SENTENZA N. 83
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale), della relativa legge di delega 28 dicembre 1952, n. 3060, e dell'art. 2, secondo comma, lett. d, della legge 15 luglio 1906, n. 327, sull'esercizio della professione di ragioniere, promosso con ordinanza emessa il 16 novembre 1971 dal pretore di Mondovì nel procedimento civile vertente tra Caldera Giglio Giorgio e Toso Michele, iscritta al n. 466 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27 del 29 gennaio 1972.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 23 gennaio 1974 il Giudice relatore Nicola Reale;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento civile vertente tra Caldera Giglio Giorgio e Toso Michele, avente per oggetto la richiesta di pagamento del compenso per espletamento di attività professionali riservate ai ragionieri, il convenuto eccepiva che l'istante non era iscritto nel relativo albo.
L'attore replicava deducendo, tra l'altro, la illegittimità costituzionale:
dell'articolo unico della legge 28 dicembre 1952, n. 3060 (delega al Governo della facoltà di provvedere alla riforma degli ordinamenti delle professioni di esercente in economia e commercio e di ragioniere), e del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale), in relazione all'art. 81, ultimo comma, della Costituzione;
del citato d.P.R. n. 1068 del 1953, in relazione all'articolo 73, terzo comma, della Costituzione;
dell'art. 2, secondo comma, lett. d, della legge 15 luglio 1906, n. 327 (sull'esercizio della professione di ragioniere), in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Nel ritenere pregiudiziali e non manifestamente infondate le questioni, il pretore di Mondovì, con ordinanza emessa il 16 novembre 1971, osservava, circa la prima questione, che l'articolo unico della legge di delega n. 3060 del 1952 non contiene alcuna indicazione dei mezzi per far fronte alle nuove o maggiori spese che sarebbero derivate dalla riforma degli ordinamenti delle professioni suddette, attuata con il successivo d.P.R. n. 1068 del 1953; e che l'eventuale incostituzionalità della legge di delega, in relazione all'art. 81, ultimo comma, della Costituzione, dovrebbe conseguenzialmente riflettersi anche sul decreto delegato.
Il menzionato d.P.R. n. 1068 del 1953, risultando emanato il 27 ottobre 1953 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del successivo 11 febbraio 1954, lederebbe inoltre il precetto costituzionale per cui la pubblicazione delle leggi deve essere effettuata "subito dopo" la promulgazione.
L'art. 2, secondo comma, lett. d, della legge n. 327 del 1906, nella parte in cui richiede per l'iscrizione al Collegio dei ragionieri l'esito positivo di un esame, previo compimento di un periodo di pratica professionale di almeno due anni, contrasterebbe, infine, con gli artt. 3 e 4, primo comma, Cost., poiché ciò determinerebbe "una discriminazione fra diplomati abbienti, che possono con sicurezza affrontare dopo gli studi ed il diploma un periodo di praticantato e di specializzazione senza remunerazione alcuna, e diplomati economicamente meno dotati aventi necessità di immediata remunerazione, i quali ultimi sarebbero indotti "a non dedicarsi alla libera professione".
Davanti a questa Corte é intervenuta, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni 10 febbraio 1972, rilevando, innanzitutto, che la legge 28 dicembre 1952, n. 3060, ed il decreto legislativo 27 ottobre 1953, n. 1068, non contengono alcuna disposizione che comporti nuovi oneri a carico del bilancio dello Stato ed, in secondo luogo (quanto al preteso contrasto del d.P.R. n. 1068 del 1953 con l'art. 73, terzo comma, Cost.) che, costituendo la pubblicazione un'attività successiva al procedimento formativo della legge delegata, che si esaurisce con la emanazione, il ritardo nella pubblicazione medesima non potrebbe mai comportarne l'illegittimità costituzionale.
Per quanto riguarda, poi, la dedotta violazione degli articoli 3 e 4 Cost., l'Avvocatura osserva, da un lato, che il diritto al lavoro non può essere inteso come un diritto che non consenta al legislatore ordinario di imporre, nell'interesse della collettività, particolari condizioni di accesso alle singole professioni (tanto che l'art. 33, quinto comma, Cost. prescrive l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale) e - dall'altro - che l'art. 2, lett. d, della legge n. 327 del 1906 non introduce alcuna disparità di trattamento tra cittadini, in quanto il superamento dell'esame pratico ed il periodo di pratica professionale sono imposti indistintamente a tutti i diplomati che aspirano all'abilitazione professionale.
Considerato in diritto
1. - La Corte é chiamata a decidere, innanzi tutto, se l'articolo unico della legge di delega 28 dicembre 1952, n. 3060, e, conseguentemente, il decreto legislativo delegato 27 ottobre 1953, n. 1068, concernente gli ordinamenti delle professioni di ragioniere e perito commerciale, contrastino con l'art. 81, ultimo comma, Cost., per omessa indicazione dei mezzi per far fronte alle nuove e maggiori spese, che la riforma degli ordinamenti professionali suddetti avrebbe comportato.
La questione non é fondata.
