Sentenza n. 30 del 1959

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SENTENZA N. 30

 

ANNO 1959

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

 

Avv. Giuseppe CAPPI

 

Prof. Tomaso PERASSI

 

Prof. Gaspare AMBROSINI

 

Prof. Ernesto BATTAGLINI

 

Dott. Mario COSATTI

 

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

 

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

 

Prof. Antonino PAPALDO

 

Prof. Nicola JAEGER

 

Prof. Giovanni CASSANDRO

 

Prof. Biagio PETROCELLI

 

Dott. Antonio MANCA

 

Prof. Aldo SANDULLI

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dal Consiglio regionale sardo in data 17 maggio 1957, concernente "Norme sullo stato giuridico, trattamento economico e ordinamento gerarchico del personale dipendente dall'Amministrazione regionale", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri notificato il 19 luglio 1958, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 29 luglio 1958 ed iscritto al n. 22 del Registro ricorsi del 1958.

 

Vista la costituzione in giudizio del Presidente della Regione autonoma della Sardegna;

 

udita nell'udienza pubblica del 4 marzo 1959 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;

 

uditi il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e gli avvocati Egidio Tosato e Pietro Gasparri per la Regione sarda.

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

1. - Il Consiglio regionale della Sardegna nella adunanza del 17 maggio 1957 approvò una legge concernente lo stato giuridico, il trattamento economico e l'ordinamento gerarchico del personale dipendente dall'Amministrazione regionale.

 

Con tale legge, e le allegate tabelle, si intendeva dare una organica e definitiva disciplina alla materia, stabilendo la classificazione del personale, i ruoli organici delle carriere e le relative qualifiche, il sistema di assunzione ed il passaggio del personale di ruolo e non di ruolo dello Stato e degli enti locali nei ruoli regionali, il trattamento economico e la progressione in carriera, il collocamento a riposo ed il trattamento di quiescenza nel personale dipendente dalla Regione.

 

Il Governo della Repubblica, avuta la comunicazione di questa legge, in data 8 luglio 1957 la rinviava ad un nuovo esame da parte del Consiglio regionale sardo ai sensi dell'art. 33 dello Statuto speciale per la Sardegna, per motivi di ordine generale e particolare. I primi si sostanziavano - secondo l'asserto del Governo - nella violazione sia dell'art. 81 della Costituzione, avendo la legge omesso la previsione dei maggiori oneri derivanti dall'aumento degli organici del personale con l'indicazione dei mezzi per farvi fronte, sia della VIII disposizione transitoria della Costituzione, avendo le norme, contenute nel capo primo della legge stessa, statuito come regola generale l'assunzione di personale estraneo alle pubbliche Amministrazioni e come norma eccezionale l'utilizzazione di personale comandato dello Stato e degli enti locali, invertendo il principio stabilito dalla detta norma transitoria della Costituzione. I secondi motivi, quelli di ordine particolare, si sostanziavano - sempre secondo l'asserto del Governo - nella illegittimità degli artt. 5, 17, 20, 37 e 41 della legge regionale suddetta, perché in contrasto con i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato; degli artt. 8, 28, 29, 30 e 31, perché in contrasto con i principi della legislazione statale; dell'art. 10, perché concernente materia di competenza dello Stato. Ciò, oltre ad altri rilievi di carattere particolare e tecnico non aventi rilevanza costituzionale.

 

Il Consiglio regionale, a norma del citato art. 33 dello Statuto regionale sardo, riprendeva in esame la legge nella adunanza del 4 luglio 1958 e, a maggioranza assoluta, la riapprovava nel testo originario.

 

Della nuova approvazione veniva data comunicazione al Governo della Repubblica il 5 luglio 1958.

 

2. - A seguito di ciò, il Presidente del Consiglio dei Ministri, debitamente autorizzato dal Consiglio stesso con delibera del 18 luglio 1958, ha, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, prodotto ricorso a questa Corte avverso la detta legge regionale.

 

Il ricorso fu notificato al Presidente della Regione sarda il 19 luglio 1958, e di esso, per disposizione del Presidente della Corte, fu data notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 6 settembre 1958, n. 216, e nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna del 20 settembre 1958, n. 38.

 

A fondamento del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi di illegittimità costituzionale:

 

1) La legge impugnata, nel suo complesso, e con essa le allegate tabelle degli organici, sarebbe illegittima perché prevede un organico complessivo di 991 unità rispetto alle 415 contemplate dalle precedenti disposizioni in materia, con un aumento quindi di oltre 500 unità, che logicamente comporta nuovi oneri di natura finanziaria ignorati dalla legge stessa sia riguardo all'entità, sia ai mezzi per farvi fronte, in aperta violazione dell'art. 81 della Costituzione.

 

2) Gli artt. 7, 8 e 9 della legge impugnata sarebbero illegittimi per violazione della VIII disposizione transitoria della Costituzione, nonché dell'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto sardo approvate con D.P.R. 19 maggio 1950. Ciò in quanto con i detti articoli della legge regionale si sancisce il principio dell'assunzione in via normale del personale dell'Amministrazione regionale mediante pubblici concorsi aperti a tutti, anziché procedere all'utilizzazione del personale in servizio presso l'Amministrazione dello Stato o gli enti locali in conformità di quanto stabilito dalla suddetta disposizione transitoria, secondo cui le Regioni "per la formazione dei loro uffici devono, tranne che in casi di necessità, trarre il proprio personale da quello dello Stato e degli enti locali", nonché dell'art. 21 delle norme di attuazione sopracitate, che tale principio ribadisce. A quest' ultimo proposito l'Avvocatura dello Stato sostiene che le norme di attuazione dello Statuto sardo hanno carattere di regolamento costituzionale, e pertanto il precetto contenuto nell'art. 21 citato non avrebbe potuto essere modificato con legge regionale ma, "semmai, con altre norme di attuazione da emanarsi con altro decreto legislativo in base alla speciale procedura prevista dall'art. 56 dello Statuto sardo".

 

3) L'art. 8, primo comma, della legge impugnata sarebbe illegittimo anche sotto diverso profilo, perché, disponendo che "i posti vacanti di qualifica non inferiore a direttore di sezione" possono essere ricoperti con personale di ruolo dello Stato o degli enti locali "comandato per un periodo di tempo determinato, non superiore a due anni", violerebbe l'art. 21 delle citate norme di attuazione, che non pone limiti di sorta per il comando presso l'Amministrazione regionale del personale dello Stato e degli enti locali.

 

Altro aspetto di illegittimità sarebbe pure da ravvisare nella disposizione contenuta nel secondo comma dello stesso art. 8, secondo cui "tutti i posti vacanti debbono comunque essere messi a concorso entro due anni dalla vacanza". Per la sua collocazione, che la pone in diretta relazione con la disposizione del primo comma dello stesso art. 8, tale norma, a dire dell'Avvocatura, farebbe presumere che sia consentito il concorso pubblico anche per posti non iniziali di carriera ("non inferiori a direttori di sezione"), in contrasto con le disposizioni di leggi statali espressamente recepite dalla legge impugnata, secondo le quali l'assunzione nei ruoli avviene per le sole qualifiche iniziali di carriera, mentre, per i posti di qualifica superiore, si provvede con il sistema delle promozioni, e di conseguenza, in violazione dell'art. 3 dello Statuto sardo, che esige la conformità della legislazione regionale in materia di stato giuridico del personale con i principi dell'ordinamento dello Stato.

