delle relative prestazioni, le quali comunque concernerebbero "varie. e distinte forme di assicurazione, in ciascuna delle quali il diritto alla prestazione. sorge indipendentemente dai diritti derivanti dalle altre forme di assicurazione", intese ciascuna a proteggere da un rischio di diversa natura. La detta. norma costituzionale resterebbe pertanto estranea alla questione in esame, cioè al rapporto fra la legge delega n. 218 del 1952 e la norma impugnata, in relazione all'art. 76 della Costituzione.

 

10. - La difesa dell'I.N.P.S. ha, pure nei termini, presentato una memoria illustrativa con la quale riprende e sviluppa l'argomentazione, già accennata in precedenza, riguardo alla ripartizione dell'onere delle indennità di disoccupazione sulla massa dei lavoratori attivi, precisando che, mentre l'originario meccanismo assicurativo consisteva nella formazione di un fondo di riserva, accreditato in conti individuali proporzionali all'importo dei versa - menti (art. 19 R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636), con gli artt. 34 e 35 della legge 29 aprile 1949, n. 264, fu invece istituito, in aggiunta, un assegno fisso di valore economico assorbente rispetto alle preesistenti indennità, non accreditato nei conti dei singoli assicurati, ed alimentato con un contributo percentuale sulle retribuzioni. Onde l'assicurato non riceverebbe l'equivalente di quanto da lui o per lui risparmiato, ma una quota della ricchezza che. viene prelevata per far fronte ai bisogni di cui all'art. 38 della Costituzione.

 

Aggiunge infine che, nell'ambito del potere di coordinamento concessogli, il legislatore delegato poteva e doveva provvedere come fece appunto con la norma impugnata, a regolare l'ipotesi in cui l'invalido pensionato svolga una residua capacità di lavoro, giacché tale ipotesi era disciplinata dall'art. 17 del decreto 7 dicembre 1924, n. 2270, il quale faceva riferimento, quanto al concetto di invalidità pensionabile, all'art. 7 del decreto 30 dicembre 1923, n. 3184, formalmente e sostanzialmente diverso dall'art. 10 del decreto 14 aprile 1939, n. 636, che quest'ultimo avrebbe quindi abrogato.

 

11. - Anche l'Avvocatura generale dello Stato, per parte sua, ha presentato, nei termini, due memorie illustrative in relazione alle questioni di cui alle citate ordinanze dei Tribunali di Macerata e di Brescia.

 

In esse, l'Avvocatura afferma, innanzi tutto, che la norma impugnata é modificativa dell'art. 17 del regolamento 7 dicembre 1924, n. 2270, per cui il Governo, nell'emanarla, avrebbe agito nell'ambito della propria potestà regolamentare - anche se la norma stessa é stata inserita "in sede di compilazione di testo unico", così dice l'Avvocatura -, onde dovrebbe ritenersi inammissibile la questione di legittimità costituzionale, essendo questa riferita ad atto regolamentare e, come tale, non avente forza di legge.

 

Aggiunge l'Avvocatura che la legge 4 aprile 1952, n. 218, non contiene alcuna norma regolante il trattamento del pensionato in caso di disoccupazione, per cui non sarebbe ravvisabile quel contrasto tra legge di delegazione e legge delegata in cui, secondo la sentenza n. 24 del 1959 della Corte costituzionale, si concreterebbe l'eccesso dai poteri di coordinamento affidati al Governo con l'art. 37 della legge n. 218 del 1952.

 

Altro motivo di incompatibilità fra le due prestazioni espone poi l'Avvocatura, sostenendo che le stesse sono, entrambe, concesse a titolo alimentare, così come si desumerebbe per le pensioni dall'art. 10 della legge delegante n. 218 del 1952, secondo cui il trattamento di pensione é comprensivo dell'assegno integrativo, dell'indennità di caropane e degli assegni di contingenza. In particolare poi - soggiunge l'Avvocatura - la norma impugnata si sarebbe mantenuta nei limiti della delega riguardo al divieto di cumulo del sussidio straordinario di disoccupazione con la pensione, giacché, a norma dell'art. 36 della legge 29 aprile 1949, n. 264 confermativo dell'art. 4 del decreto legge 20 maggio 1946, n. 373 - tale divieto era già stato previsto, con esclusione solo delle pensioni di guerra.

 

Osserva infine l'Avvocatura, che l'art. 17 del regolamento approvato con decreto 7 dicembre 1924, n. 2270, non potrebbe giovare al fine di sostenere l'esistenza di un principio di cumulabilità fra le prestazioni in discorso, perché la corresponsione al pensionato della indennità di disoccupazione sarebbe ivi prevista solo eccezionalmente nel caso di residua ed utilizzata capacità lavorativa, restando quindi confermato il principio di massima in senso opposto.

 

12. - Ai sensi dell'art. 15 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il Presidente della Corte, con decreto del 14 gennaio 1960, assegnò all'udienza del 6 aprile 1960 la trattazione di tutte e cinque le cause.