L'art. 81, ultimo comma, richiede che ogni legge che importi nuove spese deve indicare i mezzi per farvi fronte. Questa Corte ha ritenuto, in precedenti decisioni, che devono necessariamente essere predeterminati i mezzi destinati alla copertura anche quando le nuove disposizioni importino per l'Erario oneri maggiori di quelli derivanti dalla legislazione preesistente (sent. n. 66 del 1959); ed ha precisato, inoltre, che se nella legge manchi ogni indicazione della copertura, non si deve. per questo solo, presumere che la legge non implichi nessun onere o maggior onere, dovendo la mancanza di implicazione finanziaria essere desunta dall'oggetto della legge e dal contenuto di essa (sent. n. 30 del 1959).
Ma appunto in applicazione di questi principi deve escludersi che, nel caso di specie, la denunziata violazione dell'art. 81, ultimo comma, Cost. sussista, atteso che la legge di delegazione del 1952 ed il successivo decreto legislativo del 1953 non contengono alcuna norma che comporti a carico dello Stato oneri già non previsti dalla precedente disciplina della materia e da correlative postazioni di bilancio o comunque non aventi copertura e riscontro nella autonomia finanziaria riconosciuta al Collegio professionale dei ragionieri e degli esercenti in economia e commercio.
2. - Del pari infondata é la seconda questione con la quale si prospetta il contrasto con l'art. 73, ultimo comma, della Costituzione del decreto legislativo delegato n. 1068, contrasto derivante dal fatto che, sebbene emanato il 27 ottobre 1953 e cioè nel termine di nove mesi dalla entrata in vigore della legge di delega come da essa prescritto, il suddetto decreto é stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 34 dell'11 febbraio 1954, con oltre tre mesi di ritardo.
Questa Corte, per vero, ha già affermato, con sentenza n. 39 del 1959, che il ritardo nella pubblicazione di una legge delegata, quando questa sia stata emanata entro il termine fissato dalla legge di delegazione, non determina l'illegittimità costituzionale della legge medesima, essendo la pubblicazione semplice condizione d'efficacia e non anche requisito di validità. Ed in effetti da una corretta analisi delle finalità dell'art. 73 della Costituzione, si trae il convincimento che la inosservanza del termine non determina un vizio di legittimità costituzionale dell'atto legislativo delegato, pur se detta inosservanza può comportare una responsabilità del Governo sul piano politico ed eventualmente anche conseguenze giuridiche, allorquando la violazione del predetto obbligo abbia causato la lesione di sfere di competenza costituzionalmente garantite.
3. - Nell'ordinanza si prospetta, infine, il dubbio che l'art. 2, secondo comma, lett. d, della legge 15 luglio 1906, n. 327 (a norma del quale per far parte del collegio dei ragionieri é necessario - fra l'altro - avere, dopo ottenuto il diploma, fatto pratica presso un ragioniere durante almeno due anni ed avere superato un esame pratico), contrasti con l'art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento tra diplomati abbienti e non abbienti, e con l'art. 4 della Costituzione, per l'ostacolo che la condizione prevista costituirebbe all'esercizio della professione.
La questione non é fondata sotto alcun profilo.
Invero, il superamento dell'esame pratico ed il periodo di pratica biennale sono imposti indistintamente a tutti coloro che aspirano all'esercizio della professione di ragioniere. Anche se l'assolvimento di tale onere può presentare - in fatto - maggiori difficoltà per i soggetti che versino in situazioni che impongano un immediato svolgimento di attività retribuite, ciò non comporta la violazione del principio di uguaglianza, poiché trattasi di inconvenienti che non possono essere del tutto eliminati, per l'esigenza di pubblico interesse di subordinare, secondo lo spirito dell'art. 33 della Costituzione, al preventivo compimento di un periodo di pratica (risultante da apposite attestazioni) e alla verifica della preparazione tecnica, l'ammissione all'esercizio della professione.
Ed é appena il caso di osservare che la garanzia del diritto al lavoro di cui all'art. 4 della Costituzione non deve essere intesa come un limite che non consenta al legislatore ordinario di imporre, nell'interesse della collettività, particolari condizioni di accesso alle singole professioni. Tale disposizione infatti va coordinata con l'art. 33, quinto comma, della Costituzione, sovra citato, le cui finalità sono proprio quelle di rendere possibile ed effettivo un serio ed oggettivo accertamento dei requisiti attitudinali e tecnici di chi aspira all'esercizio delle professioni suddette (sent. n. 43 del 1972).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale:
dell'articolo unico della legge 28 dicembre 1952, n. 3060, e del decreto legislativo delegato 27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale), in riferimento all'art. 81, ultimo comma, della Costituzione;
del citato decreto legislativo n. 1068, del 1953, in riferimento all'art. 73, ultimo comma, della Costituzione;
dell'art. 2, secondo comma, lett. d, della legge 15 luglio 1906, n. 327, sull'esercizio della professione di ragioniere, in riferimento agli artt. 3 e 4, primo comma, della Costituzione; questioni sollevate dal pretore di Mondovì con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nelle sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 27 marzo 1974.