 

4) L'art. 10 della legge impugnata sarebbe illegittimo per violazione degli artt. 100, 103, 104 e 108 della Costituzione e 3 dello Statuto sardo, in quanto prevede che, a far parte delle commissioni giudicatrici dei concorsi per l'ammissione a posti di ruolo dell'Amministrazione regionale, vengano chiamati magistrati di Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Si sostiene che la Regione, con la detta norma, verrebbe ad imporre degli obblighi nei confronti di funzionari dello Stato, e verrebbe quindi ad invadere la sfera di competenza di quest' ultimo, esorbitando dai limiti della potestà legislativa regionale fissati nello art. 3 dello Statuto sardo, che attribuisce alla Regione esclusivamente la materia concernente l'ordinamento dei propri uffici e lo stato giuridico ed economico del proprio personale. A questi rilievi si aggiunge poi quello più specifico, secondo cui, per quanto riguarda i magistrati di Cassazione, e quindi appartenenti all'ordine giudiziario, la norma impugnata sarebbe anche in contrasto con il principio dell'ordinamento giudiziario secondo cui i magistrati non possono essere neppure temporaneamente distolti dalle loro funzioni. Né varrebbe obbiettare che molte leggi conferiscono, invece, ai magistrati funzioni non giurisdizionali, poiché si tratta sempre di leggi statali che avrebbero, quindi come tali, la forza di derogare al richiamato principio dell'ordinamento giudiziario.

 

5) Sarebbe altresì illegittimo l'art. 17 della legge impugnata, in relazione all'art. 67 della legge statale 10 febbraio 1953, n. 62, per violazione dell'art. 3 dello Statuto sardo. Il detto art. 17, istituendo una speciale indennità di servizio regionale nella misura del 40% dello stipendio o della retribuzione a favore del personale regionale, sostitutiva di quella (detta di "primo impianto") già concessa a titolo provvisorio allo stesso personale con la legge regionale 7 dicembre 1949, n. 6, violerebbe l'art. 67 della legge statale n. 62 del 1953 sopra citata, col quale si stabilisce che i dipendenti delle Regioni non possono godere di un trattamento economico più favorevole di quello goduto dal personale statale. Questo principio sarebbe operante anche nei confronti della Regione sarda, benché retta da Statuto speciale, giacché la potestà legislativa attribuita alla Regione stessa deve esercitarsi, a norma dell'art. 3 dello Statuto, in conformità dei principi cui si informa l'ordinamento giuridico dello Stato, tra i quali dovrebbe annoverarsi quello contenuto nell'art. 67 sopra richiamato.

 

Nel ricorso si accenna inoltre, "incidentalmente", alle possibili agitazioni e rivendicazioni che la disparità di trattamento potrebbe provocare, il che concreterebbe un vero e proprio contrasto di interessi tra Stato é Regione, in ordine al quale, peraltro, sarebbero competenti a giudicare le Camere, ai sensi dell'art. 127, ultimo comma, della Costituzione.

 

Dalle riferite considerazioni deriverebbe anche l'illegittimità dell'art. 5 della legge impugnata, che dispone la corresponsione di un'indennità giornaliera aggiuntiva a favore del personale salariato permanente, e dell'art. 37, che attribuisce, a titolo di assegno ad personam, l'eventuale differenza fra il trattamento economico risultante dall'inquadramento nei ruoli regionali ed il trattamento attuale.

 

L'art. 41, che estende l'indennità di servizio regionale al personale della delegazione della Corte dei conti, oltre che illegittimo per gli stessi motivi innanzi esposti, sarebbe contrario all'art. 100 della Costituzione, "mal conciliandosi" la concessione di una indennità, da corrispondersi dall'Ente controllato al personale dell'organo controllante, con il principio dell'assoluta indipendenza della Corte dei conti sancito dalla citata disposizione costituzionale.

 

Anche sotto altro riflesso l'art. 41 sarebbe illegittimo, perché in contrasto con l'art. 3 dello Statuto sardo, dato che il trattamento economico della magistratura esorbitata dalla competenza legislativa regionale, essendo riservato alla potestà legislativa dello Stato.

 

6) L'art. 20, comma primo, della legge impugnata, in relazione all'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto sardo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 1949, n. 250, e alle norme contenute nella legge 11 aprile 1955, n. 379, sarebbe illegittimo per violazione dell'art. 3 dello Statuto sardo. Il detto art. 20 dispone:

 

"Il collocamento a riposo, il diritto a pensione e previdenza, la misura della pensione, degli assegni e delle indennità, la loro riversibilità alle vedove e famiglie del personale dipendente dall'Amministrazione regionale, e quanto altro concerne la materia, sono regolati secondo le norme vigenti per il personale civile dipendente dallo Stato.

 

"A tale fine il personale dipendente dall'Amministrazione regionale é iscritto agli Istituti di previdenza amministrati dalla Direzione generale della Cassa depositi e prestiti, ai sensi dell'art. 21 del decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 1949, n. 250".

 

Si sostiene nel ricorso che il primo comma; innanzi riferito, contrasterebbe con l'art. 21 del citato decreto presidenziale n. 250, in forza del quale il personale della Regione é iscritto agli Istituti di previdenza amministrati dalla Direzione generale della Cassa depositi e prestiti, ed é quindi soggetto alla legislazione speciale per gli iscritti ai predetti Istituti, in base alle norme contenute nella legge 11 aprile 1955, n. 379; e non alle disposizioni vigenti per il personale civile dello Stato. Con ciò l'art. 20 citato sarebbe anche in contrasto con i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, ed esorbiterebbe quindi dai limiti stabiliti dall'art. 3 dello Statuto sardo per l'esercizio della potestà legislativa della Regione.

 

7) Si deduce, infine, nel ricorso, l'illegittimità degli artt. 28, 29 e 30 della legge impugnata, in relazione agli artt. 31 e 43 della stessa legge, che regolano, rispettivamente, l'assunzione nei ruoli regionali del personale dello Stato e degli enti locali comandato presso la Regione, e del personale non di ruolo già in servizio presso la Regione.

 

Negli artt. 28, 29 e 30 si regola l'assunzione nei ruoli regionali dei dipendenti dello Stato e degli enti locali comandati presso la Regione; nell'art. 31 si stabilisce che il personale non di ruolo, comunque assunto o denominato, della Regione é ammesso a sostenere un concorso interno per la sistemazione nel ruolo regionale "con la qualifica non superiore di direttore di sezione, o di primo segretario, o di archivista, rispettivamente per la carriera direttiva, di concetto ed esecutiva, alla quale può accedere in corrispondenza delle funzioni di fatto esercitate con carattere continuativo o in forza del titolo di studio posseduto"; e con l'art. 43 si dispone, infine, che tali concorsi interni "devono essere banditi prima degli inquadramenti, di cui agli artt. 28, 29 e 30, e comunque non oltre quattro mesi dalla promulgazione della presente legge".