 

In tale udienza, i patroni delle parti hanno illustrato le tesi svolte negli scritti difensivi.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

1. - Le cinque cause vanno riunite e decise con unica sentenza, data la sostanziale identità della questione che con esse si dibatte: la legittimità costituzionale della norma contenuta nell'ultimo comma dell'art. 32 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, con cui si dispone che l'indennità di disoccupazione non spetta per i periodi per i quali é percepito un trattamento di pensione.

 

2. - É innanzi tutto da esaminare l'eccezione pregiudiziale di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato.

 

Sostiene l'Avvocatura che la norma impugnata ha carattere e contenuto regolamentare, in quanto modifica l'art. 17 del regolamento 7 dicembre 1924, n. 2270, col quale vennero emanate - disposizioni per l'esecuzione del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3158, concernente provvedimenti per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria. Il Governo - così sostiene l'Avvocatura - senza invadere la sfera normativa primaria, avrebbe agito nell'ambito dei propri poteri, ossia nell'ambito della propria potestà regolamentare, in base alla quale aveva emanato il predetto art. 17. All'esercizio di tale potestà non potrebbe essere di ostacolo il fatto che il Governo ne avrebbe usato in sede di compilazione del decreto delegato di cui si tratta, non esistendo nessuna disposizione che vieti di inserire in un nuovo testo legislativo norme attinenti alla potestà governativa regolamentare. Non trattandosi, quindi, di norma avente forza di legge, ma di atto o provvedimento avente caratteristica formalmente amministrativa, non potrebbe sussistere questione di costituzionalità onde l'inammissibilità della questione medesima.

 

Siffatto ragionamento non é fondato, e infondata é la conclusione che se ne vuoi trarre, della inammissibilità della proposta questione di costituzionalità.

 

Per l'art. 134 della Costituzione e per l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, la Corte costituzionale é chiamata a decidere le questioni di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge. Basta, quindi, che la norma impugnata di illegittimità costituzionale sia contenuta in un atto avente veste di legge o in uno di quegli atti che, pure aventi la forma di decreti, hanno forza di legge - quali sono i decreti legislativi o delegati e i decreti legge - perché sia radicata la competenza a giudicare della Corte costituzionale.

 

3. - Il Tribunale di Brescia, nelle sue ordinanze, oltre a sollevare la questione della legittimità costituzionale dell'art. 32 del D. P. R. 26 aprile 1957, n. 818, nel senso innanzi riferito, ha ritenuto anche non manifestamente infondata la questione - che é pregiudiziale ed investe la legittimità di tutto il decreto - circa il mancato rispetto del limite di tempo per la emanazione del decreto stesso. "L'art. 32... - si legge nelle dette ordinanze - violò doppiamente il disposto dell'art. 76 della Costituzione, in quanto andò oltre i principi ed i criteri direttivi stabiliti dalla legge delegante e non osservò il limite temporale da quella imposto (la legge 4 aprile 1952, n. 218, venne pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 16 aprile 1952, mentre il D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, venne pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 17 settembre 1957)".

 

Ma questa questione non é fondata.

 

La Corte costituzionale, con sentenza n. 39 del 6 luglio 1959, ha ritenuto che il ritardo nella pubblicazione di un decreto delegato oltre il termine fissato nella delega, quando il decreto stesso sia stato però emanato nei termini, ai sensi dell'art. 87, quinto comma, della Costituzione, non costituisce vizio di illegittimità costituzionale in relazione all'art. 76 della Costituzione medesima.

 

Invero - si esprime la ricordata sentenza - "la norma costituzionale (art.76)... prevede la delegazione al Governo dell'esercizio della funzione legislativa, vale a dire di quella funzione che é esercitata collettivamente dalle due Camere (art. 70 Costituzione). Il tempo limitato,, che deve essere prestabilito, concerne precisamente l'esercizio di tale funzione; non comprende invece adempimenti successivi a quell'esercizio, che si é esaurito con la emanazione del provvedimento legislativo, posto che gli adempimenti stessi competono ad altri organi, di natura amministrativa. D'altra parte, la pubblicazione sui fogli ufficiali, diretta a rendere note legalmente le disposizioni legislative, é condizione di efficacia, non requisito di validità della legge, che esiste validamente anche prima della sua pubblicazione".

 

Ora il decreto in esame é stato emanato dal Capo dello Stato (art. 87, quinto comma, Costituzione) in data 26 aprile 1957, come risulta dalla Gazzetta Ufficiale n. 231, del 17 settembre 1957. E tale data é antecedente al termine fissato nella legge delega, che scadeva il 10 maggio 1957, essendo stato stabilito nei cinque anni dalla entrata in vigore della legge stessa, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 15 aprile 1952, n. 89, supplemento ordinario.

