Sentenza n. 207 del 1983

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SENTENZA N. 207

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 31, comma primo, nn. 4 e 5, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento della professione di ragioniere e di perito commerciale) promossi con le ordinanze emesse il 29 maggio 1976 dal Tribunale di Pistoia e il 20 gennaio 1978 dalla Corte d'appello di Cagliari, rispettivamente iscritte al n. 559 del registro ordinanze 1976 e al n. 238 del registro ordinanze 1978 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 260 del 1976 e n. 172 del 1978.

Visto l'atto di costituzione del Consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali;

udito nell'udienza pubblica del 25 gennaio 1983 il Giudice relatore Livio Paladin;

udito l'avv. Vittorio Mandel, per il Consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali.

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 29 maggio 1976, il Tribunale di Pistoia, su eccezione dei costituiti organi professionali, ha sollevato questione di legittimità costituzionale - in riferimento all'art. 33, quinto comma, della Costituzione - dell'art. 31, primo comma, nn. 4 e 5, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 "in quanto non vi é prevista" - come precisa il dispositivo dell'ordinanza stessa - "la necessità dell'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale anche nei confronti degli abilitati all'insegnamento della ragioneria negli istituti tecnici commerciali".

L'ordinanza assume che (in attesa della regolamentazione preannunciata dallo stesso decreto 1068 del 1953) il legislatore abbia voluto imporre la speciale abilitazione professionale ai soli diplomati in ragioneria, correlativamente esentandone - anche se per implicito - gli abilitati all'insegnamento della ragioneria medesima. In tal senso varrebbe la lettera dell'art. 31 n. 4 del nuovo ordinamento del 1953 (che prevede come requisiti autonomi ed alternativi per l'iscrizione all'albo il compimento del "corso di studi" negli istituti tecnici - commerciali oppure il possesso dell'abilitazione "all'insegnamento della ragioneria in detti istituti") e del successivo n. 5 dello stesso articolo (che riferisce la necessità del conseguimento dell'abilitazione professionale soltanto a chi abbia compiuto il "corso di studi" predetto).

Ma l'aver equiparato l'abilitazione all'insegnamento e l'abilitazione professionale, secondo il giudice a quo violerebbe l'art. 33, quinto comma, della Costituzione, là dove esso prescrive a quest'ultimo fine un apposito "esame di Stato".

2. - Identica questione é stata altresì sollevata dalla Corte d'appello di Cagliari, con ordinanza del 20 gennaio 1978.

Anche in tal caso, il giudice a quo procede dalla ricordata interpretazione restrittiva dell'art. 31 n. 5 del d.P.R. 1068 del 1953: in contrasto con la tesi sostenuta dal Tribunale di Cagliari, che aveva invece ritenuto necessario l'esame di Stato per gli stessi abilitati all'insegnamento della ragioneria. E da tale assunto l'ordinanza desume che la norma impugnata contrasterebbe sia con le decisioni adottate in materia da questa Corte sia con l'art. 33, quinto comma, della Costituzione.

3. - Nel giudizio relativo all'ordinanza del Tribunale di Pistoia si é costituito il Consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali, asserendo che la proposta questione sarebbe stata già risolta dalla Corte, nel senso della non fondatezza, con la sentenza n. 43 del 1972; e ciò sul presupposto che la retta interpretazione della norma impugnata, in relazione all'art. 2 lett. d della precedente "legge sull'esercizio della professione di ragioniere" n. 327 del 1906, farebbe ritenere tuttora vigente, in assenza della nuova disciplina prevista dal decreto 1068, l'obbligo della speciale abilitazione professionale per tutti coloro che, in possesso dei titoli di studio richiesti, intendano esercitare la professione della quale si tratta. Per altro, di fronte al persistere di un'interpretazione difforme da quella accolta nella citata sentenza, si renderebbe necessario - ad evitare ogni incertezza sulle norme da applicare - che la Corte dichiari l'illegittimità della norma in questione, nei limiti indicati dall'ordinanza di rinvio.