 

Con ciò si violerebbero i principi della legislazione statale, secondo cui l'inquadramento degli avventizi deve essere limitato alle qualifiche iniziali o, se mai, alle due prime qualifiche, così come si evince dagli artt. 3, 161, 173, 182 e 190 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati dello Stato approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. La Regione, quindi, avrebbe anche qui ecceduto dai limiti segnati alla propria attività legislativa in materia dall'art. 3 dello Statuto.

 

Nel ricorso pertanto si conclude, chiedendo: "In accoglimento del presente ricorso (e con particolare riferimento al primo mezzo): dichiarare la illegittimità costituzionale della legge regionale sarda 17 maggio 1957 (concernente lo stato giuridico, il trattamento economico e l'ordinamento gerarchico del personale dipendente dall'Amministrazione regionale).

 

"In particolare: dichiarare, quanto meno, la illegittimità costituzionale: degli artt. 2, 3, 4, 5, 8 (escluso l'ultimo comma), 9, 13, 14, 17, 18, 19, 20, 24 (secondo comma), 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44 e 45 della predetta legge impugnata, nonché delle tabelle degli organici, ad essa allegate.

 

"Subordinatamente (con riferimento ai mezzi successivi del ricorso medesimo): dichiarare la illegittimità costituzionale delle disposizioni contenute negli artt. 5, 7, 8, 10, 17, 20, 28, 29, 30, 31, 37 e 43 della stessa legge regionale, 17 maggio 1957 (come sopra impugnata), nonché delle tabelle degli organici della Amministrazione regionale sarda nelle parti riferibili a tali disposizioni di legge.

 

"Con tutte le altre consequenziali pronunce di legge".

 

3. - La Giunta regionale sarda in data 25 luglio 1958 deliberò di resistere al ricorso, e la difesa della Regione, rappresentata dagli avvocati Egidio Tosato e Pietro Gasparri, ha depositato le proprie deduzioni, nella cancelleria della Corte, il 5 agosto 1958.

 

In relazione al primo motivo, concernente la questione di legittimità costituzionale della legge impugnata per violazione dell'art. 81 della Costituzione, la Regione osserva che, "facendo ogni debita riserva riguardo alla questione se il motivo ex art 81 possa essere fatto valere ai sensi dell'art. 33 dello Statuto sardo", é innanzi tutto da escludere che la legge impugnata importi "nuove" spese, perché si tratterebbe solo di una sistemazione e riordinamento dello stato giuridico ed economico dei dipendenti, che non aggiunge un nuovo titolo di spese a quelli già previsti in bilancio al riguardo. L'autorità ricorrente avrebbe poi comunque omesso di dare la necessaria dimostrazione che la legge stessa comporti maggiori spese rispetto a quelle iscritte in bilancio. Aggiunge, in ogni caso, che l'art. 81 si riferisce soltanto a quelle leggi che comportano maggiori oneri rispetto a quelli previsti dal bilancio in corso di esercizio, e richiedono quindi una modifica dello stesso, mentre invece, nel caso di leggi destinate ad avere vigore nel futuro, come quella in esame, "si provvede con le relative leggi approvative dei bilanci annuali".

 

Quanto al secondo motivo concernente la lamentata violazione della VIII disposizione transitoria della Costituzione e dell'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto sardo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 1950, n. 327, per effetto degli artt. 7, 8 e 9 della legge impugnata, la difesa della Regione formula due eccezioni pregiudiziali. Con la prima rileva che tale violazione "difficilmente potrebbe inquadrarsi tra quei motivi di incompetenza che soli possono farsi valere dal Governo ai sensi dell'art. 33 dello Statuto", per cui il motivo di impugnazione sarebbe inammissibile. Con la seconda rileva che l'art. 21 sopracitato non ha natura di norma costituzionale, per cui la Corte costituzionale non potrebbe prendere in esame la questione, che sulla violazione dell'articolo stesso é fondata.

 

Contesta inoltre l'applicabilità nella specie della VIII disposizione transitoria della Costituzione perché per l'attuazione dello Statuto sardo é stato emanato un apposito gruppo di norme che dovrebbe costituire la regolamentazione della materia; e sostiene comunque che le norme transitorie della Costituzione, per la loro natura, fanno riferimento solo al momento iniziale "di primo impianto" dell'organizzazione regionale, per cui al momento attuale, dopo vari anni di esistenza della Regione, dovrebbero ritenersi superate. E d'altra parte, poiché la stessa disposizione transitoria invocata non esclude che "in caso di necessità" la Regione possa avvalersi di personale assunto direttamente, il decidere se sussista o meno tale stato di necessità costituirebbe un giudizio discrezionale della Regione su cui la Corte costituzionale non potrebbe pronunziarsi.

 

Quanto al terzo motivo del ricorso, concernente in particolare l'art. 8 della legge impugnata, la Regione ripropone, in relazione al contrasto fra il primo comma dell'articolo stesso e l'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto sardo, l'eccezione pregiudiziale concernente la natura non costituzionale delle norme stesse, osservando altresì, che tratterebbesi anche qui di apprezzamento discrezionale della Regione, almeno per quanto riguarda il limite di tempo che la norma impugnata pone alla durata del comando. In relazione poi all'assunto contrasto tra il secondo comma dell'art. 8 e le disposizioni di leggi statali concernenti le assunzioni in carriera dei pubblici dipendenti, osserva, pregiudizialmente, che le disposizioni stesse né hanno natura costituzionale, né hanno la portata di principi di ordinamento giuridico dello Stato. Comunque, a parte la considerazione che il principio dell'assunzione nei gradi iniziali non ha carattere assoluto (come si desumerebbe dall'art. 3 T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, sulle disposizioni riguardanti i dipendenti dello Stato), rileva che l'art. 34 della stessa legge chiarisce la portata assolutamente eccezionale della disposizione impugnata, in quanto stabilisce che "i posti di qualifica superiore a quella iniziale rimasti vacanti dopo gli inquadramenti di cui agli articoli precedenti sono coperti mediante promozione...", il che significa che saranno messi a concorso ai sensi dell'art. 8, secondo comma, solo quei posti che, dopo un biennio di vacanza, non risultassero eventualmente coperti mediante promozione.

 

Sul quarto motivo concernente la incostituzionalità dell'art. 10 della legge impugnata, la Regione, pregiudizialmente, osserva che, per quanto riguarda la pretesa violazione delle norme dell'ordinamento giudiziario, deve eccepirsi la natura non costituzionale delle stesse. Sostiene inoltre che, specie in considerazione delle molte eccezioni che soffre il principio secondo cui i magistrati non possono essere distolti dalle loro funzioni, lo stesso non potrebbe ritenersi un principio dell'ordinamento giuridico dello Stato, per cui, anche sotto questo profilo, il motivo sarebbe inammissibile.