 

4. - Prima di passare all'esame del merito della questione di legittimità costituzionale proposta a questa Corte in ordine all'art. 32 del decreto delegato 26 aprile 1957, n. 818, é necessario precisare l'oggetto della detta questione ed i limiti dell'impugnazione.

 

Sia le ordinanze del Tribunale di Brescia, che quella del Tribunale di Macerata, si riferiscono, genericamente, all'ultimo comma dell'art. 32; ma da esse emerge che i procedimenti civili principali, che a quelle ordinanze diedero luogo, avevano ad oggetto la corresponsione della indennità di disoccupazione, e si faceva questione del cumulo di tale indennità con la pensione. L'art. 32, ultimo comma, del decreto delegato, 26 aprile 1957, n. 818, parla, invece, sia dell'indennità di disoccupazione che del sussidio straordinario, e dispone che "l'indennità di disoccupazione e il sussidio straordinario non spettano per i periodi per i quali é stabilito un trattamento di pensione, tranne il caso che si tratti di pensione di guerra". Ora l'Avvocatura dello Stato, tanto nelle difese scritte quanto nella discussione orale, si é occupata sia dell'indennità di disoccupazione che del sussidio straordinario, forse intendendo entrambe queste provvidenze comprese nell'impugnativa. Ma, in effetti, si tratta di cose diverse, e come soltanto della prima si é discusso nel giudizio di merito, cosi ora solo della medesima si deve discutere nel giudizio incidentale, in questa sede essendo ovviamente non pertinente trattare un punto per nulla attinente a quel giudizio. La diversità delle due provvidenze risulta, infatti, dal fondamentale rilievo che l'indennità di disoccupazione ha carattere essenzialmente assicurativo, mentre il sussidio straordinario, disciplinato dalla legge 29 aprile 1949, n. 264, ha natura e scopo assistenziali. Esso ha riguardo a particolari condizioni della mano d'opera, sovviene lavoratori appartenenti a categorie professionali particolarmente bisognose, in zone depresse e prive o scarse di industrie e di lavori pubblici; inoltre i lavoratori che ne beneficiano debbono essere nella impossibilità di seguire i corsi di qualificazione professionale o di prestare la propria opera presso i cantieri lavoro, o perché questi sono lontani dai luoghi di residenza o perché i cantieri non li possono accogliere. Non debbono poi trovarsi nelle condizioni di poter usufruire dell'indennità di disoccupazione, tanto che possono ottenere il sussidio anche quando abbiano versato un numero assolutamente minimo, quasi simbolico, di contributi assicurativi. Correlativamente, la concessione del sussidio, quando concorrano le condizioni sopra indicate, é un provvedimento del tutto discrezionale, che viene adottato dal Ministro del lavoro, col concerto del Ministro del tesoro, per le ovvie conseguenze di carattere finanziario (v. art. 36 citata legge 29 aprile 1949, n. 264).

 

Resta pertanto chiarito che oggetto della presente impugnativa é costituito da quella parte dell'ultimo comma dell'art. 32 del decreto delegato che stabilisce il divieto del cumulo fra l'indennità di disoccupazione e la pensione.

 

5. - Circa il contenuto della delega conferita al Governo con l'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e la estensione maggiore o minore delle facoltà che con la medesima venivano concesse, bisogna subito rilevare che la formula che fu adottata é quanto mai ampia. Si autorizzava l'emanazione di norme di attuazione e transitorie della legge; la raccolta, poi, in testo unico delle disposizioni che regolano la materia delle assicurazioni sociali. Il testo unico non fu compilato, e, in base alla delega, venne emanato il decreto di cui si discute. Anche per questo valeva, naturalmente,. la formula adottata - che é, invero, più usata nel caso di delegazione legislativa per i testi unici che per i decreti legislativi -: "potranno essere emanate, in conformità dei principi e dei criteri direttivi cui si informa la presente legge, disposizioni transitorie e di attuazione, nonché norme intese a coordinare le vigenti norme sulle assicurazioni sociali con quelle della presente legge...".

 

Data questa formula, é compito dell'interprete determinarne l'estensione e i limiti. La singolarità di tal delega consiste anche nel fatto che una duplice direzione é ad essa assegnata: poiché la stessa legge delega ha una vasta parte contenente numerose norme sulle assicurazioni sociali, le norme del decreto delegato dovevano essere conformi ai principi posti da quelle norme; inoltre dovevano risultare informate ad un coordinamento fra le. norme vigenti sulle assicurazioni sociali e quelle della legge delega.

 

Ora, pur tenendo conto dell'ampiezza della delega, bisogna escludere che la norma impugnata dell'art. 32 del decreto delegato possa considerarsi norma di attuazione della legge delega. Il motivo é che la norma di attuazione in tanto é tale in quanto derivi dalla norma obbiettiva posta dal legislatore, e presuppone quindi l'esistenza di concrete specifiche disposizioni cui essa sia riferibile, le quali, invece, nella specie non sussistono. Infatti nella legge delegante non é dato ravvisare nessuna disposizione che possa collegarsi, in tal senso, con la norma impugnata, che pone invece, come di seguito si vedrà, una disposizione contrastante non solo con la legge delega, ma altresì con la legislazione precedente.