Nel medesimo senso il Consiglio ha concluso mediante una memoria depositata in vista dell'attuale udienza, in cui si mette in luce il divario esistente fra l'accertamento della preparazione teorica dei candidati, effettuato ai fini dell'abilitazione all'insegnamento della ragioneria, e la verifica delle "capacità di applicare in pratica le cognizioni teoriche offerte dalla ragioneria e dalle discipline con essa collegate", occorrente ai fini dell'abilitazione professionale. In linea subordinata, però, il Consiglio invita questa Corte a dichiarare, con sentenza interpretativa, "accettabile e corretta... la soluzione ermeneutica che esclude dalla iscrizione all'albo gli abilitati all'insegnamento", chiarendo che la mancata menzione di essi nell'art. 31 n. 5 non implicherebbe alcun esonero dall'esame di Stato. E, prima ancora, nella citata memoria si chiede che la Corte "disponga per l'assunzione di informazioni presso il Ministero di grazia e giustizia al fine di conoscere il parere di quel Dicastero e di accertare se, in particolare, quell'Ufficio legislativo, interpellato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, abbia espresso in data 10 marzo 1978 il parere che l'abilitazione all'insegnamento della ragioneria negli Istituti tecnici e commerciali... non può ritenersi equivalente all'esame per l'abilitazione all'esercizio professionale...".

Considerato in diritto

1. - Va disposta la riunione dei giudizi instaurati dal Tribunale di Pistoia e dalla Corte d'appello di Cagliari, data l'identità delle questioni di legittimità costituzionale che tali giudici hanno sollevato.

Entrambe le ordinanze procedono, infatti, dalla premessa che l'art. 31, primo comma, nn. 4 e 5, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 ("Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale"), pur non avendo abrogato la disciplina dettata in materia di abilitazione professionale dall'art. 2 della legge n. 327 del 1906, valga senz'altro ad esentare dall'obbligo della pratica biennale e dal superamento dell'apposito esame gli abilitati all'insegnamento della ragioneria negli istituti tecnici - commerciali. Ed entrambi i giudici ne desumono un motivo di contrasto fra le disposizioni denunciate e l'art. 33, quinto comma, della Costituzione, là dove si prescrive "un esame di Stato... per l'abilitazione all'esercizio professionale".

2. - Come già si é ricordato in narrativa, il costituito Consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali ha preliminarmente contestato l'interpretazione dalla quale muovono i giudici a quibus. Mediante una memoria depositata alla vigilia della pubblica udienza, la difesa del Consiglio ha anzi avanzato formale richiesta, affinché la Corte acquisisca, "in via istruttoria", l'avviso del Ministero di grazia e giustizia e - più precisamente - un parere dell'Ufficio legislativo del Ministero stesso, interpellato in proposito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

Ma una domanda del genere non può essere accolta, dal momento che i mezzi istruttori utilizzabili nei giudizi sulla legittimità costituzionale delle leggi, in applicazione dell'art. 13 della legge n. 87 del 1953 e dell'art. 12 delle Norme integrative del 16 marzo 1956 giovano allo scopo di conoscere dati od elementi di fatto, non già per stabilire in qual modo si debba interpretare la disciplina impugnata (o per surrogare - come, in sostanza, si vorrebbe nella specie - il mancato intervento del Presidente del Consiglio dei ministri).

3. - Ciò posto, però, anche questa Corte é dell'avviso che alle disposizioni in esame non si possa attribuire il senso configurato e censurato dai giudici a quibus.