 

Nel merito osserva poi che la norma impugnata, la quale riflette una consuetudine legislativa largamente diffusa, richiede solo prestazioni saltuarie o di breve durata, tali da non concretare un ostacolo alla attività normale dei magistrati, e non impone, comunque, nessun obbligo agli stessi, che vengono inclusi nelle commissioni solo in vista della loro specifica competenza tecnica, limitandosi così a fissare soltanto un vincolo per le autorità amministrative regionali, alle quali compete di procedere alla formazione delle commissioni.

 

In relazione al quinto motivo, concernente la lamentata violazione dell'art. 67 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, per effetto dell'art. 17 della legge impugnata, e del conseguente contrasto di quest'ultima norma con l'art. 3 dello Statuto sardo, la Regione, pregiudizialmente, eccepisce l'inammissibilità del motivo, non essendo la citata legge n. 62 una norma costituzionale, e non essendo comunque la stessa riferibile alle Regioni a statuto speciale. Esclude poi che il principio secondo cui i dipendenti delle Regioni non possono godere di un trattamento economico maggiore di quello spettante ai dipendenti dello Stato (sancito nell'art. 67 sopra ricordato) possa rivestire la portata di principio dell'ordinamento giuridico dello Stato, che il legislatore regionale sia tenuto a rispettare ai sensi dell'art. 3 dello Statuto sardo, in quanto limitazioni del genere non sono previste per tutti i pubblici dipendenti, alcune categorie dei quali, anzi, (impiegati degli enti pubblici non territoriali e particolarmente degli enti economici), sono retribuiti in misura maggiore dei dipendenti dello Stato. E ciò anche prescindendo dalla considerazione che la Regione sarda, a norma dell'art. 3 dello Statuto, ha una potestà legislativa "pienamente autonoma" in materia di stato economico dei dipendenti, che non avrebbe senso ove non ricomprendesse la facoltà di stabilire discrezionalmente l'ammontare delle retribuzioni. Osserva poi ad abundantiam che la maggiorazione concessa sarebbe pienamente giustificata dalle particolari condizioni di depressione economica ed eccentricità geografica della Regione, che spiegano l'opportunità di annettere ai posti di lavoro nell'isola particolari vantaggi economici, in conformità del resto alla concessione delle indennità di disagiata residenza "non ignote alla nostra tradizione legislativa".

 

Le suddette argomentazioni la Regione estende anche in relazione all'impugnazione diretta contro l'art. 5 della legge, mentre per l'analoga doglianza mossa in relazione all'art. 37 osserva che tale disposizione riproduce il principio pacifico nella legislazione statale, secondo cui le vicissitudini di carriera degli impiegati non devono in nessun caso portare un peggioramento rispetto alle situazioni economiche acquisite.

 

Circa l'illegittimità dell'art. 41 della legge impugnata, la Regione rileva, innanzi tutto, che compito della delegazione della Corte dei conti in Sardegna non é di sostenere gli interessi dello Stato contro la Regione, ma soltanto di garante il retto uso delle disponibilità finanziarie della Regione, nell'interesse della stessa, per cui l'indennità concessa al personale della delegazione non può costituire motivo di minaccia all'onestà del controllo, ma, se mai, un incentivo al miglior funzionamento, compensando il disagio del distacco da Roma, sede naturale del personale stesso.

 

In relazione al sesto motivo, concernente l'illegittimità dell'articolo 20 della legge impugnata, la Regione sostiene, in linea pregiudiziale, che la disposizione dell'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto regionale sardo, di cui al decreto presidenziale 19 maggio 1949, n. 250, col quale l'art. 20 predetto sarebbe in contrasto, non ha carattere di norma costituzionale, per cui il motivo, sotto tale profilo, sarebbe inammissibile.

 

Aggiunge comunque che l'autonomia riconosciuta alla Sardegna dall'art. 3 dello Statuto, per quanto riguarda la legislazione in materia di stato giuridico ed economico dei suoi dipendenti, ricomprende indubbiamente la materia del trattamento pensionistico e previdenziale, e che tale autonomia non potrebbe in nessun caso essere limitata senza violare lo Statuto.

 

Sostiene poi che l'invocato art. 21 del decreto presidenziale 19 maggio 1949, n. 250, disponendo la iscrizione dei dipendenti regionali ai noti istituti di previdenza, ha solamente inteso disciplinare la gestione delle pensioni spettanti a questo personale, senza con ciò limitare l'autonomia della Regione in relazione all'ammontare delle prestazioni dovute.

 

Sul settimo motivo di ricorso, infine, la Regione obietta che i principi violati, secondo l'autorità ricorrente, dalle norme impugnate non assurgono alla dignità di principi generali dell'ordinamento, e che comunque la Regione, nel predisporre la suddetta disciplina, si é giustamente preoccupata di sistemare innanzi tutto gli impiegati avventizi, assunti fin dai primi anni di funzionamento dell'Ente, ed ha così usato solo della "innegabile" facoltà di "disporre come meglio crede per quanto concerne il reclutamento del suo personale".

 

La difesa della Regione ha quindi concluso chiedendo che la Corte costituzionale, "previo, ove occorra, giudizio incidentale sulla validità costituzionale delle norme di attuazione dello Statuto sardo che si assumono violate, dichiari la inammissibilità dei motivi di impugnativa addotti nel ricorso o, comunque, li riconosca infondati".

 

4. - Sia l'Avvocatura generale dello Stato che la difesa della Regione hanno depositato, rispettivamente il 16 e il 18 febbraio scorso, nella cancelleria della Corte due ampie memorie, nelle quali vengono ripresi in esame ed illustrati i vari punti della causa.

 

In particolare, la difesa della Regione, con riferimento ad alcuni motivi del ricorso, propone la questione della loro inammissibilità sotto il profilo della mancata impugnativa, da parte del Governo, delle analoghe leggi in precedenza emanate in materia dalla Regione.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

1. - Ha rilevato la Corte che i primi due motivi del ricorso hanno importanza fondamentale e portata generale: epperò spiegando i loro effetti, qualora si riconoscessero fondati, su tutto il ricorso, sono assorbenti.

 

Infatti, ove si riconoscesse fondata la violazione dell'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione, denunciata col primo motivo per non essersi indicati, nella legge regionale impugnata, i mezzi per far fronte alle nuove e maggiori spese che la legge stessa comporta, venendo meno le basi finanziarie, essa sarebbe colpita in tutte le sue disposizioni, che hanno per sostrato il trattamento economico, l'inquadramento e lo svolgimento di carriera del personale della Regione. Ove, poi, si riconoscesse fondato il secondo motivo, col quale é stata denunciata la violazione della disposizione VIII delle norme transitorie della Costituzione e dell'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto sardo, di cui al D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, sostenendosi che, salvo casi di necessità, la Regione doveva trarre il proprio personale da quello dello Stato e degli enti locali, é chiaro che cadrebbe ugualmente tutta la legge, non ispirata ad attuare i criteri stabiliti nelle richiamate disposizioni, assorbendo nella sua quasi totalità il personale distaccato o comandato presso la Regione ma tuttora dipendente dalle amministrazioni dello Stato o degli enti locali. A ben considerare, anzi, questo secondo motivo, investendo il criterio fondamentale seguito per la formazione della legge, é preminente rispetto al primo, che ha riguardo alle basi finanziarie dell'ordinamento del personale, che riflette cioè un problema, anch'esso di fondamentale importanza, ma che, tuttavia, va preso in esame dopo la determinazione dei criteri per la formazione dell'organico e la sua attuazione. Questo secondo motivo va quindi per primo esaminato.