 

Escluso che possa ritenersi norma di attuazione, ed essendo pacifico che non é norma transitoria, é chiaro che potrebbe solo trattarsi di norma di coordinamento. Il che, del resto, é stato ampiamente sostenuto dall'Avvocatura dello Stato negli scritti difensivi.

 

Ai sensi dell'art. 37 della legge delega n. 218 del 1952, la norma in questione avrebbe dovuto, dunque, essere emanata al fine di coordinare la legislazione vigente in materia di assicurazioni sociali con le norme contenute nella legge stessa, in conformità dei criteri e dei principi direttivi da questa desumibili.

 

Ora, specie in considerazione della formula usata, vincolativa, come si é chiarito, anche in relazione alle disposizioni della legge delega, é da ritenere che il legislatore delegante, se ha, contemporaneamente alla delega, posto disposizioni regolanti la stessa sfera di rapporti cui si riferisce la delega, non ha certamente inteso conferire al Governo il potere di mutare quanto, allora, aveva così stabilito. Erano quindi vincolanti per il legislatore delegato non soltanto i principi e criteri direttivi cui si fa riferimento nella formula di delega, ma altresì le disposizioni contenute nella legge delega, la quale, se si accettasse un diverso concetto, finirebbe con l'assumere un contenuto contraddittorio, evidentemente inammissibile, ponendo delle norme e conferendo contemporaneamente al Governo il potere di modificarle.

 

Questa conclusione é conforme alla natura della delegazione legislativa, che, condizionando in determinato modo l'esercizio della facoltà attribuita al delegato, assume, nei confronti delle disposizioni che dovranno essere emanate in attuazione di tale facoltà, una funzione indubbiamente preminente, con la quale non si può conciliare un esercizio in senso contrario alle norme contenute nella legge che la delega dispone.

 

In questo senso la Corte deve ribadire il principio già posto, in materia di delegazione legislativa, nell'interpretare la estensione e i limiti propri del decreto delegato n. 818 del 1957, di cui si tratta, nella sentenza n. 24 del 5 maggio 1959, quando osservò che "per quanto ampie siano le facoltà delegate al Governo nei singoli casi, con la legge delegata non possono essere dettate norme in contrasto con quelle contenute nella stessa legge di delegazione".

 

6. - Ad avviso della Corte, non vale a legittimare la norma impugnata il richiamo, cui hanno fatto ripetutamente ricorso i patroni dell'I.N.P.S. ed anche l'Avvocatura dello Stato, all'art. 38 della Costituzione.

 

Essi sostengono che la legge 29 aprile 1949, n. 264, abbia sottolineato il mutamento di finalità della istituzione dell'assicurazione contro la disoccupazione. Le vicende della seconda guerra mondiale e dell'immediato dopoguerra avrebbero scardinato le basi finanziarie del sistema preesistente, mentre l'assicurazione avrebbe assunto una prevalente e più immediata funzione di assistenza, quella funzione, cioè, di protezione contro il bisogno, che é stata solennemente affermata nell'art.. 38 della Carta costituzionale. La trasformazione dell'istituzione con la legge 4 aprile 1952, n. 218, si sarebbe compiuta anche attraverso la modificazione dello strumento economico necessario al conseguimento dei fini dell'assicurazione: si abbandonava il sistema della capitalizzazione individuale, per passare a quello della ripartizione, con onere ricadente su tutti i lavoratori, attivi o pensionati. La conseguenza cui sembra si vorrebbe giungere, in base a questo riferimento al nuovo congegno assicurativo, sarebbe praticamente quella della retribuzione delle prestazioni a favore dei singoli assicurati ed una estensione del numero dei beneficiari. Entrate di natura diversa dalle obbligazioni strettamente inerenti alle assicurazioni sociali avrebbero poi permesso un aumento della entità delle prestazioni a favore degli assicurati, anche in relazione al diminuito valore della moneta. Non sembra peraltro che un siffatto mutamento delle basi economiche delle assicurazioni sociali e dello stesso sistema attuariale adottato in conseguenza possa essere richiamato, come sostiene la difesa dell'I.N.P.S., a giustificazione della. norma impugnata, sul terreno della legittimità costituzionale.

 

Ora, pur prendendo in esame le ragioni addotte dalla difesa dell'I.N.P.S. e le osservazioni fatte dall'Avvocatura dello Stato, non é dato ravvisare nella legislazione precedente alla legge delega 4 aprile 1952, n. 218, e nelle norme contenute nella stessa legge delega nessuna disposizione che contrasti alla possibilità del cumulo: si riscontra, viceversa, in talune disposizioni, il principio contrario, favorevole, cioè, al cumulo stesso.