L'oggetto specifico delle presenti impugnative, vale a dire l'art. 31, primo comma, n. 5, del d.P.R. n. 1068 del 1953, si risolve infatti nel preannuncio che il "termine" e le "modalità" dell'abilitazione all'esercizio della professione di ragioniere e perito commerciale "saranno stabilite con apposita norma legislativa, su proposta del Ministro per la pubblica istruzione di concerto con quello per la grazia e giustizia": norma che, per altro, non é mai stata emanata. Perciò la Corte ne ha tratto - con la decisione n. 43 del 1972 - la conseguenza che "sono tuttora in vigore, sul punto relativo ai requisiti richiesti per l'iscrizione nell'albo e per l'esercizio pubblico della professione di ragioniere, le norme di cui alla legge n. 327 del 1906 (art. 2, comma secondo, lettera d), ed al relativo regolamento d'esecuzione (r.d.l. n. 715 del 1906, articoli 18-23), non essendo state le stesse abrogate o derogate da norme successive ed in particolare da quelle di cui alla legge n. 3060 del 1952 (articolo unico) e al d.P.R. n. 1068 del 1953 (art. 31, nn. 4 e 5)". E la permanenza dei particolari requisiti previsti dall'ordinamento del 1906, cioé del "compimento del biennio di pratica" e del "superamento dell'esame teorico pratico", é stata poi riaffermata più volte, sia dalla Corte stessa (con le sentenze n. 111 del 1973 e n. 83 del 1974), sia da alcune contemporanee pronunce della Cassazione.

Ora, una volta chiarito che il legislatore non ha provveduto in nessun modo ad innovare la disciplina dettata dalla legge e dal regolamento del 1906, in tema di abilitazione professionale, é contraddittorio sostenere - come fanno i giudici a quibus - che le disposizioni denunciate avrebbero pur sempre una puntuale ed immediata efficacia precettiva, consistente nel consentire senz'altro l'iscrizione nell'albo dei ragionieri e l'esercizio della rispettiva professione, quanto agli abilitati all'insegnamento della ragioneria negli istituti tecnici-commerciali. E la circostanza che l'art. 31, primo comma, n. 5, non prescriva in modo espresso che gli stessi insegnanti in questione, specificamente menzionati nel n. 4 del medesimo comma, devono per ora possedere i requisiti prescritti dall'ordinamento del 1906, non basta a sorreggere l'interpretazione sulla quale si fondano le ordinanze in esame; tanto più che il d.P.R. n. 1068 del 1953 non prende in alcuna considerazione, non solo nell'art. 31 ma anche negli altri suoi disposti, le norme preesistenti che transitoriamente continuano a regolare l'esercizio della professione di ragioniere (salvo il particolarissimo caso di coloro che vi erano stati abilitati prima ancora dell'entrata in vigore della legge 15 luglio 1906, n. 327).

Vero é che il legislatore ordinario può equiparare all'esame di Stato, generalmente prescritto per l'accertamento di determinate capacità professionali, altri esami che in effetti soddisfino la medesima esigenza (come la Corte ha precisato nelle sentenze n. 174 e n. 175 del 1980). Ma rimane fermo che tali equipollenti, rappresentando un'eccezione alla regola, devono venire espressamente previsti, anziché risultare in modo implicito. E, d'altro lato, non si possono comunque ipotizzare equipollenze del genere, là dove il legislatore non abbia nemmeno definito - come appunto si registra nella specie - i termini e le modalità dell'accertamento normalmente necessario per i candidati all'abilitazione professionale.

4. - La questione é dunque inammissibile, poiché l'art. 31, primo comma, n. 5 del d.P.R. n. 1068 del 1953 non ha alcun contenuto normativo, suscettibile di trovare applicazione da parte dei giudici a quibus, nel senso censurato dalle ordinanze di rimessione.

Tuttavia, la Corte non può non rilevare che i dubbi di legittimità costituzionale e le connesse difficoltà interpretative, cui hanno dato luogo le disposizioni denunciate, verrebbero meno in partenza se il legislatore sciogliesse - dopo trent'anni di attesa - la riserva concernente l'abilitazione all'esercizio della professione di ragioniere e perito commerciale. Se non altro sotto questo aspetto, risulta perciò necessario che l'ordinamento del 1953 venga completato ed aggiornato, ponendo fine alla scoordinata sovrapposizione di leggi scolastiche e di leggi professionali, che da tanti decenni costituisce una nota negativa della disciplina del settore.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 31, primo comma, nn. 4 e 5, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068, in riferimento all'art. 33, quinto comma, della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Pistoia e dalla Corte d'appello di Cagliari, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI -  Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI – Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

        Depositata in cancelleria il 6 luglio 1983.