 

2. - Ma, per procedere all'esame dei detti due primi motivi del ricorso, bisogna innanzi tutto esaminare due eccezioni pregiudiziali sollevate dalla difesa della Regione, riflettenti l'una entrambi i motivi, l'altra soltanto il secondo motivo.

 

La prima eccezione riguarda i limiti entro i quali il Governo della Repubblica é abilitato ad impugnare le leggi regionali sarde, a norma dell'art. 33 dello Statuto speciale.

 

Stabilisce l'art. 33, in modo analogo a quanto é stabilito nell'art. 127 della Costituzione: "Ogni legge approvata dal Consiglio regionale é comunicata al Governo della Repubblica e promulgata trenta giorni dopo la comunicazione, salvo che il Governo non la rinvii al Consiglio regionale col rilievo che eccede la competenza della Regione o contrasta con gli interessi nazionali". E il secondo comma soggiunge: "Ove il Consiglio regionale l'approvi di nuovo a maggioranza assoluta dei suoi componenti, é promulgata se, entro quindici giorni dalla nuova comunicazione, il Governo della Repubblica non promuove la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale o quella di merito per contrasto di interessi davanti alle Camere". La difesa della Regione fa leva sul concetto di "incompetenza" espresso nel primo comma dell'articolo, a proposito del rinvio della legge per nuovo esame al Consiglio regionale da parte del Rappresentante del Governo, per restringere entro i limiti di tal concetto sia la potestà del Rappresentante del Governo, che quella di impugnativa per illegittimità costituzionale dinanzi a questa Corte. In particolare afferma che, tanto la violazione dell'art. 81, quanto quella della VIII disposizione transitoria della Costituzione, non potrebbero configurarsi come casi di eccesso da parte della Regione dai limiti della potestà legislativa che ad essa compete in materia di ordinamento degli uffici e stato giuridico ed economico del personale (art. 3, lett. a, dello Statuto speciale), per cui dovendosi la facoltà di impugnativa spettante al Governo ritenere limitata ai soli motivi d'"incompetenza", il ricorso sarebbe, sotto i cennati profili, inammissibile. Ma devesi rilevare che tale argomentazione é priva di giuridico fondamento, e che la potestà di rinvio data al Rappresentante del Governo e la correlativa potestà di impugnativa per illegittimità costituzionale spettante al Governo hanno pari e non limitata estensione.

 

Giova notare che per "competenza" legislativa attribuita alla Regione deve intendersi la sfera entro la quale la stessa può legiferare, sfera che trova i suoi limiti nelle stesse norme costituzionali attributive della potestà. Nel caso quindi della Regione sarda tali limiti vanno ricercati nell'art. 3 dello Statuto che, in relazione al disposto dell'art. 116 della Costituzione, attribuisce forme e condizioni particolari di autonomia alla Regione medesima, disponendo: "In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie...". É pertanto da ritenere che la Regione ecceda dalla propria competenza non solo ogni qualvolta legiferi in materie non comprese nella specifica elencazione contenuta nell'art. 3, ma altresì ogni volta che, nell'esercizio della propria funzione legislativa, superi i limiti di carattere generale stabiliti nell'art. 3 citato, e detti, quindi, norme contrastanti o con la Costituzione, o con i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato. E ciò, in forza di un principio generale e comune, vale tanto rispetto alla potestà di rinvio del Rappresentante del Governo al Consiglio regionale, quanto per l'impugnativa di legittimità costituzionale promossa dal Governo dinanzi alla Corte costituzionale.

 

Del resto, per quanto attiene a questa impugnativa, il carattere generale di essa é già stato affermato con la sentenza di questa Corte del 27 febbraio 1957, n. 38, riconducendosi tal carattere alla norma fondamentale dell'art. 134 della Costituzione, anche rispetto all'esame della questione di legittimità costituzionale di leggi regionali e con riferimento all'art. 127 della Costituzione. Osservò, infatti, la Corte che non "può ritenersi che la formula adoperata nel ricordato art. 134 sia tale da lasciar fuori qualche parte della materia, e che, per esempio, la competenza della Corte costituzionale a conoscere della questione di legittimità delle leggi regionali, di cui é parola nell'ultimo comma dell'art. 127, debba intendersi come una competenza particolare, aggiunta a quella generale e comprensiva dell'art. 134, e non già specificazione di questa" (v., da ultimo, sentenza n. 11 del 9 marzo 1959, che a quella citata n. 38 del 1957 si riporta).

 

L'eccezione pregiudiziale sopra accennata deve quindi ritenersi infondata.

 

3. - La seconda eccezione pregiudiziale sollevata dalla difesa della Regione riguarda invece, come si é detto, il secondo motivo del ricorso, pure essendo stata riproposta anche rispetto ad altri successivi motivi.

 

La difesa della Regione osserva che la legge impugnata non é la prima con la quale la Regione sarda abbia previsto l'assunzione di personale per via diversa da quella del "comando". Già nella legge regionale 5 maggio 1953, n. 19, si trova l'autorizzazione della Giunta di assumere personale avventizio e di emanare "con apposita legge regionale" delle "norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale dell'Amministrazione regionale". Sostiene, quindi, che era già chiara, in quella legge, la volontà della Regione di avere personale proprio e di ruolo, non potendosi l'assunzione di avventizi considerare che come una soluzione provvisoria, in attesa che con la prevista legge fossero stabilite, fra l'altro, le modalità per i concorsi per l'assunzione in ruolo. Ora la legge del 1953 non fu impugnata dal Governo della Repubblica, mentre contro di essa si sarebbero ben potute far valere le argomentazioni ora fatte valere contro la legge 17 maggio 1957. Pertanto la mancata impugnazione della legge del 1953, per il motivo in esame, potrebbe configurarsi come una acquiescenza, preclusiva della ammissibilità di tale motivo nel giudizio attuale.

 

Ma anche questa eccezione non ha giuridico fondamento. Già, con sentenza del 7 marzo 1957; n. 44, questa Corte ha posto in luce come, dato lo speciale carattere e lo scopo dei giudizi di legittimità costituzionale, anche quando essi siano proposti in via principale, non possano avere rilievo istituti, come quelli dell'inammissibilità del ricorso per acquiescenza o per il carattere confermativo del provvedimento impugnato, quali sonò stati specialmente elaborati dalla giurisprudenza amministrativa. E con la successiva sentenza 7 luglio 1958, n. 54, ha ritenuto che é ammissibile l'impugnazione di una legge regionale che abroga o modifica leggi precedentemente emanate dalla stessa Regione ma non impugnate dallo Stato, quando la nuova legge si presenti formalmente autonoma rispetto alla precedente. Nel caso in esame é agevole rilevare che la legge impugnata, se pure sostanzialmente riguarda la stessa materia della legge regionale del 1953, ha però ben diversa estensione ed importanza e apporta alla precedente legge non poche modifiche.