 

7. - Quale che sia la funzione specifica che si voglia attribuire alla pensione di invalidità e vecchiaia, é certo che, in base all'ordinamento vigente, essa é collegata allo stato di bisogno del lavoratore determinato da un'accertata invalidità o dall'aver superato un certo limite di età (art. 37 R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modificazioni; art. 2 legge 4 aprile 1952, n. 218). Ciò emerge chiaramente dal regime cui la corresponsione della pensione é assoggettata, in dipendenza delle variazioni dello stato di bisogno, quali, appunto, quelle citate dalla difesa dell'I.N.P.S. e dall'Avvocatura dello Stato, a cui, per la sua importanza, deve aggiungersi la riduzione fino ad un quarto della pensione ai lavoratori che, essendone titolari, svolgono attività retribuita alle dipendenze di altri, sancita dall'art. 12 della citata legge 4 aprile 1952, n. 218.

 

Per quanto riguarda, invece, l'assicurazione contro la disoccupazione involontaria, si rileva che l'evento da essa coperto é, secondo la legge (art. 45 R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827), la "disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro" del prestatore di lavoro retribuito alle dipendenze di altri. Trattasi di uno stato di bisogno in cui il lavoratore viene a trovarsi, involontariamente, per essere venuto meno il rapporto di lavoro preesistente - di regola per licenziamento - e per l'impossibilità di assunzione da parte di un nuovo datore di lavoro connessa a condizioni oggettive del mercato del lavoro, cioè alla mancanza di richiesta di mano d'opera.

 

Il regime della corresponsione della indennità di disoccupazione ne caratterizza sufficientemente gli scopi, che sono appunto quelli di fornire al lavoratore disoccupato una "indennità", tendente ad eliminare, in parte, le conseguenze della disoccupazione.

 

Ed é lecito affermare che il sistema adottato é strettamente aderente alla realtà di fatto in cui si svolge il fenomeno della mancanza involontaria di lavoro, nel senso che questo, nella sua obbiettiva esistenza, costituisce la base che giustifica la corresponsione dell'indennità, salvo quei temperamenti al rigore del regime che sono stati apportati con le disposizioni contenute proprio nel decreto cui la presente impugnativa si riferisce (art. 32, primo e secondo comma).

 

8. - Raffrontando i due tipi di assicurazioni sociali testé accennati, sotto il profilo della loro compatibilità, si rileva che questa non può, in linea di principio, escludersi.

 

Ed invero l'assicurazione per l'invalidità e vecchiaia ha riguardo a quel particolare stato derivante da un fenomeno della vita che non necessariamente elimina ogni e qualsiasi capacità lavorativa del soggetto assicurato, ma soltanto, quanto alla invalidità, oltre i due terzi della sua capacità di guadagno (art. 10 R.D. L.14 aprile 1939, n. 636), e, quanto alla vecchiaia, prescinde addirittura dalla dimostrazione della effettiva incapacità, annettendo all'evento fisiologico dell'invecchiamento oltre una certa età una presuntiva diminuzione della capacità di guadagno, non necessariamente totale, per evidenti ragioni di ordine sociale ed etico. Onde é ben ammissibile che il lavoratore pensionato, sfruttando le sue residue capacità, presti la propria opera alle dipendenze di terzi, ricavandone una retribuzione commisurata alle sue condizioni soggettive, più o meno menomate. Ed a questa attività lavorativa non si vede perché non dovrebbe aderire il trattamento assicurativo della disoccupazione. Questo infatti, come si é visto, ha lo scopo di fornire una indennità inerente appunto al fenomeno economico costituito dalla impossibilità oggettiva da parte del lavoratore di esplicare la sua attività - quale che ne sia la consistenza economica per mancanza di lavoro, fenomeno che deve inquadrarsi in un campo ben diverso da quello riservato alla assicurazione per invalidità e vecchiaia, che si ispira alla esigenza della garanzia di un minimum che non esclude la prestazione di opera retribuita da parte del beneficiano, con l'assunzione, di diritto e di fatto, della qualifica di prestatore di opera subordinata, e, parallelamente, della qualifica di disoccupato. In un solo caso si può parlare di una reale incompatibilità tra le due prestazioni: e cioè nel caso in cui la capacità di guadagno dell'assicurato sia totalmente. eliminata, per cause inerenti alla sua persona. In tale ipotesi, invero, egli non potrebbe né di fatto né di diritto assumere la qualità di prestatore di opera retribuita, e verrebbe quindi meno il presupposto essenziale su cui trova fondamento la corresponsione dell'indennità di disoccupazione, attuandosi invece in pieno quello relativo alla pensione per invalidità.