 

4. - Prendendo occasione dalle disposizioni degli articoli 7, 8 e 9 della impugnata legge regionale, che stabiliscono l'assunzione nei posti attraverso concorsi esterni, si deduce nel ricorso, come si é visto, col secondo motivo, la violazione della disposizione VIII delle norme finali e transitorie della Costituzione e dell'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto sardo approvato con D.P.R. del 19 maggio 1950, n. 327.

 

Nel ricorso si spiega che tal sistema di attuazione indica l'intenzione del legislatore sardo di costituire, normalmente, l'organico del proprio personale con l'assunzione di nuovi elementi, anziché procedere alla utilizzazione, per assorbimento, del personale in servizio presso l'Amministrazione dello Stato o presso gli enti locali. Tale principio programmatico é in netto contrasto con la disposizione VIII delle norme transitorie della Costituzione. Infatti, la prima parte dell'ultimo comma di quella disposizione stabilisce che le leggi della Repubblica debbono regolare il passaggio alla Regione di funzionari e dipendenti dello Stato, come conseguenza necessaria dell'attuazione del nuovo ordinamento, vale a dire del passaggio di determinati servizi statali alla Regione. Soggiunge, poi, la seconda parte della disposizione medesima: "Per la formazione dei loro uffici le Regioni devono, tranne che in caso di necessità, trarre il proprio personale da quello dello Stato o degli enti locali". E l'art. 21 delle ricordate norme di attuazione, riproducendo la disposizione, ribadisce: "Per la formazione dei propri uffici e per il funzionamento di quelli che vengono trasferiti dallo Stato alla Regione, quest' ultima si avvarrà, tranne che nei casi di necessità, del personale di ruolo dell'Amministrazione dello Stato e degli enti locali". Si osserva nel ricorso che queste disposizioni sarebbero state determinate da due esigenze, apparentemente diverse, ma aventi identica finalità, qual'é la utilizzazione del personale già in servizio. Il trasferimento alla Regione di servizi statali postula, innanzi tutto, il correlativo passaggio dei dipendenti statali addetti ai servizi medesimi, così come avviene, nell'ambito delle stesse amministrazioni statali, nel caso del passaggio di un determinato ufficio o servizio da un Ministero all'altro. In secondo luogo, trattandosi di nuove amministrazioni, le Regioni hanno bisogno, nei limiti della loro struttura, di personale idoneo, e perciò tratto da quello dello Stato e degli enti locali, anche al fine di evitare che si formino i quadri con personale improvvisato o inesperto.

 

Secondo quanto é affermato nel ricorso, nella legge in esame si sarebbe capovolto il precetto contenuto nella disposizione VIII della Costituzione e nella ricordata norma di attuazione dello Statuto, stabilendosi in via normale, anziché solo in caso di necessità, l'assunzione di personale estraneo alle pubbliche amministrazioni, e in via eccezionale la utilizzazione del personale comandato dello Stato e degli enti pubblici.

 

Si afferma poi, nel ricorso stesso, che le norme di attuazione hanno efficacia di "regolamento costituzionale", e pertanto il precetto contenuto nell'art. 21 delle medesime non avrebbe potuto essere violato o disatteso con disposizioni unilaterali di legge regionale, ma, se mai, per eventuali deroghe si sarebbe dovuto provvedere con altre norme di attuazione, da emanarsi con decreto legislativo in base alla speciale procedura prevista dall'art. 56 dello Statuto sardo.

 

5. - Per quanto concerne la disposizione VIII della Costituzione, la difesa della Regione rileva, peraltro, che si tratta di norma la cui applicabilità alla Regione sarda sarebbe contestabile. In via più generale, osserva che si tratterebbe di norma dettata solo in considerazione delle istituende Regioni ad autonomia ordinaria, quale non può essere invocata in confronto ad una Regione ad autonomia speciale, tanto più che la materia é stata regolata, rispetto a quella, con apposita norma di attuazione. La norma di attuazione avrebbe, poi, valore di legge ordinaria e non costituzionale, sicché la sua violazione non potrebbe dar luogo a questione di legittimità costituzionale.

 

L'assunto circa il carattere particolare e la portata ristretta della disposizione VIII si appalesa privo di giuridico fondamento ove si rifletta al contenuto sostanziale della disposizione e al suo collocamento nella Carta costituzionale.

 

É del tutto logico e risponde ad una pratica necessità senza potersi distinguere fra Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto ordinario - che nella prima loro costituzione le Regioni tutte debbano servirsi, in massima parte, di personale già esperto, epperò già appartenente o alle amministrazioni dello Stato o a quelle degli enti locali. La disposizione in parola ha quindi portata generale, senza potersi distinguere fra le une o le altre Regioni. Se il legislatore costituente avesse voluto dettare una norma valevole solo per le Regioni a statuto ordinario, in modo diretto o indiretto lo avrebbe detto, così come ha fatto nel corpo della Costituzione, distinguendo le norme relative alle Regioni a statuto speciale da quelle relative alle altre Regioni.

 

6. - Circa la natura delle norme di attuazione degli statuti regionali, é da ricordare che questa Corte già ebbe ad esaminare la questione con la sentenza del 29 giugno 1956, n. 20. La Corte escluse che si trattasse di semplici regolamenti, nel senso proprio dei regolamenti amministrativi, e ciò sia per la loro sostanza, sia, conseguentemente, per la forma da esse rivestita. Rilevò la Corte che non sono norme di mera esecuzione degli statuti, giacché se tali avessero dovuto essere, sarebbe forse bastata, per molte di esse, la forma del regolamento esecutivo; ma esse si differenziano dal regolamento che contenga disposizioni di mera esecuzione di una legge per la finalità che é facilmente in esse riscontrabile. Se la loro finalità - notò la Corte - é quella non già di stabilire semplicemente, come in un regolamento, quelle disposizioni più dettagliate che occorrono per la esecuzione della legge, ma di porre, ove necessario, disposizioni di carattere sostanziale, anche per le relazioni fra lo Stato e la Regione, per l'"attuazione" dello Statuto di questa, si spiega il carattere e la veste legislativa che esse hanno e non il carattere e la forma del semplice decreto regolamentare.

 

Hanno dunque valore di legge, e per alcuni statuti, come per quello sardo, é prevista la loro compilazione da parte di una commissione paritetica e occorre sentire il parere di alcuni organi regionali. Sia per ragioni formali che per ragioni sostanziali, esse si pongono dunque su un piano diverso e superiore rispetto alle leggi da emanare nelle materie da esse regolate; ma non per questo si può ad esse attribuire il carattere di leggi costituzionali.

 

Nel caso in esame norma indubbiamente di carattere costituzionale é la disposizione VIII della Costituzione. Peraltro l'aver riprodotto nell'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto sardo, di cui al ricordato D.P.R. 19 maggio 1950, la disposizione VIII della Costituzione non fa certamente perdere alla norma di questa il suo carattere costituzionale, giacché la norma della Costituzione rimane pur sempre in questa, così com'é, col suo carattere costituzionale e con la efficacia ad essa insita.