 

Ed appunto sotto questo profilo vanno interpretate le norme di cui agli artt. 52, lett. e, e .56 del R.D. 7 dicembre 1924, n. 2270, ricordati dalla difesa dell'I. N. P.S., che rappresentano la concretizzazione, in disposizioni di legge, della detta ipotesi di incompatibilità, la quale, per essere limitata ad un caso estremo, non può ovviamente giovare alla tesi della incompatibilità nel senso ampio sostenuto dalla difesa dell'I.N.P.S.

 

Né varrebbe osservare in contrario, sulla base delle argomentazioni svolte dalla difesa dell'I.N. P.S. e dall'Avvocatura dello Stato, che la incompatibilità risiederebbe nell'essere lo stato di bisogno del soggetto già coperto dalla pensione per invalidità e vecchiaia, per cui la corresponsione della indennità di disoccupazione dovrebbe considerarsi superflua rispetto a tale esigenza. Ed invero, in base a quanto sopra si é osservato circa l'oggetto delle due prestazioni, é certo che queste, garantendo due rischi diversi, attinenti l'uno ad un momento patologico soggettivo, l'altro ad un momento critico oggettivo della vita stessa, non possono, per il solo fatto di essere riferite alla stessa persona, assumere forma di reciproca esclusione.

 

Onde nulla vieta in linea di principio che, concorrendo entrambi i momenti il che, come si é visto, é possibile - concorrano entrambi i rimedi, non esistendo, tra l'altro, alcuna. disposizione di carattere generale che fissi un maximum di prestazioni al di là del quale non sia lecito andare, ma solo singoli casi di incompatibilità relativa, insuscettibili di amplificazione analogica.

 

9. - Passando, dopo queste premesse, all'esame delle disposizioni cui si sono riferite la difesa dell'I.N.P.S. e l'Avvocatura dello Stato, é da rilevare che esse non possono essere ritenute valide à smentire quanto si é affermato.

 

Ed invero, l'art. 61 dei R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, stabilendo che "se l'invalidità proviene da infortunio sul lavoro o da una malattia professionale, la pensione assegnata in base al presente decreto é ridotta ad una misura tale che, sommata con la rendita liquidata ai sensi di legge per infortunio o per malattia professionale, non superi la retribuzione dell'assicurato", si preoccupa unicamente di sancire un regime particolare di concorrenza tra la pensione per invalidità e vecchiaia e la rendita inerente all'infortunio sul lavoro o alla malattia professionale, tale che l'assicurato non possa, sommando i due trattamenti, conseguire una somma annua superiore alla sua retribuzione normale. Il che si risolve nel riconoscimento della compatibilità delle due prestazioni. E ciò a prescindere dalla differenza esistente tra la rendita per infortunio e l'indennità di disoccupazione, che renderebbe comunque ininfluente la disposizione ai fini di stabilire eventuali criteri del legislatore sul concorso fra la pensione per invalidità e vecchiaia e la indennità di disoccupazione.

 

L'art. 72 del citato R.D.L. n. 1827 del 1935 stabilisce, é vero, la incompatibilità tra la pensione per invalidità e le prestazioni antitubercolari, durante il corso delle quali l'assicurato "non può ottenere la liquidazione della pensione". Ma, a parte la considerazione che, qualora l'assicurato già goda della pensione, questa non viene sospesa in toto, ma solo viene operata una trattenuta inversamente proporzionale al carico di famiglia - come dispongono i successivi commi dell'articolo stesso -, é da rilevare che l'esempio non può essere assunto a base di una presunta incompatibilità generale della pensione per invalidità con le altre prestazioni assicurative, giacché le prestazioni antitubercolari si presentano sotto un aspetto quanto mai peculiare, consistendo normalmente nel ricorso dell'assicurato (artt. 66 e 67 del citato R.D. L.), il quale, quindi, viene posto al coperto da tutte le personali necessità della vita, ciò che indubbiamente non avviene con la corresponsione della indennità di disoccupazione.

 

Altri casi di concorso, ma diversi da quello in questione, e quindi non conferenti alla dimostrazione che da essi si vorrebbe trarre, abbiamo nell'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1504, che concerne l'esclusione dalla maggiorazione per carichi di famiglia sulle prestazioni economiche antitubercolari per i familiari per i quali siano percepiti dal lavoratore o da altra persona di famiglia gli assegni familiari; nell'art. 2 del R.D.L. 4 febbraio 1937, n. 463, che esclude, per l'indennità di disoccupazione, la corresponsione delle quote di maggiorazione per i figli a carico in favore di ambedue i genitori contemporaneamente disoccupati; nell'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, che, stabilendo che in determinati casi la pensione é reversibile ai genitori superstiti, "che non siano già titolari di pensione diretta", pone una incompatibilità tra due pensioni, cioè tra due prestazioni affini, affinità che non é certo riscontrabile tra la pensione e l'indennità di disoccupazione. L'art. 10 successivo, il quale pure, stabilendo tra l'altro che il minimo di pensione non si estende a "coloro i quali percepiscono più pensioni a carico dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e dei fondi e trattamenti sostitutivi dell'assicurazione stessa qualora, per effetto del cumulo, il pensionato fruisca di un beneficio mensile superiore al minimo garantito", non fa che regolare la corresponsione di prestazioni spettanti allo stesso titolo, senza comunque arrivare alla incompatibilità assoluta, ma solo relativa, trattandosi appunto di una regolamentazione che ha di mira solo l'osservanza di un certo limite nella cumulabilità.

 

Non é, infine, conferente allo scopo l'art. 16 del D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, che stabilisce la incompatibilità fra prestazioni antitubercolari e assegni familiari, data la diversità dell'oggetto della disposizione rispetto all'ipotesi in esame; né l'art. 21 dello stesso decreto che riflette soltanto la incompatibilità nell'ambito dello stesso nucleo familiare fra gli assegni familiari e le maggiorazioni dell'indennità di disoccupazione per carichi di famiglia.

 

É da rilevare anzi che, in base alle ricordate disposizioni, cui potrebbero aggiungersi l'art. 11 del R.D.L. 21luglio 1937, n. 1239, concernente la stessa materia dell'art. 21 ora citato, e l'art. 5 della legge 20 febbraio 1958, n. 55, in tema di minimi di pensione, un altro e ben diverso criterio legislativo é dato desumere, e cioè appunto quello secondo cui le eventuali incompatibilità fra diverse prestazioni assicurative, anche più vicine di quanto non siano la pensione per invalidità e vecchiaia e l'indennità di disoccupazione, sono spesso sancite in modo relativo e non assoluto, e quindi con principi ben diversi da quelli cui si é invece attenuto il legislatore delegato nella norma impugnata, concernente una incompatibilità assoluta. Sembra, inoltre, il caso di rilevare che questa é altresì in contrasto con quanto lo stesso legislatore delegato ha disposto nel D.P.R. n. 818 del 1957. Si legge infatti nell'art. 32 stesso, primo comma, che é ammessa l'indennizzabilità e la sussidiabilità delle domeniche e degli altri giorni festivi, esclusa sotto la precedente disciplina (art. 57, R.D. 7 dicembre 1924, n. 2270). E nel secondo comma é ammessa, entro certi limiti ed a certe condizioni, l'indennizzabilità della disoccupazione anche nel periodo di malattia. Ciò che rappresenta una evidente evoluzione del principio prima vigente, secondo cui la disoccupazione cessava di essere indennizzabile nel caso di malattia, in applicazione del concetto di incompatibilità fra indennità per disoccupazione e impossibilità soggettiva del lavoratore di prestare la sua opera. Ed a questo evidente, notevole allentamento nella disciplina della materia, si contrappone, in tutto il suo rigore e la sua vasta portata, la norma impugnata.

 

  1. - Le considerazioni innanzi svolte circa la compatibilità tra le due forme di prestazioni assicurative in esame trovano conforto in disposizioni positive di diritto.

Ed invero l'art. 17 del R.D. 7 dicembre 1924, n. 2270, disponeva che. il lavoratore affetto da infermità o invalidità temporanea, escluso in linea di massima dal diritto al sussidio di disoccupazione - principio questo superato, come si é visto, dalle recenti norme dell'art. 32, primo comma, del decreto delegato in esame -, poteva tuttavia mantenere il diritto se, "conservando una residua capacità al lavoro", avesse "di fatto trovato impiego" rimanendo poi disoccupato. Il che sta a significare che, pure in un regime maggiormente rigoristico, era tuttavia esplicitamente ammesso che il sussidio fosse versato a chi aveva esplicato solo una ridotta attività lavorativa e poi era stato colpito dalla disoccupazione.

E l'art. 10 della legge 29 aprile 1949, n. 264, che annovera tra i possibili iscritti nelle liste di collocamento i pensionati, implicitamente ammette e contempla la prestazione del lavoro da parte di chi già gode di un trattamento pensionistico, e detta la regolamentazione di questo caso ai fini della iscrizione nelle liste stesse, il che costituisce appunto il presupposto per poter conseguire l'indennità di disoccupazione (art. 75, R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827).

Inoltre, due norme contenute nella stessa legge delega del 1952, n. 218, sono ancora più eloquenti al riguardo.

Con l'art. 12, infatti, si dispone la riduzione fino ad un quarto della pensione di invalidità e vecchiaia a danno dei pensionati che prestino "opera retribuita alle dipendenze di altri", e con l'art. 27 si dispone che "l'obbligo del versamento per i contributi dovuti per le forme di previdenza e di assistenza sociale obbligatorie previste dalla presente legge (ivi compresa quindi quella per la disoccupazione involontaria) non cessa qualora il lavoratore, in età superiore ai cinquantacinque anni se donna e ai sessanta se uomo, presti attività retribuita alle dipendenze di altri".