 

7. - Altro problema - e ciò tocca il punto decisivo del motivo dedotto col ricorso - é vedere se la disposizione della Costituzione e la norma di attuazione abbiano natura ed efficacia di norma transitoria o permanente; e se, nel caso che si riconosca alla disposizione della Costituzione la natura di norma transitoria, abbia anche tale natura la disposizione dell'art. 21 delle citate norme di attuazione, ovvero se essa, riportandosi nel detto articolo alla disposizione VIII della Costituzione, abbia, con ciò, acquistato carattere definitivo, e cioè efficacia permanente.

 

La disposizione VIII della Costituzione é inserita fra le disposizioni transitorie e finali: il collocamento suo, quindi, non é indicativo, per se stesso, del carattere della norma, che avrebbe potuto essere stata collocata alla fine della Carta costituzionale sia quale norma finale, dato il suo contenuto, sia quale norma transitoria. I lavori preparatori invece ci indicano - con estrema chiarezza - quale é stata l'intenzione dei costituenti nel dettare la disposizione. Fu infatti osservato, in seno all'Assemblea costituente, che il numero degli impiegati dello Stato o degli enti locali era esuberante, rispetto alla necessità dei servizi, e che quindi bisognava utilizzare questi impiegati, già esperti di amministrazione, nella costituzione delle amministrazioni regionali. La proposta, del tutto ragionevole, ed anche indirizzata a portare un contributo al problema dello sfollamento degli impiegati, fu accettata, ma nel senso che "il precetto di ricorrere, tranne casi eccezionali, soltanto a chi é già impiegato dello Stato e degli enti locali può valere per la prima istituzione della Regione. Ma quando essa funzioni già da tempo, non vi é più ragione di un precetto così assoluto". Si decise, quindi, di inserire la norma fra le "disposizioni transitorie" (Resoconti dell'Assemblea costituente, p. 5892).

 

Se bisogna, dunque, convenire che la disposizione VIII della Costituzione ha carattere transitorio, non diverso carattere si deve riconoscere all'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto sardo 19 maggio 1950, nonostante che tale articolo sia stato inserito non nella parte finale di queste norme, ma nel corpo di esse. Il carattere, infatti, di norma transitoria si deduce non tanto e soltanto dalla sua derivazione - e cioè da una norma transitoria della Costituzione - quanto dal suo contenuto. Stabilisce l'art. 21: "Per la formazione dei propri uffici e per il funzionamento di quelli che vengono trasferiti dallo Stato alla Regione, quest' ultima si avvarrà, tranne nei casi di necessità, del personale di ruolo dell'Amministrazione dello Stato e degli enti locali". Ora la "formazione" degli uffici é cosa che si realizza con la costituzione di essi e al momento dell'inizio del loro funzionamento; il "trasferimento" degli uffici dallo Stato alla Regione, per effetto di trasferimento di attività in base ad attribuzione di determinate competenze alla Regione, avviene nel momento del passaggio degli uffici o servizi. Quindi il contenuto della norma e la sua finalità convincono del carattere transitorio di essa. D'altra parte, se il servirsi, per la costituzione e il primo funzionamento dell'Ente Regione, di impiegati dello Stato e degli enti locali, già esperti dei servizi, era una inderogabile necessità, pur nominando la Regione alcuni impiegati suoi propri, cessa tale necessità quando l'Amministrazione regionale é da tempo costituita. Si spiega, dunque, il graduale passaggio di questi impiegati nei ruoli organici regionali, pur rimanendo alcuni funzionari dello Stato nella veste di comandati presso la Regione, e collocandosi accanto agli uni ed agli altri funzionari presi all'esterno, propri dell'Ente Regione.

 

8. - La conclusione cui giunge la Corte, e che consiglia di disattendere il secondo motivo del ricorso, al quale non si può riconoscere pieno fondamento, é, d'altra parte, conforme al sistema delle leggi stabilito per la Regione sarda. Rilevante, in proposito, é il disposto dell'art. 20 delle altre norme di attuazione dello Statuto speciale, di cui al D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250, col quale espressamente si stabilisce che é bensì obbligatorio il pubblico concorso per l'assunzione in carriera degli impiegati amministrativi e tecnici, ma sempre quando la Giunta regionale non ravvisi la possibilità di provvedere con personale comandato appartenente ad uffici statali o ad enti locali. Ed inoltre: per la concreta organizzazione dei propri uffici, quindi in modo diretto ai fini della formazione delle piante organiche del personale proprio, é da considerare la previa applicazione del disposto dell'art. 42 dello stesso Statuto speciale, che stabilisce che la Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole agli enti locali e valendosi dei loro uffici. É di tutta evidenza perciò che, in applicazione di tale categorico precetto, il numero degli impiegati che possono andare a formare gli organici propri dell'ente Regione deve essere determinato tenuto conto del preventivo regolamento della delegazione di funzioni agli enti locali e della utilizzazione degli uffici di questi ultimi.

 

9. - Se, per le esposte ragioni, non può essere accolto il secondo motivo del ricorso - che, come innanzi si é accennato, era preliminare, anche rispetto al primo, e sarebbe stato assorbente - ritiene la Corte che fondato sia invece il motivo primo.

 

La difesa della Regione ammette che l'osservanza della norma fondamentale dell'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione sia una condizione di legittimità costituzionale anche per le leggi regionali; e, del resto, ciò é stato riconosciuto da questa Corte (v. sentenze 25 febbraio 1958, n. 9; 14 luglio 1958, n. 54, e, da ultimo, 9 marzo 1959, n. 11); ma afferma anche - ed é innegabile - che la norma dell'art. 81 non può avere per le Regioni una portata diversa e più rigorosa di quella che essa ha nei confronti dello Stato. E in particolare, richiamandosi appunto a questa riserva, osserva che la legge regionale impugnata importa semplicemente una sistemazione e un riordinamento dello stato giuridico ed economico dei dipendenti della Regione; che non si tratta di un nuovo titolo di spesa; che per il suo meccanismo e per le modalità della sua attuazione non determina nuove e maggiori spese; che l'indicazione dei mezzi di copertura delle nuove o maggiori spese, richiesta dall'art. 81, riguarda soltanto le nuove o maggiori spese che incidano sul bilancio in corso; che, infine, "se poi la legge stessa comporti delle spese maggiori, é cosa che rimane da dimostrare e la cui dimostrazione incombe alla autorità ricorrente".

 

Quest' ultima affermazione non può essere accettata. L'ultimo comma dell'art. 81 stabilisce che la legge stessa che comporta nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte. L'obbligo di soddisfare a questo precetto costituzionale ricade su chi propone la legge, sia questa di iniziativa governativa, sia di iniziativa parlamentare.

 

Né si può assumere che mancando nella legge ogni indicazione della così detta "copertura", cioé dei mezzi per far fronte alla nuova o maggiore spesa, si debba per questo solo fatto presumere che la legge non implichi nessun onere o nessun maggiore onere. La mancanza o la esistenza di un onere si desume dall'oggetto della legge e dal contenuto di essa. Anche se per una maggiore spesa non occorra trovare una nuova copertura, in quanto essa può rientrare nel capitolo normale del bilancio in corso, nel senso che nel capitolo vi é capienza per l'aumento di spesa, pure é necessario, per soddisfare al precetto dell'art. 81, che la legge contenga la menzione che per la spesa si farà fronte con la somma già iscritta in bilancio al capitolo espressamente nominato; e se alla nuova o maggiore spesa non é necessario trovare una copertura a parte, extrabilancio, ma vi sia, nel bilancio, un capitolo o dei capitoli che offrano una eccedenza di stanziamento che si possa destinare alla nuova o maggiore spesa, si procederà ad una riduzione delle somme assegnate a quei capitoli, con lo "storno", e all'assegnazione della differenza a nuovi capitoli o a capitoli esistenti, ma occorre sempre nella legge, per soddisfare al precetto dell'art. 81, che si faccia menzione dello storno e, ancora, con apposita disposizione, nella legge stessa, che sia data autorizzazione al Ministro del tesoro di apportare al bilancio le debite variazioni, e queste poi debbono essere inserite in apposita legge.

 

Non può, poi, seguirsi la difesa della Regione quando afferma che la legge in esame non importa nuove o maggiori spese, ma semplicemente una sistemazione e un riordinamento dello stato giuridico ed economico degli impiegati della Regione. Che non si tratti di un nuovo "titolo" di spesa, nel senso che si tratta pur sempre di spesa per i dipendenti della Regione, si può ammettere; ma dall'esame delle disposizioni della legge e delle numerose sue tabelle - che della legge fanno parte integrante - apertamente appare che un aumento di spesa, e notevole, vi é. Ciò é ammesso dalla stessa difesa della Regione. Nel ricorso del Presidente del Consiglio si afferma, infatti, che la legge, con le tabelle, prevede un organico complessivo di 991 unità rispetto alle 415 contemplate dalle precedenti disposizioni in materia. Se anche non si vogliano ammettere tali cifre - e la conseguente differenza numerica di aumento del personale con relativo nuovo o maggiore onere -, non si può non ammettere quanto la difesa stessa della Regione dichiara: "In realtà il personale attualmente in servizio presso la Regione é costituito da 687 unità; e poiché l'organico completo approvato con la legge impugnata prevede 921 unità, l'aumento é di solo 234 unità: la metà dunque, o poco più, di quanto l'Avvocatura dello Stato ritiene; e appena poco più di un terzo rispetto alla consistenza attuale". Un notevole aumento numerico del personale vi é dunque, con conseguente maggiore onere, del quale non é stata dimostrata la copertura. Né vale opporre che non vi é nessun onere in quanto il nuovo personale sarebbe assunto solo in avvenire. A parte che si tratta di una affermazione, estranea al contesto della legge impugnata, priva di qualsiasi dimostrazione, é da notare che tutte le leggi che contemplano un riordinamento del personale o stabiliscono un nuovo organico, regolano le carriere e fissano nuove tabelle, anche quando si preveda che le disposizioni adottate vengano attuate in tempi successivi, contengono sempre la indicazione delle basi finanziarie per la loro esecuzione. Il Presidente della Regione nel riferire nella riunione della Giunta regionale del 25 luglio 1958 (v. verbale in atti) sulla proposta di resistere al ricorso prodotto a questa Corte dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ebbe ad affermare che "anche la legge nazionale sull'ordinamento delle carriere del personale civile dello Stato (D.P.R. 11 gennaio 1956, n. 16) non contiene, perché non poteva, alcuna previsione di maggiori oneri conseguenti all'applicazione della legge medesima". Ma l'affermazione non é esatta: il D.P.R. 11 gennaio 1956 é una legge delegata; la legge 20 dicembre 1954, n. 1188, con la quale veniva concessa al Governo la delega per l'emanazione delle norme relative al nuovo statuto degli impiegati dello Stato, contiene l'art. 12, che reca un complesso di disposizioni riguardanti la copertura della spesa della emananda legge delegata. Le stesse leggi regionali sarde precedentemente emanate in materia contengono - e non poteva essere altrimenti - la disposizione riguardante la copertura, in ossequio al precetto dell'art. 81 della Costituzione: basta citare, per tutte, l'art. 7 della già ricordata legge regionale 5 maggio 1953, n. 19 - che é la più importante -, contenente modifiche agli organici dell'Amministrazione regionale e disciplina delle assunzioni del personale avventizio, ed alla quale, come per la legge ora in esame, sono allegate le tabelle del personale attribuito alla Presidenza della Giunta regionale ed ai vari Assessorati.

 

10. - Maggiore attenzione meriterebbe la questione sollevata dalla difesa della Regione - sempre a proposito dell'applicazione dell'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione - se il precetto costituzionale riguardante l'obbligo della indicazione della copertura riguardi soltanto quella parte delle nuove o maggiori spese che incidono sul bilancio in corso od anche, oltre questa parte, anche quella che va a ricadere - naturalmente per effetto diretto della legge stessa - sul bilancio successivo od anche, eventualmente, su quelli futuri. La difesa della Regione abbraccia e difende la prima tesi e si riporta ad una tendenza che ebbe, in tal senso, a manifestarsi, subito dopo l'entrata in vigore della Costituzione, ad opera di alcuni parlamentari, presso alcuni organi legislativi, per facilitare l'iniziativa parlamentare nella proposizione dei progetti di legge, e venne anche condivisa in qualche pronuncia dall'Alta Corte per la Sicilia. Sulla fondatezza di questa tesi furono però subito sollevati forti dubbi, di cui si fa eco, nella presente causa, l'Avvocatura generale dello Stato, la quale osserva che "l'esigenza del rispetto del precetto di cui all'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione sembra che sia ancora maggior mente sentita quando si tratta di nuove o maggiori spese sicure che impegneranno i bilanci dello Stato e delle Regioni per un numero imprecisato ed imprecisabile di anni. Colui a cui fa carico un onere continuativo devesi ritener certamente più aggravato di colui che deve adempiere certe obbligazioni una tantum". Queste ed altre più gravi ragioni potrebbero militare a favore della tesi contraria a quella sostenuta dalla difesa della Regione; ma, ai fini del presente ricorso, é frustrano soffermarsi sull'una o sull'altra tesi, dato che, nella legge in esame, nemmeno per l'esercizio in corso al tempo dell'emanazione della legge stessa sono stati indicati i mezzi per far fronte alle nuove o maggiori spese da essa derivanti.

 

Ciò é sufficiente per l'accoglimento del motivo, il quale riguardando, come già innanzi si é notato, la base fondamentale della legge, qual’è quella finanziaria, la investe tutta, e perciò non é necessario scendere all'esame degli altri motivi proposti.

 

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

respinge le eccezioni pregiudiziali sollevate dalla difesa della Regione;

dichiara la illegittimità costituzionale della legge approvata dal Consiglio regionale sardo in data 17 maggio 1957, concernente "Norme sullo stato giuridico, trattamento economico e ordina mento gerarchico del personale dipendente dall'Amministrazione regionale", in riferimento all'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 aprile 1959.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI  - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI.

 

Depositata in cancelleria il 18 maggio 1959.