Ora, mentre é evidente che la prima disposizione conferma il principio sopra esposto della possibilità del lavoro dell'invalido e di chi abbia superato i limiti di età pensionabile, la seconda sancisce un obbligo che, trovando la sua ragion d'essere nel principio testé indicato, pone la premessa specifica per la indennizzabilità della disoccupazione del lavoratore che, per avere superato l'età pensionabile, ha pure diritto alla prestazione relativa.

Pertanto, la fondamentale obbiezione mossa dalla difesa dell'I.N.P.S., secondo cui il già avvenuto conseguimento del diritto a pensione é sempre in connessione con il venir meno, dimostrato o presunto, del bene assicurabile, e cioè della forza di lavoro intesa "come bene economico collocabile sul mercato di lavoro", per cui lo stato di disoccupazione del pensionato non é indennizzabile perché non può essere più considerato "un rischio in senso tecnico", non sembra possa considerarsi in armonia con le disposizioni preesistenti alla legge delega e tanto meno con quelle della legge delega stessa.

  1. - Deve infine rilevarsi che la regolamentazione delle assicurazioni per invalidità e vecchiaia e per la disoccupazione involontaria, quale rispettivamente risulta dal testo legislativo fonda - mentale, e cioè il R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 - che ha ripreso e rielaborato la legislazione preesistente in entrambe le materie e segnatamente, per l'invalidità e vecchiaia, il decreto luogotenenziale istitutivo 21 aprile 1919, n. 603, e, per la disoccupazione, il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3158, integrato col regolamento 7 dicembre 1924, n. 2270 -, delinea, dal punto di vista giuridico, il diritto del lavoratore al conseguimento delle prestazioni come un vero e proprio diritto soggettivo perfetto, il quale sorge, sulla base del rapporto assicurativo, con il verificarsi delle condizioni analiticamente previste dalla legge, e cioè, da un lato, l'obbligo del versamento dei contributi, dall'altro la concorrenza di eventi diversi a seconda del tipo di assicurazione contratta: invalidità oltre un certo limite, anzianità oltre una certa età, mancanza di lavoro per obbiettiva impossibilità di impiego.

Onde, anche sotto questo profilo, che del resto si ricollega alla fondamentale indipendenza delle due forme di assicurazione sopra accennate, si manifesta, nel sistema, quell'orientamento di compatibilità delle due specie di prestazioni. E trova conferma l'impossibilità che le eventuali limitazioni del godimento di un tal diritto soggettivo si desumano da altre disposizioni, in via di interpretazione estensiva di principi limitativi previsti a proposito di situazioni giuridiche differenti.

  1. - Dalle cose dette deve trarsi la conclusione in ordine alla sollevata questione di legittimità costituzionale, circa il cumulo dell'indennità di disoccupazione con la pensione.

Escluso che la norma impugnata potesse ritenersi una norma transitoria o di attuazione, restava a vedere se poteva ammettersi che avesse operato un coordinamento, nel senso e nei limiti dettati dal legislatore delegante.

Data la riscontrata assenza nel sistema normativo delle assicurazioni sociali di disposizioni da cui possa desumersi direttamente l'incompatibilità delle prestazioni per invalidità e vecchiaia e per la disoccupazione, e richiamato il concetto che le incompatibilità riscontrabili fra altre prestazioni sono sancite, più spesso, soltanto in senso relativo, deve concludersi che la disposizione impugnata, giungendo invece a stabilire una incompatibilità assoluta, ha posto una norma che, andando oltre i principi ed i criteri della legge delegante, non si limita a coordinare le vigenti norme sulle assicurazioni sociali con quelle della legge delegante, ma detta una disposizione addirittura contraria allo spirito che questa medesima informa.

E pertanto, alla stregua dei principi in precedenza fissati in tema di delegazione legislativa, appare evidente l'eccesso dai limiti della delega e il conseguente vizio di incostituzionalità che affetta la norma stessa quando stabilisce la incompatibilità con la pensione della indennità di disoccupazione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza nei giudizi indicati in epigrafe:

respinge l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato;

dichiara non fondata la questione proposta dal Tribunale di Brescia con le ordinanze 20 aprile 1959 sulla legittimità costituzionale dal decreto delegato 26 aprile 1957, n. 818, per assunta violazione del limite temporale posto nell'art. 37 della legge delega 4 aprile 1952, n. 218, in riferimento all'art. 76 della Costituzione;

dichiara, sulla questione proposta con le ordinanze medesime del Tribunale di Brescia e con l'ordinanza 27 gennaio 1959 del Tribunale di Macerata, la illegittimità costituzionale del comma terzo dell'art. 32 del detto decreto delegato 26 aprile 1957, n. 818, nella parte in cui si stabilisce che l'indennità di disoccupazione non spetta per i periodi per i quali é percepito un trattamento di pensione, in relazione all'art. 37 della indicata legge delega 4 aprile 1952, n. 218, e in riferimento all'art. 76 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1960.

 Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.                   

 

Depositata in Cancelleria il 31 maggio 1960.